È abnorme il provvedimento con cui il Gip rigetti la richiesta di incidente probatorio presentata dal pubblico ministero ex articolo 392 comma 1-bis del Cpp

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 26 luglio 2019, n. 34091.

Massima estrapolata:

È abnorme il provvedimento con cui il Gip rigetti la richiesta di incidente probatorio presentata dal pubblico ministero ex articolo 392, comma 1-bis, del Cpp, adducendo ragioni di mera opportunità processuale e l’asserita assenza di ragioni di urgenza.

Sentenza 26 luglio 2019, n. 34091

Data udienza 16 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta – Presidente

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni F. – rel. Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro Mar – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 23/01/2019 del Tribunale di Tivoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. DE MASELLIS Mariella, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato con trasmissione degli atti al Tribunale di Tivoli o, in via subordinata, la rimessione del ricorso alle Sezioni unite.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 23 gennaio 2019, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli ha rigettato la richiesta di incidente probatorio avanzata dal pubblico ministero per assumere la testimonianza di (OMISSIS) (n. il (OMISSIS)), persona offesa in procedimento per il reato di violenza sessuale commesso, quando ella era minorenne, il (OMISSIS).
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica, deducendo, in via principale, l’abnormita’ del provvedimento e, in via subordinata, la sua illegittimita’, con richiesta di sollevare questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 392 c.p.p., comma 1 bis, e articolo 398 c.p.p., nella parte in cui non prevedono la ricorribilita’ per cassazione – quantomeno per violazione di legge – nel caso in cui il giudice rigetti la richiesta di incidente probatorio avanzata ai sensi dell’articolo 392 c.p.p., comma 1 bis, per contrasto con l’articolo 117 Cost., comma 1, in relazione all’obbligo internazionale assunto dall’Italia di evitare la vittimizzazione secondaria della persona offesa minorenne (ovvero maggiorenne) dei reati di c.d. violenza di genere individuati dalla stessa disposizione processuale.
Detto obbligo – rileva il ricorrente – sarebbe desumibile dagli articoli 3 e 4 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (ratificata con L. 27 maggio 1991, n. 176), dagli articoli 13, 14 e 31 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007 (ratificata con L. n. 172 del 2012); dagli articoli 12, 18, 20 e 22 della Direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012; dagli articoli 18, 26, 49 e 52 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011 (ratificata con L. 77/2013).
Proprio in forza dei menzionati obblighi assunti dall’Italia – osserva il ricorrente – l’articolo 392 c.p.p., comma 1 bis, prevede, per quanto qui interessa, che nei procedimenti per il reato di cui all’articolo 609 bis c.p., si proceda con incidente probatorio, anche al di fuori delle ipotesi di cui al comma 1, di tale disposizione, all’assunzione della testimonianza delle persona offesa, minorenne (tale dovendo intendersi chi lo fosse al momento di commissione del reato) o anche maggiorenne, essendone presunta la vulnerabilita’. In tal caso, a fronte della richiesta ritualmente avanzata dal pubblico ministero, sarebbe obbligatorio per il g.i.p. disporre l’incidente probatorio.
Nel caso di specie – rileva il ricorrente – a fronte di un’istanza con cui, tra l’altro, si richiedeva che l’assunzione della testimonianza avvenisse con le modalita’ protette ritenute opportune per garantire le finalita’ di tutela di cui all’articolo 398 c.p.p., comma 5 bis, l’ordinanza di rigetto non fa alcun riferimento alla particolare situazione di specie, rendendo una motivazione con cui si esclude soltanto la sussistenza di presupposti di cui all’articolo 392 c.p.p., comma 1. Tale provvedimento – recante dunque una motivazione soltanto apparente – si pone al di fuori degli ordinari schemi processuali, e’ illegittimo per violazione dell’articolo 392 c.p.p., comma 1 bis, e comporta una sostanziale stasi del procedimento, atteso che la sua prosecuzione in assenza di incidente probatorio farebbe sorgere la responsabilita’ del pubblico ministero (e dello Stato) nel verificarsi della vittimizzazione secondaria, in violazione degli obblighi internazionali piu’ sopra richiamati. Di qui la sua abnormita’, da considerarsi anche alla luce di un’interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata o, in via subordinata, la sua illegittimita’, da dichiararsi previa rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita’ costituzionale di cui sopra.
3. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha richiesto l’accoglimento del ricorso con riferimento alla principale doglianza circa l’abnormita’ del provvedimento impugnato e, in subordine, la rimessione del procedimento alle Sezioni unite affinche’ decidano se ci si trovi di fronte ad un provvedimento abnorme.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’articolo 392 c.p.p., comma 1 bis, – disposizione introdotta nel codice di rito dalla L. 15 febbraio 1996, n. 66 (recante Norme contro la violenza sessuale), da ultimo sostituito dalla L. 1 ottobre 2012, n. 172 (rubricata Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonche’ norme di adeguamento dell’ordinamento interno) – prevede che nei procedimenti relativi a taluni gravi reati, tra cui il delitto di violenza sessuale previsto dall’articolo 609 bis c.p., “il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi del comma 1”. La disposizione – in questa parte integrata dal Decreto Legislativo n. 15 dicembre 2015, n. 212 (recante Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI) – aggiunge che si procede allo stesso modo, “in ogni caso”, vale a dire, indipendentemente dal reato oggetto di indagine, all’assunzione della testimonianza della persona offesa che “versa in condizione di particolare vulnerabilita’”.
1.1. La genesi della disposizione ed il progressivo ampliamento del suo campo di applicazione in ottemperanza ad obblighi pattizi assunti dallo Stato in convenzioni internazionali, ovvero discendenti dalla necessita’ di conformarsi all’ordinamento eurounitario, mostrano con evidenza come la ratio della previsione – che resta comunque ancorata anche ad esigenze investigative ed all’opportunita’, in reati in cui la prova a carico e’ spesso principalmente fondata sulle dichiarazioni della persona offesa, di assumerne quanto prima la testimonianza nel contraddittorio delle parti, al fine di garantirne la genuinita’ rispetto a possibili fattori di condizionamento esterni, oltre che al semplice passare del tempo – abbia indubbiamente assunto una marcata impronta di protezione della vittima di reati di violenza domestica, di condotte persecutorie, di gravi forme di aggressione della personalita’ e liberta’ che coinvolgono la sfera sessuale. La vulnerabilita’ che di regola connota la persona offesa di tali reati spesso, ma non sempre, minorenni – e, in ogni caso, la consapevolezza della sofferenza psicologica connessa alla reiterazione delle audizioni volte alla ricostruzione di fatti gravi subiti (anche da altri, nel caso di testimoni minorenni che non siano persone offese), propria di un sistema processuale fondato sulla rigida distinzione tra la fase delle indagini e quella del giudizio, hanno indotto il legislatore, nelle situazioni descritte dall’articolo 392 c.p., comma 1 bis, a derogare al principio secondo cui la prova si forma in dibattimento, nel contraddittorio delle parti ed avanti al giudice chiamato ad assumere la decisione. Nella versione vigente, cioe’, la disposizione, da leggersi in combinato disposto con l’articolo 190 bis c.p.p., comma 1 bis, mira soprattutto ad evitare il c.d. fenomeno della “vittimizzazione secondaria”, vale a dire – per usare le parole che si leggono in una recente sentenza della Corte costituzionale – quel processo che porta il testimone persona offesa “a rivivere i sentimenti di paura, di ansia e di dolore provati al momento della commissione del fatto” (Corte Cost., sent. 21/02-27/04/2018, n. 92).
1.2. L’importanza della tutela delle persone offese, in particolare dei reati suscettibili di arrecare conseguenze gravissime sul piano psicologico come la violenza sessuale, e’ da tempo avvertita e le riflessioni condotte in base ad un attento esame della realta’ e con il supporto delle acquisizioni scientifiche hanno indotto le organizzazioni internazionali e gli Stati a promuoverne ed implementarne i livelli di generale protezione anche all’interno del processo penale con l’adozione di atti normativi vincolanti per i paesi membri e con la stipula di apposite convenzioni internazionali.
