Corte di Cassazione, civile, Sentenza|16 febbraio 2023| n. 4835
Documenti prodotti con modalità telematiche o in formato cartaceo
Il giudice d’appello ha il potere-dovere di esaminare un documento ritualmente prodotto in primo grado nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza nei propri scritti difensivi, mediante richiamo di esso nella parte argomentativa dei motivi formulati o delle domande ed eccezioni riproposte illustrando le ragioni, trascurate dal primo giudice, per le quali il contenuto del documento acquisito giustifichi le rispettive deduzioni (Enunciazione principio di diritto). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione II civile, ordinanza interlocutoria 9 maggio 2022, n. 14534).
In materia di prova documentale nel processo civile, il principio di “non dispersione (o di acquisizione) della prova” – che opera anche per i documenti, prodotti con modalità telematiche o in formato cartaceo – comporta che il fatto storico in essi rappresentato si ha per dimostrato nel processo, costituendo fonte di conoscenza per il giudice e spiegando un’efficacia che non si esaurisce nel singolo grado di giudizio, e non può dipendere dalle successive scelte difensive della parte che detti documenti abbia inizialmente offerto in comunicazione.
Affinché il giudice di appello possa procedere all’autonomo e diretto esame del documento già prodotto in formato cartaceo nel giudizio di primo grado, onde dare risposta ai motivi di impugnazione o alle domande ed eccezioni riproposte su di esso fondati, il documento può essere sottoposto alla sua attenzione, ove non più disponibile nel fascicolo della parte che lo aveva offerto in comunicazione (perché ritirato e non restituito, o perché questa è rimasta contumace in secondo grado), mediante deposito della copia rilasciata alle altre parti a norma dell’art. 76 disp. att. c.p.c.
Sentenza|16 febbraio 2023| n. 4835. Documenti prodotti con modalità telematiche o in formato cartaceo
Data udienza 10 gennaio 2023
Integrale
Tag/parola chiave; Processo civile – Prova – Documenti prodotti con modalità telematiche o in formato cartaceo – Efficacia limitata al singolo grado di giudizio – Esclusione – Copia – Rilascio ex art. 76 disp. att. c.p.c. – Fatto storico in essi rappresentato – Presunzione – Atto dimostrato nel processo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Primo Presidente f.f.
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sez.
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. FERRO Massimo – Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24271-2016 R.G. proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
-ricorrenti-
contro
(OMISSIS) S.R.L., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
-controricorrente e ricorrente incidentale-
nonche’ contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
ROMA CAPITALE, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
-intimati-
avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO di ROMA n. 1883/2016 depositata il 21/03/2016.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10/01/2023 dal Consigliere ANTONIO SCARPA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CORRADO MISTRI, il quale ha chiesto di accogliere il ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale;
uditi gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS).
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FATTI DI CAUSA
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso articolato in unico motivo avverso la sentenza n. 1883-2016 della Corte d’appello di Roma, pubblicata il 21 marzo 2016.
La (OMISSIS) s.r.l. ha notificato controricorso contenente altresi’ ricorso incidentale in unico motivo.
(OMISSIS) ha resistito notificando controricorso.
Tutti gli altri intimati indicati in epigrafe non hanno svolto attivita’ difensive.
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed altri, condomini del Condominio via (OMISSIS), convennero dinanzi al Tribunale di Roma l’ (OMISSIS) s.r.l., domandando: di accertare incidentalmente che il tratto di (OMISSIS), sul quale il Condominio ha ingresso secondario e che era stato utilizzato sino al 1992, quando ne era stato precluso l’uso da parte della convenuta, “e’ parte del demanio del Comune o, comunque, e’ via aperta al pubblico transito”; di “disporre a carico dell’ (OMISSIS) s.r.l. la rimozione del cancello in ferro, della catena e di ogni altro oggetto o mezzo idoneo a diminuire la fruizione del libero passaggio tra il Condominio di via (OMISSIS) e la (OMISSIS)”; in subordine, di accertare “l’esistenza di una servitu’ di passaggio in favore del Condominio di (OMISSIS) e dei suoi condomini”. La convenuta (OMISSIS) s.r.l. si difese deducendo che sull’area in contesa erano apposti una catena senza lucchetto ed un cancello in legno di cui aveva la chiave di apertura anche il Condominio di (OMISSIS), al quale percio’ non era precluso l’accesso, essendosi essa limitata, piuttosto, ad una utile gestione nel comune interesse.
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Al giudizio hanno partecipato anche il Comune di (OMISSIS) (costituitosi per vedere “tutelata la propria posizione e quella della intera collettivita’ ove si accertasse che sia stato effettivamente ed abusivamente intercluso il transito lungo una via pubblica o privata, ma di pubblico uso in base all’istituto della dicatio ad patriam”) e (OMISSIS) (intervenuta adesivamente alle domande degli attori). A seguito della morte di una delle parti originarie, (OMISSIS), il processo fu riassunto nei confronti dei suoi eredi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Sono indicati in atti quali parti del giudizio anche (OMISSIS) e (OMISSIS).
Con sentenza n. 6354/2011 del 28 marzo 2011, il Tribunale di Roma accolse la domanda degli attori e condanno’ l’ (OMISSIS) s.r.l. a rimuovere la catena e il cancello. Il giudice di primo grado affermo’ che dalla documentazione prodotta, ovvero, in particolare, dal decreto prefettizio del 16 gennaio 1952 e dalla relazione del geometra (OMISSIS), risultava che la parte di (OMISSIS) in prossimita’ di via (OMISSIS) e’ stata espropriata e cosi’ acquisita al patrimonio del Comune di (OMISSIS). Il Tribunale evidenzio’ ancora che il tratto di strada in contesa e’ posto all’interno dell’abitato, in quanto “prolungamento naturale” di (OMISSIS), ed e’ “in comunicazione diretta con il suolo pubblico”, e cioe’ con la parte di (OMISSIS) di cui risultava accertata la natura pubblica in forza del decreto di espropriazione, operando la presunzione di demanialita’ delle strade rientranti nel territorio comunale di cui all’articolo 22 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F.
