Divieto di patti successori e rinuncia a vantare diritti di uno dei futuri eredi

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|| n. 366.

Divieto di patti successori e rinuncia a vantare diritti di uno dei futuri eredi

E’ nulla per contrasto con il divieto di cui all’art. 458 c.c. la transazione con la quale uno dei futuri eredi, quando è ancora in vita il de cuius, rinunci ai diritti vantati, anche quale legittimario, sulla futura successione, ivi incluso il diritto a fare accertare la natura simulata degli atti di disposizione posti in essere dalla de cuius in quanto idonei a dissimulare una donazione.

Sentenza|| n. 366. Divieto di patti successori e rinuncia a vantare diritti di uno dei futuri eredi

Data udienza  14 dicembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Successioni – Art. 458 cc – Divieto di patti successori – Rinuncia a vantare diritti di uno dei futuri eredi – Natura simulata degli atti di disposizione posti in essere dalla de cuius – Dissimulazione di donazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE CIVILE

Composta da:

Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere rel.

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso n. 2658/2018 R.G. proposto da:

Zu.El., c.f. (Omissis), rappresentata e difesa dall’avv. Ca.Pi., elettivamente domiciliata in Roma presso l’avv. De.No.Pa., nel suo studio in piazza (…)

ricorrente

contro

Zu.Gi., c.f. (Omissis), rappresentato e difeso dall’avv. Ma.Ma.Pi., con indirizzo pec (…)

controricorrente e ricorrente in via incidentale

avverso la sentenza non definitiva n. 1545/2014 depositata il 9 dicembre 2014 e avverso la sentenza definitiva n. 1349/20116 depositata il 21 dicembre 2016 della Corte d’appello di Genova

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14-12-2023 dal Consigliere Cavallino Linalisa,

udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Mistri Corrado, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità e in subordine il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale,

udito per la ricorrente l’avv. Ca.Pi.

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FATTI DI CAUSA

1.Con atto di citazione notificato il 23 giugno 2004 Zu.El. convenne avanti il Tribunale di Genova il fratello Gi.Zu., esponendo che:

-il 16 ottobre 2003 era deceduta ab intestato la madre Le.Pa., lasciando quali unici eredi i figli Zu.El. e Zu.Gi.;

-il giudizio tra la madre e i due figli avente a oggetto la divisione ereditaria del padre Zu.Er. si era protratto dal 1989 al 2001 ed era stato definito con due distinti atti di conciliazione giudiziale: il primo di data 9 novembre 2001 con il quale erano stati a lei attribuiti cespiti immobiliari per valore di Lire 335.400.000 con la previsione dell’espresso impegno di non ingerirsi nella divisione del restante asse ereditario; il secondo di data 18 dicembre 2001 con il quale la madre e il figlio avevano diviso il restante asse ereditario, con attribuzione sulla porzione alla madre dell’usufrutto e al figlio della nuda proprietà;

-l’accordo transattivo di divisione tra il figlio e la madre, la quale all’epoca aveva già età avanzata, nata il 15 ottobre 1919 e poi deceduta il 16 ottobre 2003, era simulato, integrava donazione al figlio degli immobili rientranti nella quota ereditaria della madre ed era lesivo della quota di legittima della figlia;

-la madre aveva rilasciato al figlio in data 19 settembre 2002 procura generale e lo stesso ne aveva approfittato eseguendo prelievi dal conto della madre fino a esaurirlo.

L’attrice chiese, previa dichiarazione della natura simulata dell’atto di conciliazione stipulato tra la madre e il figlio e della sua natura di donazione, nonché della lesione della sua quota di legittima, la ricostruzione dell’asse ereditario della madre con collazione del valore della metà degli immobili oggetto dell’atto divisionale, condanna del convenuto a conferire le somme prelevate dal c/c intestato alla madre, condanna del convenuto a eseguire il rendiconto degli atti compiuti in forza della procura e conseguente divisione dell’asse ereditario.