Come si legge in una recente decisione della Sezioni unite di questa Corte, “l’interesse per la tutela della vittima costituisce da epoca risalente tratto caratteristico dell’attivita’ delle organizzazioni sovranazionali sia a carattere universale, come l’ONU, sia a carattere regionale, come il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea, e gli strumenti in tali sedi elaborati svolgono un importante ruolo di sollecitazione e cogenza nei confronti dei legislatori nazionali tenuti a darvi attuazione. I testi normativi prodotti dall’Unione Europea in materia di tutela della vittima possono essere suddivisi in due categorie: da un lato quelli che si occupano della protezione della vittima in via generale e dall’altro lato quelli che riguardano la tutela delle vittime di specifici reati particolarmente lesivi dell’integrita’ fisica e morale delle persone e che colpiscono di frequente vittime vulnerabili. Tra i primi assume un posto di assoluta rilevanza la Direttiva 2012/29 UE in materia di diritti, assistenza e protezione della vittima di reato, che ha sostituito la decisione-quadro 2001/220 GAI, costituente uno strumento di unificazione legislativa valido per tutte le vittime di reato, dotato dell’efficacia vincolante tipica di questo strumento normativo. Ad essa e’ stata data recente attuazione nell’ordinamento interno con il Decreto Legislativo 15 dicembre 2015, n. 212. Tra i testi incentrati su specifiche forme di criminalita’ e correlativamente su particolari tipologie di vittime, assumono particolare rilievo la Convenzione di Lanzarote del Consiglio d’Europa del 25 ottobre 2007, sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali, e la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa dell’11 maggio 2011 sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, entrambe incentrate sulla esigenza di garantire partecipazione, assistenza, informazione e protezione a particolari categorie di vittime. Come e’ stato osservato, la Direttiva 2012/29/UE, con il suo pendant di provvedimenti-satellite (le Direttive sulla tratta di esseri umani, sulla violenza sessuale, sull’ordine di protezione penale, tra le altre) e di accordi internazionali (le Convenzioni di Lanzarote e Istanbul, in particolare), rappresenta un vero e proprio snodo per le politiche criminali, di matrice sostanziale e processuale, dei legislatori Europei” (Cass., Sez. U, n. 10959 del 29/01/2016, C., Rv. 265893, in motivazione).
1.3. In tutti gli atti normativi internazionali evocati dalla decisione appena citata si afferma la necessita’ della tutela della persona offesa di reati come la violenza sessuale dalla vittimizzazione secondaria.
Solo per citare le piu’ rilevanti disposizioni in materia, con particolare riguardo a quelle attuate con il disposto di cui all’articolo 392 c.p.p., comma 1 bis, si consideri:
l’articolo 18 Direttiva 2012/29/UE: “fatti salvi i diritti della difesa, gli Stati membri assicurano che sussistano misure per proteggere la vittima e i suoi familiari da vittimizzazione secondaria e ripetuta”;
– l’articolo 20 della stessa Direttiva prevede che: “fatti salvi i diritti della difesa e nel rispetto della discrezionalita’ giudiziale, gli Stati membri provvedono a che durante le indagini penali: a) l’audizione della vittima si svolga senza indebito ritardo dopo la presentazione della denuncia relativa a un reato presso l’autorita’ competente; b) il numero delle audizioni della vittima sia limitato al minimo e le audizioni abbiano luogo solo se strettamente necessarie ai fini dell’indagine penale”;
– sempre al fine di evitare la reiterazione delle audizioni, l’articolo 24 della Direttiva aggiunge che se la vittima e’ un minore, gli Stati membri provvedono affinche’ “nell’ambito delle indagini penali tutte le audizioni del minore vittima di reato possano essere oggetto di registrazione audiovisiva e tali registrazioni possano essere utilizzate come prova nei procedimenti penali”;
– sulla stessa linea, l’articolo 35 della Convenzione di Lanzarote stabilisce, con riguardo alle audizioni processuali del minore vittima di sfruttamento o abusi sessuali, che ciascuna delle Parti adotta le misure legislative o di altra natura necessarie affinche’ “il numero di audizioni sia limitato al minimo e allo stretto necessario per lo svolgimento del procedimento penale” (comma 1, lettera e) e “le audizioni della vittima o, ove necessario, di un minore testimone dei fatti, possano essere oggetto di una registrazione audiovisiva, e che tale registrazione possa essere ammessa quale mezzo di prova nel procedimento penale, conformemente alle norme previste dal proprio diritto interno” (comma 2);
– l’articolo 18 della Convenzione di Istanbul, tra gli obblighi generali a carico degli Stati pone quello di adottare “le necessarie misure legislative o di altro tipo per proteggere tutte le vittime da nuovi atti di violenza” (comma 1), “al fine di proteggere e sostenere le vittime e i testimoni di ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della presente Convenzione” (comma 2), accertandosi che le misure adottate “mirino ad evitare la vittimizzazione secondaria” (comma 3; v. anche articolo 56, comma 1, lettera a).