Propose appello in via principale l’ (OMISSIS) s.r.l., contestando prioritariamente l’individuazione del tratto di strada oggetto di lite compiuta dal Tribunale, per essere lo stesso del tutto estraneo alla vicenda espropriativa citata, nonche’ la riconducibilita’ di tale area alla presunzione di demanialita’ stabilita dall’articolo 22 della L. n. 2248 del 1865, all. F, oltre a svolgere altre critiche in punto di qualificazione della pretesa e di legittimazione attiva e passiva.
Si costituivano (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), Roma Capitale e (OMISSIS), tutti chiedendo il rigetto dell’appello e quest’ultima proponendo altresi’ gravame incidentale in ordine alla compensazione delle spese di lite disposta in primo grado.
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza resa il 21 marzo 2016, ha accolto l’appello spiegato dalla (OMISSIS) s.r.l., rigettando la domanda degli attori, in quanto gli stessi non avevano prodotto nel giudizio di gravame “il loro fascicolo di primo grado, nel quale erano verosimilmente contenuti i documenti in forza dei quali e’ stata accolta dal Tribunale la loro domanda principale (in particolare il decreto prefettizio del 16 gennaio 1952 e la relazione del geometra (OMISSIS)), nonche’ gli altri documenti richiamati dagli appellati” nelle loro difese, che “la parte aveva l’onere di depositare”. La Corte di Roma ha aggiunto che tali documenti non risultavano prodotti neppure dalle altre parti costituite in appello, non avendo nemmeno Roma Capitale depositato il proprio fascicolo di primo grado. La sentenza impugnata ha cosi’ concluso che il collegio non disponeva degli “elementi per valutare la fondatezza della domanda degli attori, contestata dalla societa’ appellante, in particolare per quanto concerne la natura della strada in questione”. La domanda degli attori era, dunque, “rimasta sfornita di qualsiasi supporto probatorio”. Ne’, secondo la Corte d’appello, emergevano “in atti elementi per l’eventuale accoglimento della domanda subordinata proposta dagli attori”, non essendo, tra l’altro, neppure “dato conoscere quali fossero i capitoli della prova articolata negli scritti difensivi di primo grado di parte attrice e, poi, espletata”. E’ stata comunque rigettata dai giudici di secondo grado la domanda di condanna degli attori- appellati per responsabilita’ aggravata ex articolo 96 c.p.c., non sussistendone “le condizioni oggettive e soggettive”. L’unico motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso la sentenza n. 1883/2016 della Corte d’appello di Roma ha dedotto la violazione degli articoli 342 c.p.c., 2697 c.c. e 115 c.p.c.
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Le parti depositarono memorie in vista dell’adunanza ex articolo 380 bis.1. c.p.c. fissata per il giorno del 18 novembre 2021.
Con ordinanza interlocutoria n. 14534-2022 del 9 maggio 2022, pronunciata all’esito di detta adunanza, la Seconda Sezione civile ha evidenziato la particolare rilevanza della questione sottesa al motivo del ricorso principale ed ha percio’ rimesso alle Sezioni Unite la decisione, chiedendo di valutare quale incidenza abbia sui principi enunciati nelle sentenze n. 28498 del 2005 e n. 3033 del 2013 l’introduzione del fascicolo telematico del processo e se tale eventuale incidenza non giustifichi l’opportunita’ di superare anche per i documenti analogici la conclusione secondo cui grava sull’appellante l’onere di produrre o ripristinare in appello i documenti gia’ prodotti in primo grado, subendo egli, altrimenti, le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell’altra parte.
E’ stata acquisita la relazione predisposta dall’Ufficio del massimario.
Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Corrado Mistri, ha depositato in data 13 dicembre 2022 conclusioni scritte motivate, chiedendo di accogliere il ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale.
La controricorrente (OMISSIS) s.r.l. ha presentato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1.L’unico motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) denuncia la violazione degli articoli 342 c.p.c., 2697 c.c. e 115 c.p.c. I ricorrenti principali assumono che, alla stregua dei principi enunciati nelle sentenze n. 28498 del 2005 e n. 3033 del 2013 delle Sezioni Unite, era l’appellante (OMISSIS) s.r.l. onerata di dimostrare la fondatezza del proprio gravame e di produrre percio’ i documenti occorrenti per la decisione.
L’unico motivo del ricorso incidentale della (OMISSIS) s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 96 c.p.c. e la conseguente contraddittoria motivazione, esponendo che la domanda risarcitoria per responsabilita’ aggravata meritava accoglimento in quanto si e’ in presenza di un “abuso del processo” da parte degli attori.
2. L’ordinanza interlocutoria n. 14534/2022, pronunciata dalla Seconda Sezione civile, ha premesso che la questione delle conseguenze della mancata disponibilita’ da parte del giudice d’appello dei documenti posti a base della decisione di primo grado e’ propria delle sole prove precostituite, giacche’ i restanti atti di istruzione sono inseriti nel fascicolo d’ufficio (articolo 168, comma 2, c.p.c.). I documenti, viceversa, sono inseriti in una sezione separata del fascicolo di parte (articolo 74, comma 1, disp. att. c.p.c.), il quale puo’ essere ritirato (secondo le modalita’ indicate dall’articolo 169 c.p.c. – e cioe’ con autorizzazione del giudice o comunque al momento della rimessione della causa in decisione – e dall’articolo 77 disp. att. c.p.c.). Le parti o i loro difensori possono peraltro esaminare i documenti inseriti nei fascicoli delle altre parti e farsene rilasciare copia (articolo 76 disp. att. c.p.c.).
2.1. La Seconda Sezione civile richiama i principi enunciati nelle sentenze n. 28498 del 2005 e n. 3033 del 2013 di queste Sezioni Unite.