Il Tribunale di Genova con sentenza n. 1112/2009 rigettò tutte le domande.

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2.A seguito di appello di Zu.El., la Corte D’Appello di Genova ha pronunciato sentenza parziale n. 1545 depositata il 9 dicembre 2014 e sentenza definitiva n. 1349 depositata il 21 dicembre 2016.

Nella sentenza parziale la Corte D’Appello ha dichiarato che nell’asse ereditario della madre rientravano solo i beni alla stessa pervenuti dalla successione del marito e ha considerato che con la conciliazione giudiziale del 9 novembre 2001 erano stati assegnati alla figlia gli immobili del lotto (Omissis) dell’eredità paterna, con dichiarazione della figlia di rinuncia a ingerirsi nella divisione del restante asse ereditario del padre e rinuncia a ulteriori pretese sulla successione del padre; ha considerato che, con la successiva conciliazione del 18 novembre 2001 tra la madre e il figlio, alla madre era stato assegnato l’usufrutto di tutti gli immobili compresi nei lotti (Omissis) e (Omissis) e al figlio la nuda proprietà. La sentenza ha dichiarato che la figlia appellante, sottoscrivendo il verbale di conciliazione, aveva rinunciato a qualsiasi pretesa sugli accordi che sarebbero intercorsi tra la madre e il fratello relativamente alla successione del padre; a fronte di tale espressa e incondizionata rinuncia a ulteriori pretese sulla successione del padre da parte della figlia, la madre e il figlio erano liberi di disporre come ritenuto e pertanto quelle modalità non potevano essere contestate dall’appellante; la consapevole scelta effettuata circa l’eredità paterna da parte della figlia escludeva la fondatezza delle sue doglianze relativamente alle conseguenze sulla successione materna, che aveva a oggetto soltanto la quota ereditaria spettante alla madre sull’eredità del marito.

La sentenza parziale ha anche rigettato i motivi di appello relativi alle domande aventi a oggetto la successione della madre, ha rigettato l’appello incidentale e con separata ordinanza ha rimesso la causa in istruttoria per il rendimento del conto da parte dell’appellato, regolando le spese “relative alla parte del giudizio fin qui definita” ponendole a carico dell’appellante.

La sentenza definitiva ha dato atto che entrambe le parti avevano formulato riserva di ricorso per cassazione alla prima udienza successiva alla rimessione della causa in istruttoria; esaminando il conto reso dall’appellato per il periodo decorrente dal 19 settembre 2002, data di conferimento della procura generale della madre a favore del figlio fino alla data del 16 ottobre 2003 del decesso della madre, in primo luogo ha espunto dal totale rendicontato gli importi relativi a spese sostenute in periodi diversi, tra le quali le spese funerarie sostenute nel novembre 2003; ha ritenuto non documentate e non altrimenti provate le voci da n.1 a n. 13 che ha elencato, esponendone le relative ragioni, e ha ritenuto supportate da idoneo titolo giustificativo le spese per Euro 13.200,00; ha dichiarato che le somme spese dal figlio e prive di riscontro erano pari a Euro 76.126,71 e, accertato che ciascuno degli eredi aveva diritto alla metà della somma, ha condannato l’appellato al pagamento a favore dell’appellante della metà, pari a Euro 38.063,35 con gli interessi dalla data di apertura della successione e la rifusione delle spese.