2. Cio’ premesso, reputa il Collegio che l’articolo 392 c.p.p., comma 1 bis, nel prevedere – per quanto qui interessa – che le parti possano chiedere al g.i.p. di procedere con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza della persona offesa, minorenne o maggiorenne, del reato di violenza sessuale “anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1” (vale a dire quelle in cui l’immediata assunzione della prova tradizionalmente si giustifica, salvi gli ampliamenti dovuti a successive integrazioni della norma sorrette da altre ragioni, per mere ragioni di urgenza modellate sul paradigma della “testimonianza a futura memoria”), escluda qualsiasi potere discrezionale da parte del giudice circa l’opportunita’ di accogliere la richiesta. Le uniche valutazioni consentite (oltre a quella di cui piu’ oltre si dira’ e che discende dai principi generali in tema di ammissione della prova) attengono alla sussistenza dei requisiti indicati dalla disposizione, vale a dire che: l’istanza provenga da soggetto processuale legittimato (il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, ovvero la persona sottoposta alle indagini); il procedimento penda nella fase delle indagini preliminari ovvero in udienza preliminare (cfr. Corte Cost., sent. 10 marzo 1994, n. 77); si stia procedendo per il reato di cui all’articolo 609 bis c.p. (o per altro dei reati indicati dalla norma, ovvero quando la persona offesa di altro reato versi in condizioni di particolare vulnerabilita’); la testimonianza di cui si richiede l’assunzione riguardi un minore di eta’ (anche se non trattisi di persona offesa) ovvero la persona offesa maggiorenne.
La conclusione si trae, innanzitutto, dal fatto che la disposizione non prevede alcun ulteriore – differente – criterio di valutazione da parte del giudice, non potendosi giungere ad altra interpretazione sulla base dei principi generali. In particolare, una volta che, nei casi considerati, il legislatore ha inteso evitare i fenomeni di vittimizzazione secondaria ritenendo detto interesse prevalente sul principio generale secondo cui la prova si forma in dibattimento, non sarebbe ragionevole invocare quest’ultimo valore, di carattere squisitamente processuale, per sacrificare il primo, di carattere sostanziale e giudicato ex lege preminente.
In secondo luogo, la necessita’ di non conculcare la tutela dei diritti delle vittime che la disposizione all’evidenza fonda trova conforto proprio nel fatto che essa attua vincoli che lo Stato italiano e’ tenuto ad adempiere per la sua appartenenza all’Unione Europea o per aver altrimenti stipulato convenzioni internazionali e la cui mancata osservanza puo’ in quelle sedi originare responsabilita’. L’evidente rilevanza degli interessi in gioco, peraltro, non depone – in assenza di diversi indicatori normativi – per una lettura restrittiva della disposizione. Come giustamente ha osservato il procuratore generale nella sua requisitoria, nei casi delineati il legislatore ha modificato lo statuto della prova dichiarativa prevedendo quale ipotesi ordinaria la raccolta anticipata della testimonianza attraverso lo strumento dell’incidente probatorio. Piuttosto, residuali – e marginali – ambiti di discrezionalita’ valutativa potrebbero configurarsi, in quest’ottica, laddove l’immediata assunzione della prova contrasti con altri interessi ritenuti meritevoli di protezione dalle stesse fonti internazionali e a cui, in concreto, sia da assicurarsi la preminenza, ovvero con la stessa esigenza di ridurre al minimo il rischio di vittimizzazione secondaria. In quest’ultima prospettiva, potrebbe ad es. pensarsi alla richiesta di assunzione della prova del minore vittima di violenza sessuale che provenga dalla difesa dell’indagato ed a cui il pubblico ministero opponga un’eccezione d’irrilevanza per essere il fatto graniticamente provato sulla base di altre fonti di prova.