La sentenza 23 dicembre 2005, n. 28498, in particolare, considerava che, a seguito del processo legislativo di evoluzione dell’appello, lo stesso non rappresenta piu’, come nel sistema del codice di rito del 1865, il “mezzo” per “passare da uno all’altro esame della causa” e non puo’ quindi limitarsi, al fine di ottenerne la riforma, ad una denuncia generica dell’ingiustizia dei capi appellati della sentenza di primo grado, dovendo piuttosto puntualizzarsi all’interno dei capi di sentenza destinati ad essere confermati o riformati, ma “comunque” sostituiti dalla sentenza di secondo grado. Nel rinnovato contesto sistematico, l’onere probatorio dell’appellante non deve, percio’, essere individuato “con esclusivo e retrospettivo riferimento alla posizione da lui assunta nel giudizio di primo grado, con la conseguenza che se in quel giudizio l’appellante aveva assunto la qualita’ di convenuto, il suo onere probatorio rimarrebbe integro, anche nella successiva fase di gravame, quanto a tutti i fatti impeditivi o estintivi del diritto fatto valere dall’attore”. Al contrario, affermava la sentenza n. 28498 del 2005, “essendo l’appellante tenuto a fornire la dimostrazione della fondatezza delle singole censure mosse alle singole soluzioni offerte dalla sentenza impugnata, il cui riesame e’ chiesto per ottenere la riforma del capo decisorio appellato, l’appello da lui proposto, in mancanza di tale dimostrazione deve essere, in base ai principi, respinto, con conseguente conferma sostitutiva dei capi di sentenza appellati, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale”.
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Dovendosi conciliare tale interpretazione con la disciplina che regola il ritiro del fascicolo di parte e con il principio di “acquisizione” delle prove, le Sezioni Unite raccomandarono di non intendere “con eccessiva larghezza” la facolta’ offerta dagli articoli 169 c.p.c. e 77 disp. att. c.p.c., in quanto “la mancata restituzione del fascicolo, in violazione dei doveri di lealta’ e di probita’ sanciti dall’articolo 88 c.p.c., potrebbe porre la controparte nell’impossibilita’ di fornire quelle prove che in precedenza, alla stregua delle risultanze desumibili dal fascicolo avversario, dovevano ritenersi superflue”. Cio’ giustificherebbe la “imposizione, a carico della parte che nel corso del processo chieda il ritiro del proprio fascicolo, dell’onere di depositare copia dei documenti probatori che in esso siano inseriti”, cosi’ da “far salva la piena attuazione del principio di acquisizione delle prove”.
La sentenza 8 febbraio 2013, n. 3033, ritenne, anche per “ragioni di continuita’ dell’applicazione giurisprudenziale e di affidabilita’ della funzione nomofilattica”, di mantenere fermo il principio enunciato nella sentenza n. 28498 del 2005, alla luce altresi’ della fisionomia del giudizio di appello risultante dal sopravvenuto intervento riformatore operato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito con modificazioni nella l. n. 134 del 2012. Costituendo il processo d’appello “una seconda e solo eventuale fase” del giudizio di merito, il ruolo dell’appellante sarebbe quello di “parte processualmente attrice (quale che sia stata la sua posizione nel giudizio di primo grado, che l’ha vista totalmente o parzialmente soccombente)”, percio’ tenuta “ad approntare ogni mezzo processuale posto a sua disposizione dall’ordinamento (cosi’, dunque e segnatamente, ad avvalersi della facolta’ prevista dall’articolo 76 disp. att. c.p.c. di ottenere dalla cancelleria copia dei documenti prodotti dalle altre parti) ed indipendentemente dalla, piu’ o meno prevedibile, condotta processuale della controparte, al fine di dimostrare l’ingiustizia o l’invalidita’ della sentenza impugnata”. Se, quindi, “l’appellante assuma che l’errore del primo giudice si annidi nell’interpretazione o valutazione di un documento, il cui preciso contenuto testuale non risulti dalla sentenza impugnata, ovvero, pacificamente, dagli atti delle parti”, sarebbe suo onere “metterlo a disposizione del giudice di appello, perche’ possa procedere al richiesto riesame anche nei casi in cui lo stesso sia stato in precedenza prodotto dalla controparte, risultata vincitrice in primo grado”. Secondo tale ricostruzione, troverebbero cosi’ applicazione i criteri di riparto dell’onere della prova di cui all’articolo 2697 c.c., “ma non nella tradizionale ottica sostanziale, bensi’ sotto il profilo processuale, in virtu’ del quale e’ l’appellante, in quanto attore nell’invocata revisio, a dover dimostrare il fondamento della propria domanda, deducente l’ingiustizia o invalidita’ della decisione assunta dal primo giudice, onde superare la presunzione di legittimita’ che l’assiste”.
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La sentenza n. 3033 del 2013 precisava altresi’ che, quando si assume che la prova, una volta entrata nel processo, vi permane e puo’ essere utilizzata anche dalla parte diversa da quella che l’ha prodotta, il principio cosiddetto “di immanenza della prova” va inteso con riferimento non al documento materialmente incorporante la prova, bensi’ all’efficacia spiegata dal mezzo istruttorio, virtualmente a disposizione di ciascuna delle parti, delle quali, tuttavia, quella che ne invochi una diversa valutazione da parte del giudice del grado successivo non e’ esonerata dall’attivarsi perche’ lo stesso possa concretamente procedere a richiesto riesame. Di tal che, per quanto riguarda le prove documentali, materializzate nelle produzioni di parte, nei casi in cui il giudice di appello, per l’inerzia della parte interessata e tenuta alla relativa allegazione, non sia stato in grado di riesaminarle, le stesse, ancorche’ non materialmente piu’ presenti in atti (per la contumacia dell’appellato o per l’insindacabile scelta del medesimo di non piu’ produrle), continuano tuttavia a spiegare la loro efficacia, nel senso loro attribuito nella sentenza emessa dal primo giudice, la cui presunzione di legittimita’ non risulta superata per fatto ascrivibile all’appellante. Questi, rimasto inerte, pur disponendo di un adeguato mezzo processuale (la richiesta di cui all’articolo 76 disp. att. c.p.c.) per prevenire la sopra esposta situazione di carenza documentale, deve, pertanto, considerarsi soccombente, in virtu’ del principio actore non probante, reus absolvitur.