3. Zu.El. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Zu.Gi. ha resistito con controricorso, nel quale ha proposto anche ricorso incidentale tempestivo affidato a due motivi. Zu.El. ha depositato controricorso per replicare al ricorso incidentale.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in pubblica udienza e in prossimità dell’udienza del 14 dicembre 2023 entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo “violazione dell’art. 360 n.4/5 in relazione agli articoli 2702 c.c. e 115 c.p.c. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” la ricorrente evidenzia che con l’atto introduttivo di primo grado aveva prodotto sub 4) lettera manoscritta di Le.Pa. di data 20 settembre 2003, della quale trascrive il contenuto, con la quale la madre esprimeva al figlio la sua delusione per avergli donato la sua parte di eredità del padre come lui gli aveva chiesto e per essere stata collocata dal figlio in una casa di riposo. Evidenzia che la controparte non aveva disconosciuto il documento, con il quale Le.Pa. affermava chiaramente di avere donato al figlio la sua quota di eredità paterna; lamenta che il documento non sia stato oggetto di valutazione da parte della Corte territoriale e dichiara che, se la Corte avesse considerato il documento, non avrebbe potuto respingere la domanda proposta dalla figlia circa l’effettiva natura di donazione della transazione stipulata il 18 dicembre 2001.

2.Con il secondo motivo “violazione e falsa applicazione degli artt. 458, 737 e ss., 1361 e 1362 c.c. (vizi dedotti in relazione al disposto dell’art. 360 n. 3 c.p.c.)” la ricorrente evidenzia di avere proposto domanda di divisione dell’asse ereditario della madre Le.Pa., previo accertamento incidentale della natura dell’atto con il quale il fratello e la madre avevano definito la successione paterna; rileva che la successione paterna era stata oggetto di un contenzioso ultradecennale chiuso con la conciliazione giudiziale ed era estranea alle domande proposte in giudizio; sostiene che erroneamente la Corte D’Appello abbia ritenuto che, avendo Zu.El. conciliato con la madre la vertenza insorta sulla successione paterna ed essendosi impegnata a non ingerirsi nella successiva divisione tra la madre e il fratello, avesse consapevolmente rinunciato a qualsiasi pretesa in relazione ai nuovi accordi che avessero assunto la madre e il fratello. Lamenta che la Corte D’Appello in questo modo abbia offerto un’interpretazione dell’accordo che evidenzierebbe profili di nullità, in quanto se l’accordo comportava rinuncia a fare valere i suoi diritti come erede della madre si incorreva nel divieto di cui all’art. 458 cod. civ. Aggiunge che l’obbligazione assunta era stata solo quella di “non ingerirsi nella successiva divisione del restante asse ereditario” ed era stata rispettata, ma pretendere che non ingerirsi comportasse rinuncia ai diritti successori futuri voleva dire procedere a interpretazione arbitraria ed errata in quanto contraria al senso letterale delle parole.

3.Con il terzo motivo “violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.)” la ricorrente lamenta che la Corte D’Appello, muovendo dall’erroneo presupposto della soccombenza di El.Zu, l’abbia condannata alla rifusione delle spese di lite anche del secondo grado di giudizio e chiede che l’errore sia emendato.

4.Il secondo motivo di ricorso principale è fondato, con conseguente assorbimento degli altri motivi.