Le considerazioni che precedono non possono essere inficiate dalla formalistica interpretazione letterale che dell’articolo 392 c.p.p., potrebbe farsi giusta il rilievo per cui la disposizione non prevede espressamente un obbligo del giudice di “disporre” l’incidente probatorio nei casi ivi disciplinati, ma una semplice facolta’ di “richiesta” da parte dei soggetti processuali indicati, laddove l’articolo 398 c.p.p., comma 1, si limita a stabilire che “il giudice pronuncia ordinanza con la quale accoglie, dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di incidente probatorio”. La formulazione letterale della prima norma, di fatti, si spiega perche’ essa disciplina una particolare ipotesi di richiesta di ammissione di prove e, dunque, si conforma al lessico di regola seguito da consimili disposizioni, le quali evidenziano il diritto potestativo delle parti processuali (cfr. articoli 190 e 190 bis c.p.p., articolo 438 c.p.p., comma 5, articoli 493 e 603 c.p.p.) e, se del caso, delineano espressamente i poteri di valutazione attribuiti al giudice. Ove nulla sia specificamente previsto – come accade nel caso dell’articolo 392 c.p.p., comma 1 bis, e dell’articolo 398 c.p.p., comma 1, – vale il principio generale, sul quale e’ fondato l’ordinamento processuale, giusta il quale, a fronte del diritto alla prova a richiesta di parte, fatta salva l’assenza delle condizioni previste dalla disciplina che consente il ricorso allo strumento anticipato di assunzione, si prevede l’obbligo di ammissione da parte del giudice, cui compete soltanto la possibilita’ di escludere “le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti” (articolo 190 c.p.p., comma 1). Questa valutazione e’ certamente consentita anche nei casi previsti dall’articolo 392 c.p.p., ma e’ d’immediata evidenza che essa, in concreto, ha un pressoche’ nullo campo di applicazione laddove sia richiesta l’assunzione della testimonianza di chi sia stato vittima di violenza sessuale, soprattutto se l’istanza provenga dalla parte che ha interesse all’assunzione della prova a carico (si e’ detto supra di un ipotetico caso d’irrilevanza che, per la natura del reato e le condizioni in cui lo stesso di regola si verifica, certo non appare di agevole verificazione).
3. Analizzando, sulla base degli esposti principi, le doglianze avanzate in ricorso le stesse si prospettano decisamente fondate, sia quanto all’illegittimita’ del diniego opposto dal g.i.p. alla richiesta di assunzione della prova, sia quanto alla natura abnorme di tale decisione, che la rende pertanto ricorribile per cassazione e suscettibile di declaratoria d’annullamento.
Quanto al primo profilo, a fronte della richiesta d’incidente probatorio del 18 dicembre 2018 avanzata dal pubblico ministero – nella quale si indicava chiaramente l’ipotesi di indagine per un grave episodio di violenza sessuale rubricato come violazione dell’articolo 609 bis c.p., e commesso in danno di una ragazza minorenne all’epoca dei fatti (sia pur prossima al raggiungimento della maggiore eta’) e nella quale si faceva espresso riferimento alla sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 392 c.p.p., comma 1 bis, (oltre che, genericamente, all’inopportunita’ di rinviare la prova al dibattimento) per assumere la testimonianza della stessa con le modalita’ protette di cui all’articolo 398 c.p.p., comma 5 bis, – il g.i.p. ha respinto l’istanza con la motivazione che integralmente, di seguito, si riporta: “l’assunzione della testimonianza della persona offesa circa i fatti per cui si procede non presenta caratteri di urgenza tali da non consentirne l’espletamento nella sede deputata alla formazione della prova, quale il dibattimento, ne’ appaiono ricorrere ulteriori condizioni che suggeriscano l’adozione del mezzo di prova nelle forme richieste”.