2.2. L’ordinanza interlocutoria n. 14534-2022 della Seconda Sezione civile segnala, poi, che i due precedenti del 2005 e del 2013 sono stati oggetto “di critiche accese da parte della maggioritaria dottrina”, che cosi’ riassume:
“(…) – seguendo le sezioni unite, la sentenza di primo grado determinerebbe una presunzione legale relativa circa l’esistenza del fatto accertato, presunzione che potrebbe essere superata solo attraverso la prova contraria della parte appellante, indipendentemente dai criteri di riparto dell’onere della prova in primo grado, dando una valenza processuale al principio di cui all’articolo 2697 c.c., invece tradizionalmente volto a disciplinare l’onere sostanziale della prova;
– l’appello (specie quello per motivi di merito), nonostante le evoluzioni subite, continua ad essere espressione dello schema teorico del gravame, non degli atti di impugnazione, come d’altro canto riconoscono le stesse sezioni unite (…);
– oggetto del giudizio e’ quindi il rapporto sostanziale controverso, devoluto al giudice superiore attraverso i motivi specifici di impugnazione, che non costituiscono l’oggetto del giudizio di appello, ma sono il mezzo tramite il quale si individua la parte del rapporto sostanziale devoluta al giudice superiore, nonche’ le questioni di fatto e di diritto tramite il cui riesame il giudice d’appello conoscera’ il rapporto sostanziale;
– le sezioni unite scambiano la distinzione tra appello come novum iudicium e appello come revisio prioris instantiae con la distinzione tra appello come gravame, avente pur sempre ad oggetto il rapporto sostanziale controverso, e appello come impugnazione, avente ad oggetto i motivi specifici di impugnazione;
– problemi suscitati superati ove il legislatore disponesse che i documenti prodotti dalle parti debbano essere inseriti nel fascicolo d’ufficio e non nel fascicolo di parte”.
2.3. L’ordinanza interlocutoria n. 14534-2022 registra che le sezioni semplici, dopo alcune iniziali pronunce discordi, hanno condiviso i principi di diritto enunciati nelle sentenze n. 28498 del 2005 e n. 3033 del 2013 di queste Sezioni Unite. Vengono tuttavia specialmente rimarcate nell’ordinanza di rimessione Cass. sez. lav. 22 gennaio 2013, n. 1462, e Cass. Sez. 1, 19 giugno 2019, n. 16506.
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La sentenza n. 1462 del 2013 si distinguerebbe per aver chiarito che l’interpretazione dettata dalla pronuncia del 2005 delle sezioni unite non avrebbe implicato “una sorta di inversione dell’onere della prova nel giudizio di appello” ne’ una sorta di presunzione legale relativa circa l’esistenza dei fatti accertati in prime cure, ma semplicemente l’onere dell’appellante di attivarsi ai sensi dell’articolo 76 disp. att. c.p.c. per farsi rilasciare dal cancelliere copia degli atti del fascicolo delle altre parti e cio’ al fine di conferire specificita’ ai motivi d’appello ex articolo 342 c.p.c. La stessa sentenza n. 1462 del 2013 aggiunse che “l’appellante ha anche la possibilita’ di chiedere ex articolo 210 c.p.c. che il giudice ordini all’appellato non costituito l’esibizione dei documenti gia’ contenuti nella produzione ritirata”, a cio’ non ostando il divieto di nuovi mezzi di prova in appello, “poiche’ in siffatta evenienza non di prove nuove si tratta, bensi’ di prove gia’ acquisite agli atti di causa e ad essa immanenti, rispetto alle quali l’iniziativa dell’appellante e’ meramente recuperatoria”.
La sentenza n. 16506 del 2019 viene invece menzionata nell’ordinanza interlocutoria “in un’ottica di superamento della distinzione tra fascicolo di parte e fascicolo d’ufficio”, per aver essa affermato che “i fascicoli di parte che sono presenti in quello di ufficio costituiscono parte integrante di esso, ai sensi dell’articolo 72, comma 2, disp. att. c.p.c., fintanto che rimangono ivi depositati, perche’ non ritirati, ai sensi dell’articolo 77 disp. att. c.p.c.”, con la conseguenza che “qualora venga richiesta la trasmissione del fascicolo d’ufficio ex articolo 126 disp. att. c.p.c., la trasmissione dovra’ riguardare il fascicolo d’ufficio, unitamente a quelli di parte ove non ritirati”.
2.4. L’ordinanza interlocutoria n. 14534/2022 passa da ultimo ad interrogarsi sulle ripercussioni che per le questioni in esame possono derivare dalla introduzione del cosiddetto “processo civile telematico”, nel quale si ha soltanto un unico fascicolo digitale.
I riferimenti normativi sulla disciplina del fascicolo informatico e, per quel che qui piu’ rileva, del deposito con modalita’ telematiche dei documenti nel processo civile, sono contenuti nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 13 febbraio 2001, n. 123, articolo 12, nel Decreto Ministeriale n. 21 febbraio 2011, n. 44, articolo 9, nel Decreto Legge n. 179 del 2012, articolo 16-bis, convertito nella l. n. 221 del 2012, e, da ultimo, negli articoli 87 e 196-quater disp. att. c.p.c., inseriti dal Decreto Legislativo n. 149 del 2022, secondo il regime transitorio dettato dall’articolo 35 dello stesso decreto. L’introduzione del fascicolo informatico, sulla base di tali disposizioni, non ha comunque eliminato l’obbligo di formazione del fascicolo d’ufficio su supporto cartaceo, ne’ la possibilita’ che il giudice autorizzi o ordini il deposito di copia cartacea dei documenti per ragioni specifiche. I documenti informatici da raccogliere nel fascicolo informatico del processo sono privi di elementi attivi e hanno i formati previsti dalle specifiche tecniche stabilite, vengono trasmessi da parte dei soggetti abilitati e degli utenti mediante indirizzo di posta elettronica certificata e si intendono depositati nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna.
Osserva la Seconda Sezione civile che, con la formazione del fascicolo informatico, il quale raccoglie tutti i documenti, si dovrebbe avere l’accantonamento della distinzione tra il fascicolo d’ufficio e il fascicolo di parte presente nelle norme del codice di rito e delle sue disposizioni di attuazione, neppure essendo contemplata la possibilita’ di ritiro delle produzioni documentali, le quali vengono, pertanto, telematicamente apprese dal giudice di appello con l’acquisizione dell’unico fascicolo e indipendentemente dal comportamento processuale dell’appellato.