E’ pacifico in causa che la madre e il figlio con l’atto di conciliazione giudiziale 18 dicembre 2001 hanno definito le questioni relative alla successione paterna, accordandosi nel senso che sui lotti (Omissis) oggetto dell’accordo spettava alla madre l’usufrutto e al figlio la nuda proprietà; con la precedente conciliazione giudiziale del 9 novembre 2001 alla figlia era stata attribuita la proprietà del lotto (Omissis), con la dichiarazione di rinunciare a non ingerirsi nella successiva divisione del restante asse ereditario del padre tra la madre e il fratello. La sentenza impugnata ha ritenuto che quella rinuncia della figlia escluda che la stessa, agendo quale erede legittimaria della madre, possa formulare domanda di accertamento della simulazione dell’atto 18 dicembre 2001 dissimulante donazione della madre a favore del figlio, in quanto la figlia aveva rinunciato ad avanzare qualsiasi ulteriore pretesa sull’eredità del padre. Quindi, diversamente da quanto ritenuto dal controricorrente al fine di sostenere l’inammissibilità del motivo, la Corte D’Appello non ha esaminato la questione del contenuto dell’atto transattivo concluso tra la madre e il figlio sulla base dell’assunto che quell’atto non fosse idoneo a ledere la legittima della figlia, ma sulla base dell’assunto che la sua consapevole scelta relativa all’eredità paterna escludeva che ella potesse contestare l’eredità materna avente a oggetto esclusivamente la quota ereditaria proveniente dal marito (cfr. pag. 7 della sentenza n. 1545/2014). Però in questo modo la sentenza non ha considerato che nel patrimonio della madre era già compresa la quota a lei spettante dell’eredità del marito (quota di comproprietà dei beni relitti dal marito) e che di questo suo diritto la madre ha disposto con l’atto del 18 dicembre 2001; a fronte di questo dato, ritenere che la rinuncia della figlia ad avanzare ulteriori pretese sull’eredità del padre comportasse anche la rinuncia ad avanzare qualsiasi pretesa sull’eredità della madre -seppure composta solo dai beni pervenuti alla madre dal marito – si concreta in una interpretazione del negozio in violazione del divieto dei patti successori. Infatti, nel momento in cui ha eseguito la rinuncia con la conciliazione del 9 novembre 2001, la figlia poteva rinunciare ad avanzare ulteriori pretese sull’eredità del padre già deceduto, ma non sull’eredità della madre ancora in vita; quindi, se il negozio avesse avuto il contenuto ritenuto dalla sentenza impugnata, di precludere alla figlia quale erede necessaria della madre di contestare il successivo atto dispositivo della madre, sarebbe incorso nella nullità di cui all’art. 458 cod. civ.

Questa Corte ha già posto il principio che è nulla, per il contrasto con il divieto di cui agli artt. 458 e 557 cod. civ., la transazione conclusa da uno dei futuri eredi, allorquando sia ancora in vita il de cuius, con il quale egli rinunci ai diritti vantati, anche quale legittimario, sulla futura successione, ivi incluso il diritto a fare accertare la natura simulata degli atti di alienazione posti in essere dall’ereditando perché idonei a dissimulare una donazione (Cass. Sez. 6-2 15-6-2018 n. 15919 Rv. 649095-01). Come pure evidenziato in quella sentenza, in relazione agli atti di disposizione posti in essere dalla madre la ricorrente ha acquistato il diritto e il concreto interesse all’accertamento della loro natura simulata solo per effetto della morte della madre medesima e in evidente funzione strumentale all’esercizio dell’azione di riduzione relativamente all’eredità della madre, che ella ha acquisito dopo la morte della madre medesima; la figlia era carente di legittimazione a fare valere la simulazione degli atti dispositivi posti in essere dalla madre fino a che la stessa era ancora in vita e quindi non poteva neppure disporre di un diritto che ancora non le competeva.

Quindi il motivo deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, dovendo il giudice del rinvio decidere le domanda di Zu.El. attenendosi al seguente principio di diritto: “è nulla per contrasto con il divieto di cui all’art. 458 cod. civ. la transazione con la quale uno dei futuri eredi, quando è ancora in vita la de cuius, rinunci a vantare i diritti, anche quale legittimario, sulla futura successione, ivi incluso il diritto a fare accertare la natura simulata degli atti di disposizione posti in essere dalla de cuius in quanto idonei a dissimulare donazione”.

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Alla luce di questo principio il giudice del rinvio dovrà valutare la portata dell’accordo transattivo del 18 dicembre 2001 tra la madre e il figlio e quindi procedere alla disamina delle altre domande proposte dalla figlia.