Se la prima parte del provvedimento puo’ essere logicamente riferita alla generica opportunita’ di non rinviare l’assunzione della prova a dibattimento quale indicata nella richiesta – vale a dire ad un’ipotesi di testimonianza “a futura memoria” astrattamente riconducibile a taluno dei casi disciplinati dall’articolo 392 c.p.p., comma 1, – e la decisione non e’ sul punto censurabile in questa sede (ne’, per vero, e’ stata fatta oggetto di doglianza in ricorso con riguardo all’ipotesi di cui al comma 1, della citata disposizione processuale), essa non e’ invece in alcun modo riconducibile alla diversa istanza avanzata con riguardo all’ipotesi di cui all’articolo 392 c.p.p., comma 1 bis, e, qualora la si volesse intendere in tal senso, sarebbe macroscopicamente illegittima per quanto piu’ sopra osservato. Lo stesso dicasi con riguardo alla seconda parte della motivazione, nella quale ci si limita ad osservare che non appaiono ricorrere ulteriori condizioni che suggeriscano l’adozione del mezzo di prova nelle forme richieste.
Il giudice, cioe’, non si e’ in alcun modo confrontato con la specifica istanza che gli era stata avanzata e ha in sostanza rigettato la richiesta facendo generico riferimento a non meglio specificate valutazioni di opportunita’ che l’articolo 392 c.p.p., comma 1 bis, in alcun modo prevede o consente.
4. Cio’ precisato, reputa il Collegio che il giudice abbia esercitato un potere astrattamente previsto dalla disciplina processuale – posto che, come gia’ si e’ ricordato, l’articolo 398 c.p.p., comma 1, prevede che sulla richiesta di incidente probatorio “il giudice pronuncia ordinanza con la quale accoglie, dichiara inammissibile o rigetta” l’istanza – ma lo abbia fatto al di la’ di qualsiasi ragionevole limite, essendosi trattato di un rigetto arbitrario perche’ fondato su una non meglio precisata valutazione di “inopportunita’” che nulla ha a che vedere con la disciplina processuale attuativa degli obblighi assunti dallo Stato in sede internazionale di cui piu’ sopra si e’ detto. Senza contare che, nella specie, lo stesso difensore dell’indagato (con memoria del 19 dicembre 2018, trasmessa a seguito della notificazione della richiesta avvenuta ai sensi dell’articolo 395 c.p.p.) non si era opposto, e aveva anzi sostanzialmente aderito all’istanza d’incidente probatorio avanzata dal pubblico ministero, cio’ che rende ancor piu’ incomprensibile l’immotivato rigetto del g.i.p..
4.1. Per questa ragione, reputa il Collegio di non poter seguire nella vicenda de qua il consolidato orientamento – fondato sul principio di tassativita’ delle impugnazioni (articolo 568 c.p.p., comma 1) – secondo cui e’ inammissibile il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari accoglie, rigetta o dichiara inammissibile la richiesta di incidente probatorio (da ultimo, v. Sez. 5, n. 49030 del 17/07/2017, Palmeri e aa., Rv. 271776; Sez. 1, n. 37212 del 28/04/2014, Liuzzi e aa., Rv. 260590; Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013, Agrama e aa., Rv. 256573; Sez. 4, Sentenza n. 42520, Antonelli e aa., del 07/10/2009, Rv. 245780)
Questo principio – che il Collegio condivide, laddove il giudice si limiti ad esercitare il potere attribuitogli dalla legge, magari anche in modo non corretto, ma senza esorbitare dagli astratti limiti previsti e che e’ stato di regola affermato a fronte delle valutazioni di ipotesi riconducibili alla richiesta di incidente probatorio avanzata ai sensi dell’articolo 392 c.p.p., comma 1, spesso, peraltro, in casi in cui la stessa era stata accolta – non si attaglia al caso di specie.