2.4.1. Si consideri, incidentalmente, che l’inserimento e la conservazione nel fascicolo d’ufficio dei documenti prodotti dalle parti sono, peraltro, gia’ previsti dall’articolo 320, comma 5, c.p.c. per il procedimento davanti al giudice di pace.
2.5. Poiche’ l’articolato regime normativo di progressiva introduzione del deposito con modalita’ telematiche dei documenti nel processo civile e le relative discipline transitorie rendono frequente che all’interno del medesimo giudizio tuttora pendente si abbiano documenti prodotti in formato informatico ed in formato cartaceo, ovvero soltanto in formato cartaceo, l’ordinanza interlocutoria n. 14534/2022 auspica un ripensamento dell’orientamento segnato dalle sentenze n. 28498 del 2005 e n. 3033 del 2013.
La Seconda Sezione civile suggerisce non di abbandonare il criterio secondo cui l’appellante e’ tenuto a fornire la dimostrazione della fondatezza delle singole censure mosse alle singole soluzioni offerte dalla sentenza impugnata, ma di valorizzare quanto affermato almeno nella pronuncia del 2005, “circa la necessita’, a tutela dell’interesse al corretto esercizio dell’attivita’ giurisdizionale e del principio di acquisizione delle prove, di subordinare il ritiro del fascicolo di parte al deposito dei documenti probatori in esso inseriti”, ricavando tale precetto dalla previsione dell’articolo 77 disp. att. c.p.c.; o, altrimenti, riconoscendo al giudice d’appello la facolta’ di ordinare alla parte il deposito dei documenti che ritenga necessari al fine della decisione, sul modello di quanto, ad esempio, consentito dall’articolo 123-bis disp. att. c.p.c. per l’impugnazione proposta contro una sentenza non definitiva.
2.6. In conclusione, l’ordinanza interlocutoria n. 14534/2022 rimette alle Sezioni Unite di pronunciare su tali questioni:
a) – se l’adozione del processo telematico, che prevede la creazione di un unico fascicolo e non contempla l’ipotesi del ritiro dei documenti in esso contenuti, comporti l’abbandono della distinzione tra fascicolo d’ufficio e fascicolo di parte di cui agli articoli 168 e 169 c.p.c., articoli 72, 73, 74, 75, 76 e 77 disp. att. c.p.c.;
b) – se cio’ determini il superamento della posizione 15 di 29 interpretativa, fatta propria con le pronunce delle Sezioni Unite n. 28498 del 2005 e n. 3033 del 2013, secondo cui l’appellante “subisce le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell’altra parte, quando questo contenga documenti a lui favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia e che il giudice d’appello non ha quindi avuto la possibilita’ di esaminare”;
c) – se tale superamento valga solo per le cause ove i documenti sono contenuti nel cosiddetto fascicolo informatico ovvero se – al fine di evitare irragionevoli differenze di trattamento – valga anche per cause ove i documenti siano ancora presenti in formato cartaceo nel fascicolo di parte.
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3. Il Pubblico Ministero, nelle conclusioni scritte motivate, osserva che “in relazione alla fattispecie concreta, i quesiti rimessi alle Sezioni Unite appaiono privi di rilevanza in se’, per quanto riguarda il processo telematico, che non e’ quello messo in atto nel processo a quo”, e che comunque l’impugnata sentenza non ha osservato i principi affermati nelle pronunce delle Sezioni Unite n. 28498 del 2005 e n. 3033 del 2013, essendosi posta “in pieno contrasto con il principio di presunzione di legittimita’ della decisione di prime cure e con quello di acquisizione probatoria”. Il Pubblico Ministero ha percio’ concluso chiedendo di accogliere il ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale, e di affermare i seguenti principi di diritto:
“il fascicolo cartaceo deve considerarsi fattispecie diversa da quella del fascicolo informatico e la disciplina che regola il deposito, l’accesso ed il ritiro del primo, in quanto basata sul presupposto della materialita’ dello stesso, risulta incompatibile con quella dettata in relazione al secondo che, all’opposto, si fonda sulla sua dematerializzazione, conseguendone che, in tema di processo civile telematico, l’adozione del fascicolo informatico, che, da un lato raccoglie in forma dematerializzata gli atti e i documenti da chiunque formati nel processo, e dall’altro e’ sempre accessibile dalle parti e dal giudice, che possono in qualunque momento estrarne copia informatica, ha comportato in via generale l’abbandono della distinzione tra fascicolo d’ufficio e fascicolo di parte di cui agli articoli 168 e 169 c.p.c., 72, 73, 74, 75, 76 e 77 disp. att. c.p.c., salvo restando, comunque, l’obbligo per le cancellerie di formazione del fascicolo d’ufficio su supporto cartaceo, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 123 del 2001, articolo 12, comma 3, ed ai sensi dell’articolo 9, comma 3, d. m. n. 44 del 2011, e dell’articolo 22, comma 5, del codice dell’amministrazione digitale;
in base al principio di acquisizione probatoria, il giudice di appello, alla cui cancelleria non siano stati trasferiti i fascicoli di parte formati in modalita’ cartacea nel precedente grado del giudizio, non potra’ decidere assumendo come non prodotti i mezzi istruttori in essi contenuti e che siano stati ammessi in primo grado; tuttavia, qualora, in ragione della mancata disponibilita’ dei medesimi, egli dovesse ritenere di non poter valutare la fondatezza dei motivi di gravame, considerando che l’appello e’ un giudizio revisionale finalizzato alla riforma della decisione di primo grado ed essendo quest’ultima sostenuta da una presunzione di legittimita’, dovra’ confermare la sentenza di prime cure”.
Nella memoria presentata ai sensi dell’articolo 378 c.p.c., la controricorrente (OMISSIS) s.r.l. evidenzia la non pertinenza delle questioni sollevate nell’ordinanza di remissione alle Sezioni Unite, giacche’ il proprio appello non era fondato sui documenti esibiti ex adverso, ne’ lamentava alcun errore del primo giudice nell’interpretazione e valutazione degli stessi, in quanto sia il decreto prefettizio sia la relazione del geometra (OMISSIS) erano “irrilevanti ai fini della decisione”.