5.Con il primo motivo di ricorso incidentale “violazione e falsa applicazione di norme di legge nella valutazione del materiale probatorio acquisito ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. con riferimento alle presunzioni di legge ex art. 2727 e 2729 cod. civ., ed art. 116 cod. proc. civ.” il ricorrente in via incidentale lamenta che la sentenza abbia espunto dal materiale rendicontato gli importi relativi ai titoli giustificativi di spesa con riguardo alle spese funerarie sostenute nel novembre 2003, in quanto non riferite a periodo nel quale era valida la procura generale della madre a favore del figlio. Evidenzia che tale rilievo era in linea di principio corretto, perché non si trattava di spese per le quali vi fosse obbligo di rendiconto in riferimento alla procura, ma si trattava di spese di importo complessivo di Euro 6.188,00 per loro natura a carico dell’eredità e pertanto deducibili dall’asse complessivo. Quindi, premesso che l’inquadramento giuridico della fattispecie debba essere riferita a presunte donazioni fatte in vita dalla madre, il ricorrente in via incidentale lamenta che la sentenza definitiva non abbia ritenuto documentate le spese per le badanti, nonostante non fosse contestato che nell’ultimo anno di vita vi erano state due badanti che si erano occupate della madre e nonostante sia noto che i pagamenti alle badanti vengono effettuati in contanti, per cui sussistevano gli elementi di prova presuntivi per ritenere che gli esborsi -entro i limiti indicati dalla comune esperienza- potevano considerarsi giustificati. Lamenta altresì che non siano state riconosciute le donazioni fatte dalla nonna a favore dei nipoti per ragioni di studio e sostiene che, detraendo gli importi degli stipendi e del mantenimento per due badanti, gli importi per il mantenimento e le cure mediche della madre per un anno, per un costo medio mensile di Euro 3.000,00 e anche sommandoli alle donazioni ai nipoti, il residuo non giustificato sarebbe di circa Euro 20.000,00, dal quale detrarre la quota di un terzo del quale la madre poteva liberamente disporre e così calcolare solo sul residuo la quota di un terzo della legittima lesa; in conclusione lamenta che la sentenza sia viziata per la contraddittorietà tra le premesse le conclusioni, per essere giunta a condannare il convenuto alla restituzione di importo ben superiore al cinquanta per cento di quanto effettivamente non documentato e giustificato.

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6.Con il secondo motivo “omesso esame di più fatti decisivi, provati in causa, ed oggetto di contraddittorio sullo specifico punto ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. con riferimento alle presunzioni di legge ex art. 2727 e 2729 cod. civ. e ai criteri di valutazione della prova ex art. 116 cod. proc. civ.” il ricorrente in via incidentale sostiene che il “vizio denunciato” rientri anche nell’ipotesi di cui all’art. 360 n.5 cod. proc. civ.; dichiara che la decisione è basata su elementi istruttori (il rendiconto con la documentazione allegata) che avrebbero consentito di escludere o quantomeno limitare in modo significativo la condanna a suo carico; aggiunge che la mancata considerazione degli elementi presuntivi evidenziati e il mancato ricorso alle presunzioni legali costituiscono vizio della decisione, essendosi verificati sia omesso esame di elementi istruttori sia contraddittoria valutazione di tali elementi.

7.Il primo motivo di ricorso incidentale deve essere accolto limitatamente alla questione delle spese funerarie e per il resto è inammissibile.