Il Collegio non ignora che tale orientamento e’ stato richiamato in relazione ad una vicenda analoga a quella qui in esame, essendosi affermato che l’ordinanza di rigetto della richiesta di incidente probatorio e’ inoppugnabile anche nel caso in cui abbia riguardo alle ipotesi di cui all’articolo 392 c.p.p., comma 1 bis, (Sez. 3, ord. n. 21930 del 13/03/2013, Bertolini, Rv. 255483), ma reputa di non dover dare continuita’, nella sua assolutezza, a quest’ultimo indirizzo.
4.1.1. La conclusione poggia innanzitutto sulla considerazione del sempre maggior rilievo che negli ultimi anni ha assunto la necessita’ di tutelare le vittime del reato di violenza sessuale (tanto piu’ se minorenni all’epoca del fatto), degli altri reati indicati dall’articolo 392 c.p.p., comma 1 bis, e, comunque, delle vittime vulnerabili – e questa notazione trova sicura conferma nella recente approvazione, da parte del Parlamento, della legge, definita “codice rosso”, recante Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere anche alla luce degli obblighi internazionali che gravano sullo Stato quali piu’ sopra richiamati, circostanza, questa, non approfondita nel citato precedente.
4.1.2. In secondo luogo – e soprattutto – la ricorribilita’ per cassazione va affermata con riguardo alla singolarita’ del provvedimento nella specie adottato, che, come accennato, si configura come strutturalmente abnorme per il suo contenuto.
Ed invero, nella misura in cui esso fa evidente, ancorche’ implicito, riferimento ad una disposizione diversa da quella che si sarebbe dovuta applicare – vale a dire all’articolo 392 c.p.p., comma 1, (posto che si rigetta l’istanza rilevando come l’assunzione della testimonianza non presenti caratteri di urgenza) anziche’ al comma 1 bis (le cui particolarissime condizioni non vengono neppure evocate, come se il giudice non si fosse curato di valutare la ricorrenza dei presupposti della norma su cui il pubblico ministero richiedente aveva espressamente fondato la richiesta) – l’ordinanza e’ espressione di un potere non previsto dalla legge e si configura come abnorme, essendosi in sostanza “disapplicata”, senza alcuna argomentazione, una regola generale di assunzione della prova prevista in ottemperanza ad obblighi assunti dallo Stato in sede internazionale. Non si tratta, soltanto, di violazione di norme processuali, ma di un provvedimento reso al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di la’ di ogni ragionevole limite, e quindi affetto da c.d. abnormita’ strutturale, secondo il consolidato orientamento (cfr. Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, Battistella).
Richiamando la motivazione di una (di poco) successiva sentenza delle Sezioni unite, va rilevato che “provvedimento abnorme e’ quello che presenta anomalie genetiche o funzionali tanto radicali da non potere essere inquadrato nello schema normativo processuale. La categoria dell’abnormita’ e’ stata elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza in stretto collegamento con il tema della tassativita’, che, come e’ noto, pervade il regime delle impugnazioni, in genere, e del ricorso per cassazione in specie. Rimedio, quest’ultimo, che, significativamente, racchiude in se’ l’esigenza di approntare uno strumento eventualmente alternativo e residuale rispetto a tutti gli altri rimedi – che assicuri il controllo sulla legalita’ del procedere della giurisdizione. L’abnormita’, quindi, piu’ che rappresentare un vizio dell’atto in se’, da cui scaturiscono determinate patologie sul piano della dinamica processuale, integra – sempre e comunque – uno sviamento della funzione giurisdizionale, la quale non risponde piu’ al modello previsto dalla legge, ma si colloca al di la’ del perimetro entro il quale e’ riconosciuta dall’ordinamento. Tanto che si tratti di un atto strutturalmente eccentrico rispetto a quelli positivamente disciplinati, quanto che si versi in una ipotesi di atto normativamente previsto e disciplinato, ma utilizzato al di fuori dell’area che ne individua la funzione e la stessa ragione di essere nell’iter procedimentale, cio’ che segnala la relativa abnormita’ e’ proprio l’esistenza o meno del potere di adottarlo. In questa prospettiva, dunque, abnormita’ strutturale e funzionale si saldano all’interno di un fenomeno unitario. Se all’autorita’ giudiziaria puo’ riconoscersi l’attribuzione circa l’adottabilita’ di un determinato provvedimento, i relativi, eventuali vizi saranno solo quelli previsti dalla legge, a prescindere dal fatto che da essi derivino effetti regressivi del processo. Ove, invece, sia proprio l’attribuzione a far difetto – e con essa, quindi, il legittimo esercizio della funzione giurisdizionale – la conseguenza non potra’ essere altra che quella dell’abnormita’, cui consegue l’esigenza di rimozione” (Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni e a., in motivazione).