Documenti prodotti con modalità telematiche o in formato cartaceo
4. Va premesso che, ad avviso di queste Sezioni Unite, nonostante l’inapplicabilita’ nel giudizio in esame della disciplina attinente al fascicolo informatico, non puo’ pervenirsi a diverse conclusioni in ordine all’attuale operativita’ del principio dispositivo e del principio di âEuro¹âEuro¹acquisizione probatoriaâEuroºâEuroº, come correlati ai meccanismi di produzione e di ritiro dei documenti.
Le questioni sollevate nell’ordinanza interlocutoria della Seconda sezione civile coinvolgono le esigenze, proprie del sistema delle prove, attinenti ai poteri della parte, nonche’ le garanzie della tutela del contraddittorio e del diritto di difesa (allorche’, conseguentemente alla produzione avversaria, sorge l’interesse dei contendenti ad avvalersi di una prova contraria, ovvero anche dello stesso documento esibito dalla controparte), e la conformazione legislativa del bilanciamento di tali esigenze e garanzie non potrebbe intendersi ragionevolmente differenziata, sulla base di inconvenienti di fatto, a seconda che i documenti siano stati prodotti con modalita’ telematiche o, piuttosto, in formato cartaceo, sicche’ l’impossibilita’ tecnica di procedere nel processo telematico al ritiro del singolo documento o dell’intero fascicolo finisca in concreto per modulare con diversa intensita’ rispetto al processo cartaceo l’effettivita’, appunto, del principio dispositivo e del principio di acquisizione.
4.1. Ai quesiti posti dall’ordinanza interlocutoria n. 14534/2022 occorre, allora, dar risposta non pervenendo necessariamente all’esito interpretativo di intendere abrogata tacitamente la distinzione codicistica tra fascicolo d’ufficio e fascicolo di parte (il cui impianto rimane, del resto, confermato anche dopo la riforma introdotta con il Decreto Legislativo n. 10 ottobre 2022, n. 149, equiparandosi, nel novellato articolo 36 disp. att. c.p.c., la tenuta e conservazione del fascicolo informatico alla tenuta e conservazione del fascicolo d’ufficio su supporto cartaceo e continuandosi a prevedere, con gli articoli 165 e 166 c.p.c. e 74 disp. att. c.p.c., che i documenti offerti in comunicazione siano contenuti nel fascicolo di parte, nonostante il modificato articolo 87 disp. att. c.p.c. faccia rinvio all’articolo 196 quater per le modalita’ di produzione dei documenti), ne’ “superando” le sentenze n. 28498 del 2005 e n. 3033 del 2013, quanto piuttosto ampliando, nel nuovo quadro di sistema delineatosi, gli effetti del principio di acquisizione delle prove documentali e gli strumenti, che gia’ tali sentenze contemplavano, idonei a consentire al giudice d’appello la ricostruzione della portata dimostrativa di tali prove, indipendentemente dalla natura informatica o cartacea del supporto, in funzione di una concezione del processo che “fa leva sul valore della giustizia della decisione” (Cass. Sez. Unite, 7 maggio 2013, n. 10531).
5. Queste Sezioni Unite, ancora con la sentenza 10 luglio 2015, n. 14475, nell’escludere la “novita’”, agli effetti dell’articolo 345, comma 3, c.p.c., dei documenti posti a sostegno della domanda di decreto ingiuntivo, non prodotti nel giudizio di opposizione e poi allegati all’atto di appello, hanno avuto occasione di riaffermare che “i principi costituzionali del giusto processo e della sua ragionevole durata implicano… che le prove acquisite al processo lo siano in via definitiva. Tali prove non devono essere disperse. Cio’ vale anche per i documenti: una volta prodotti ed acquisiti ritualmente al processo, devono essere conservati alla cognizione del giudice”. La sentenza n. 14475 del 2015 elaboro’, pertanto, il principio “di non dispersione della prova”, precisando, nella specie, che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo la parte opposta non e’ libera di ritirare i documenti su cui era fondata l’intimazione di pagamento, dovendo esservi autorizzata a norma dell’articolo 169 c.p.c., e che il “giudice nel decidere dovra’ disporre di tutto il materiale probatorio”.
5.1. L’acquisizione della prova documentale “precostituita” come fonte di informazione del giudizio avviene per il tramite delle regole sulla produzione e sull’inserimento nei fascicoli processuali, le quali sono essenzialmente finalizzate a garantire il diritto di difesa ed il contraddittorio in favore della controparte. Il diritto al giusto processo impone di verificare che il procedimento di acquisizione delle prove sia stato complessivamente equo (Corte Europea dei diritti dell’uomo Elsholz c. Germania (GC), n. 25735/94, 13 luglio 2000, § 66; Devinar c. Slovenia, n. 28621/15, 22 maggio 2018, § 45; Blücher c. Repubblica ceca, n. 58580/00, 11 gennaio 2005, § 65).
Il documento ritualmente prodotto fornisce, cosi’, una rappresentazione immediata e permanente del fatto di causa, in quanto il diritto delle parti al procedimento istruttorio di fissazione dei fatti controversi non implica poi una loro volonta’ costitutiva dell’effetto probatorio del materiale raccolto.
La teorizzazione del descritto principio di “non dispersione (o di acquisizione) della prova” porta, dunque, a considerare che, una volta prodotto in una fase o in un grado di un processo unitario un documento, lo stesso, in quanto “conosciuto” e percio’ definitivamente acquisito alla causa, se sia successivamente ritirato e poi ancora allegato, dalla stessa parte che se ne fosse originariamente avvalsa o da altra parte, non puo’ considerarsi “nuovo”, ne’ in primo grado, agli effetti delle preclusioni istruttorie, ne’ in appello, ai sensi dell’articolo 345, comma 3, c.p.c., ne’ nel giudizio in cassazione, con riguardo al divieto di cui all’articolo 372 c.p.c..
Se l’acquisizione della valenza probatoria del documento esibito (ovvero la sua natura di fonte di conoscenza per il giudice e di fissazione formale della verita’ legale circa l’esistenza o l’inesistenza dei fatti controversi) non si esaurisce nel singolo grado di giudizio, essa neppure puo’ dipendere dalle successive scelte processuali della parte che lo abbia inizialmente prodotto.
Il fatto storico rappresentato dal documento prodotto si ha per dimostrato, essendo stato ultimato il procedimento strumentale che assicura l’acquisizione processuale della fonte di conoscenza, e cio’ pone fuori causa l’articolo 2697 c.c.: questa norma onera la parte di dimostrare gli accadimenti che concretizzano la fattispecie astratta di legge, dalla cui applicazione essa voglia ricavare effetti per se’ favorevoli, ed offre al giudice una via d’uscita ove di tali accadimenti da assumere in sentenza sia mancata la prova.
5.2. La definitivita’ dell’acquisizione processuale del documento prodotto, inteso come fonte di conoscenza del fatto, nel passaggio dal giudizio di primo grado al giudizio d’appello, perche’ possa poi influire altresi’ sull’attivita’ logica del giudice dell’impugnazione e sul risultato decisionale che discende da questa attivita’, deve trovare un coordinamento con la regola della formazione progressiva della cosa giudicata e con l’effetto devolutivo dell’impugnazione di merito. Affinche’ il fatto dimostrato dal documento prodotto in primo grado possa essere compreso nell’attivita’ logica del giudice dell’appello e nella sentenza che ne deriva, esso non va, dunque, nuovamente “provato” dalla parte che ne invochi il riesame, quanto allegato, e cioe’ dedotto in un enunciato descrittivo contenuto all’interno di un atto difensivo.
6. A proposito del riesame della controversia di cui e’ ritualmente investito il giudice di secondo grado, l’evoluzione giurisprudenziale e’ ferma ai principi dettati nella sentenza di queste Sezioni Unite 16 novembre 2017, n. 27199, secondo cui gli articoli 342 e 434 c.p.c., nel testo risultante dal Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito con modificazioni nella l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, restando tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, che l’atto di gravame debba rivestire particolari forme sacramentali o contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado.
Sempre nell’ottica di delimitare l’ambito della devoluzione al giudice di appello rispetto al thema probandum e al thema decidendum del giudizio di primo grado, la sentenza di queste Sezioni Unite 21 marzo 2019, n. 7940, ha affermato che le parti, nel rispetto dell’autoresponsabilita’ e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali e’ necessario proporre appello incidentale), a riproporre ai sensi dell’articolo 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza.
6.1. Quanto chiarito dalle sentenze n. 27199 del 2017 e n. 7940 del 2019 conferma che l’ambito della cognizione del giudice d’appello e’ definito dai motivi di impugnazione formulati e dalle domande ed eccezioni riproposte, e non consiste, percio’ (salvo che per le questioni rilevabili d’ufficio), in una rinnovata pronuncia sulla domanda giudiziale e sulla intera situazione sostanziale oggetto del giudizio di primo grado.
Combinando gli effetti dell’acquisizione probatoria dei documenti prodotti e dei limiti devolutivi dell’impugnazione segnati dagli articoli 342 e 346 c.p.c., restano validi i principi piu’ volte enunciati nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui il giudice d’appello ha il potere-dovere di esaminare i documenti ritualmente prodotti in primo grado nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza nei propri scritti difensivi, mediante richiamo di essi nella parte argomentativa dei motivi formulati o delle domande ed eccezioni riproposte, illustrando le ragioni, trascurate dal primo giudice, per le quali il contenuto dei documenti acquisiti giustifichi le rispettive deduzioni (Cass. Sez. 1, 29 gennaio 2019, n. 2461; Cass. Sez. 3, 7 aprile 2009, n. 8377; Cass. Sez. 1, 20 ottobre 2005, n. 20287; Cass. Sez. 1, 24 dicembre 2004, n. 23976; Cass. Sez. lav., 6 luglio 2004, n. 12351; Cass. Sez. 1, 29 maggio 2003, n. 8599; Cass. Sez. 3, 6 aprile 2001, n. 5149; Cass. Sez. 2, 16 agosto 1990, n. 8304).
6.2. Affinche’ il giudice di appello possa procedere all’autonomo e diretto esame del documento gia’ prodotto in formato cartaceo nel giudizio di primo grado, onde dare risposta ai motivi di impugnazione o alle domande ed eccezioni riproposte su di esso fondati, il documento puo’ essere sottoposto alla sua attenzione, ove non piu’ disponibile nel fascicolo della parte che lo aveva offerto in comunicazione (perche’ ritirato e non restituito, o perche’ questa e’ rimasta contumace in secondo grado), mediante deposito della copia rilasciata alle altre parti a norma dell’articolo 76 disp. att. c.p.c., semmai, come sosteneva la sentenza n. 28498 del 2005, sulla base dell’ordine in tal senso imposto dal giudice all’atto del ritiro effettuato avvalendosi della facolta’ di cui agli articoli 169 c.p.c. e 77 disp. att. c.p.c..
Il giudice di appello puo’ inoltre porre a fondamento della propria decisione il documento prodotto in formato cartaceo non rinvenibile nei fascicoli di parte apprezzandone il contenuto che sia trascritto o indicato nella decisione impugnata, o in altro provvedimento o atto del processo.
Dovendosi negare, inoltre, che la permanente portata dimostrativa nel giudizio di appello di uno o di determinati documenti acquisiti in primo grado discenda dalla scelta delle parti di volersi avvalere del relativo effetto probatorio, puo’ ritenersi consentito al giudice di secondo grado, eventualmente aperto un preventivo contraddittorio, di ordinare la produzione dei medesimi documenti, in copia o in originale, se lo ritiene necessario, a modello di quanto del resto stabilito dall’articolo 123 bis disp. att. c.p.c. per l’impugnazione di sentenza non definitiva, valutando la mancata esibizione, senza giustificato motivo, come comportamento contrario al dovere di lealta’ e probita’.