La decisione prosegue osservando che “le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in particolare, hanno tracciato le caratteristiche della categoria dell’abnormita’ (S.U. 18-6-1993, P.M. in proc. Garonzi; S.0 24-3-1995, P.M. in proc. Cirulli; S.U. 9-7-1997, P.M. in proc. Balzan; S.U. 9-7-1997, P.M. in proc. Quarantelli; S.U. 10-12-1997, Di Battista; S.U. 24-11-1999, Magnani; S.U. 2411-1999 confl. giur. in proc. Di Dona; S.U. 22- 11- 2.000, P.M. in proc. Boniotti; S.U. 31-1-2001, P.M. in proc. Romano; S.U. 11-7-2001, P.G. in proc. Chirico; S.U. 29-5-2002, Manca; S.U. 25-2-2004, P.M. in proc. Lustri). Al riguardo, si e’ affermato che e’ affetto da vizio di abnormita’, sotto un primo profilo, il provvedimento che, per singolarita’ e stranezza del suo contenuto risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di la’ di ogni ragionevole limite. Sotto altro profilo, si e’ detto che l’abnormita’ puo’ discendere da ragioni di struttura allorche’ l’atto si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, ovvero puo’ riguardare l’aspetto funzionale nel senso che l’atto stesso, pur non essendo estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilita’ di proseguirlo” (Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni e a., in motivazione).
Quest’orientamento – anche di recente ribadito dalle Sezioni unite – ha portato all’ulteriore affermazione secondo cui la categoria dell’abnormita’ cosi’ elaborata e’ “riferibile alle sole situazioni in cui l’ordinamento non appresti altri rimedi idonei per rimuovere il provvedimento giudiziale, che sia frutto di sviamento di potere e fonte di un pregiudizio altrimenti insanabile per le situazioni soggettive delle parti” (Sez. U, n. 20569 del 18/01/2018, Ksouri).
Proprio quest’ultimo aspetto viene nella specie in considerazione.
Ed invero, laddove, come nella specie, non si rimuovesse l’ordinanza con cui il g.i.p. ha arbitrariamente negato l’incidente probatorio dal pubblico ministero richiesto in un caso disciplinato dalla legge, pur non essendo ovviamente precluso il prosieguo del procedimento – ne’ conculcati il dovere di svolgere le indagini (essendo possibile l’acquisizione di s.i.t. dalla persona offesa) ed il diritto all’assunzione della prova testimoniale nel corso del giudizio – l’alternativa procedimentale determinerebbe quella vittimizzazione secondaria della persona offesa che lo Stato si e’ impegnato ad evitare, cosi’, da un lato, recando pregiudizio insanabile alla vittima vulnerabile, e, d’altro lato, esponendo lo Stato a possibile responsabilita’ per la violazione di norme internazionali pattizie e dell’Unione Europea.
5. In conformita’ alle richieste avanzate dal procuratore generale, l’ordinanza impugnata va pertanto annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al g.i.p. del Tribunale di Tivoli per l’ulteriore corso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli per l’ulteriore corso.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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