Allorche’, poi, la parte interessata abbia ottemperato all’onere processuale a suo carico di compiere nell’atto di appello o nella comparsa di costituzione una puntuale allegazione del documento cartaceo prodotto in primo grado (e dunque del relativo fatto secondario dedotto in funzione di prova), del quale invochi il riesame in sede di gravame, e la controparte neppure abbia provveduto ad offrire in comunicazione lo stesso nel giudizio di secondo grado, sara’ quest’ultima a subire le conseguenze di tale comportamento processuale, potendo il giudice, il quale ha comunque il dovere di ricomporre il contenuto di una rappresentazione gia’ stabilmente acquisita al processo, ritenere provato il fatto storico rappresentato dal documento nei termini specificamente allegati nell’atto difensivo.
7. Possono pertanto enunciarsi i seguenti principi di diritto.
Il principio di “non dispersione (o di acquisizione) della prova”, operante anche per i documenti – prodotti sia con modalita’ telematiche che in formato cartaceo -, comporta che il fatto storico in essi rappresentato si ha per dimostrato nel processo, costituendo fonte di conoscenza per il giudice e spiegando un’efficacia che non si esaurisce nel singolo grado di giudizio, ne’ puo’ dipendere dalle successive scelte difensive della parte che li abbia inizialmente offerti in comunicazione.
Il giudice d’appello ha il potere-dovere di esaminare un documento ritualmente prodotto in primo grado nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza nei propri scritti difensivi, mediante richiamo di esso nella parte argomentativa dei motivi formulati o delle domande ed eccezioni riproposte, illustrando le ragioni, trascurate dal primo giudice, per le quali il contenuto del documento acquisito giustifichi le rispettive deduzioni.
Affinche’ il giudice di appello possa procedere all’autonomo e diretto esame del documento gia’ prodotto in formato cartaceo nel giudizio di primo grado, onde dare risposta ai motivi di impugnazione o alle domande ed eccezioni riproposte su di esso fondati, il documento puo’ essere sottoposto alla sua attenzione, ove non piu’ disponibile nel fascicolo della parte che lo aveva offerto in comunicazione (perche’ ritirato e non restituito, o perche’ questa e’ rimasta contumace in secondo grado), mediante deposito della copia rilasciata alle altre parti a norma dell’articolo 76 disp. att. c.p.c. Il giudice di appello puo’ inoltre porre a fondamento della propria decisione il documento prodotto in formato cartaceo non rinvenibile nei fascicoli di parte apprezzandone il contenuto che sia trascritto o indicato nella decisione impugnata, o in altro provvedimento o atto del processo, ovvero, se lo ritiene necessario, puo’ ordinare alla parte interessata di produrre, in copia o in originale, determinati documenti acquisiti in primo grado.
Allorche’ la parte abbia ottemperato all’onere processuale di compiere nell’atto di appello o nella comparsa di costituzione una puntuale allegazione del fatto rappresentato dal documento cartaceo prodotto in primo grado, del quale invochi il riesame in sede di gravame, e la controparte neppure abbia provveduto ad offrire in comunicazione lo stesso nel giudizio di secondo grado, sara’ quest’ultima a subire le conseguenze di tale comportamento processuale, potendo il giudice, il quale ha comunque il dovere di ricomporre il contenuto di una rappresentazione gia’ stabilmente acquisita al processo, ritenere provato il fatto storico rappresentato dal documento nei termini specificamente allegati nell’atto difensivo.
8. Alla stregua del sistema delineato da tali principi, che peraltro sviluppano i principi gia’ dettati nelle sentenze n. 28498 del 2005 e n. 3033 del 2013, il ricorso proposto da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) risulta evidentemente fondato.
8.1. La Corte di Roma, con la sentenza impugnata, ha accolto l’appello spiegato dalla (OMISSIS) s.r.l., rigettando la domanda degli attori (volta ad accertare la proprieta’ demaniale o la destinazione al pubblico transito del tratto di (OMISSIS), nonche’ ad ordinare alla convenuta di rimuovere il cancello e la catena ivi apposti), in quanto gli appellati non avevano prodotto nel giudizio di gravame i documenti su cui il Tribunale aveva fondato la propria pronuncia, ovvero “il decreto prefettizio del 16 gennaio 1952 e la relazione del geometra (OMISSIS), nonche’ gli altri documenti richiamati dagli appellati” nelle loro difese, che “la parte aveva l’onere di depositare”.
Questa motivazione rivela la pertinenza delle questioni affrontate nell’ordinanza interlocutoria n. 14534-2022 della Seconda Sezione civile.
8.2. Cosi’ ragionando, la Corte d’appello di Roma: ha in sostanza ritenuto che oggetto dell’impugnazione fosse la domanda giudiziale proposta dagli attori, vittoriosi in primo grado, e non le censure formulate dalla soccombente (OMISSIS) s.r.l., le quali imponevano comunque il riesame dei documenti posti a fondamento della decisione del Tribunale, considerando al contrario sufficienti le mere difese opposte dall’appellante ai fatti, principali e secondari, costituenti le ragioni dell’avversa pretesa accolta nella sentenza gravata; non ha quindi considerato che i fatti storici dimostrati dai documenti prodotti in primo grado ed acquisiti come fonti di conoscenza erano stati apprezzati nella pronuncia impugnata, la cui presunzione di legittimita’ non puo’ dirsi superata dalla mancata allegazione del fascicolo delle parti appellate che li conteneva; non ha adempiuto al proprio dovere di ricomporre altrimenti il contenuto della rappresentazione dei fatti gia’ stabilmente acquisita al processo, sulla base di quanto comunque risulti da provvedimenti o atti del processo.
9. Rimane assorbito dall’accoglimento del ricorso principale il ricorso incidentale della (OMISSIS) s.r.l., attenendo esso alla configurabilita’ della responsabilita’ aggravata ex articolo 96 c.p.c. degli attori, e dunque a statuizione che, per il suo carattere accessorio, viene comunque travolta dalla disposta cassazione della sentenza impugnata.
10. Conseguono l’accoglimento del ricorso principale, l’assorbimento del ricorso incidentale e la cassazione della sentenza impugnata in ragione della censura accolta, con rinvio dalla causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che decidera’ uniformandosi ai principi di diritto enunciati e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
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