La sentenza n. 1349/2016 impugnata ha ritenuto che, nel periodo di validità della procura generale della madre a favore del figlio, il figlio aveva prelevato dal conto corrente materno somme per l’importo complessivo di Euro 76.126,71 non riferibili ad attività di gestione giustificate dalla procura e con riguardo alla cui destinazione a favore della madre il convenuto non aveva dato prova; per questa ragione ha ritenuto che le somme dovevano essere conferite alla massa e, per la quota della metà, spettavano alla sorella coerede. In questo modo in sostanza la sentenza ha ritenuto il diritto di credito della de cuius nei confronti del figlio in relazione alle somme delle quali lo stesso si era indebitamente appropriato; il diritto di credito era caduto in successione, si era estinto per confusione per la quota del figlio a sua volta erede, mentre la figlia altra erede aveva diritto di ottenere la sua quota dal fratello debitore. Al fine di confutare questa ricostruzione il ricorrente avrebbe dovuto veicolare, attraverso motivi ammissibili nel giudizio di legittimità, l’esistenza della prova che i prelievi erano stati eseguiti dal figlio per destinarli alle necessità della madre e per donazioni della nonna ai nipoti. Le deduzioni in tal senso non sono svolte in termini ammissibili, ma è innegabile che il fratello coerede poteva opporre alla sorella coerede il suo diritto di credito relativo alle spese funerarie per la madre, indipendentemente dal fatto che tale credito fosse sorto in periodo non oggetto della domanda proposta dall’attrice. Le spese funerarie rientrano tra i pesi ereditari che, sorgendo in conseguenza dell’apertura della successione, costituiscono passivo ereditario gravante sugli eredi ex art. 752 cod. civ., sicché colui che ha anticipato tali spese ha diritto a ottenerne il rimborso pro quota (Cass. Sez. 2 27-8-2020 n. 17938 Rv. 658944-01, Cass. Sez. 2 2-2-2016 n. 1994 Rv. 638787-01) Quindi, di tale posta a credito del fratello doveva tenersi conto, nel senso che, dalla somma di Euro 38.063,35 che il fratello è stato condannato a pagare alla sorella a titolo della metà dell’asse ereditario della madre, doveva essere sottratta la metà dell’importo relativo alle spese funerarie, che lo stesso aveva anticipato per l’intero e aveva diritto ad avere rimborsate dalla coerede per la quota della metà; quindi la sentenza n. 1349/2016 deve essere cassata con rinvio sul punto.

7.1. Invece non è configurabile alcuna violazione delle disposizioni sulle presunzioni e sulla valutazione delle prove lamentata con il primo motivo di ricorso incidentale, in primo luogo perché la denuncia in cassazione di violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ. ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. può prospettarsi esclusivamente quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti, ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. Sez. 2 21-3-2022 n. 9054 Rv. 664316-01). Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma soltanto se si alleghi che lo stesso abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependole senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. Sez. 1 1-3-2022 n. 6774 Rv. 664106-01, Cass. Sez. 6-1 17-1-2019 n. 1229 Rv. 652671-01, Cass. Sez. 6-L 27-12-2016 n. 2700 Rv. 642299).

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Nella fattispecie gli argomenti svolti dal ricorrente incidentale non fanno emergere la violazione o falsa applicazione né dell’art. 2729 cod. civ. né dell’art. 116 cod. proc. civ., perché gli argomenti propongono in modo non consentito in sede di legittimità una rivalutazione del materiale probatorio acquisito al processo, sulla base dell’assunto che tale materiale istruttorio non sarebbe stato esattamente valutato dal giudice di merito.

8.E’ inammissibile anche il secondo motivo di ricorso incidentale, in quanto lamenta l’omesso esame ai sensi dell’art. 360 co. 1 n.5 cod. proc. civ. di elementi istruttori e di elementi presuntivi.

L’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. riformulato dall’art. 54 d.l. 83/2012 conv. in L. 134/2012 ha introdotto il vizio relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. 2 29-10-2018 Rv. 651028-01, Cass. Sez. 2 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629831-01). Nella fattispecie la sentenza ha analiticamente preso in esame il rendiconto presentato dal convenuto e ha esposto le ragioni per le quali ha ritenuto una serie di voci di spesa non provate; specificamente, con riguardo alle spese per le badanti sulle quali il ricorrente incidentale insiste, la sentenza ha espressamente dichiarato che si trattava di spese non documentate ma neppure in altro modo provate, per cui non è configurabile omesso esame di fatto storico ex art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ.

9.Il giudice del rinvio, oltre a provvedere a quanto indicato ai punti 4 e 7, statuirà anche sulle spese del giudizio di legittimità ex art. 385 co. 3 cod. proc. civ.

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P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso principale, il primo motivo di ricorso incidentale nei limiti di cui in motivazione, dichiara inammissibili per il resto i motivi di ricorso incidentale, assorbiti il primo e terzo motivo di ricorso principale, cassa le sentenze impugnate limitatamente ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte D’Appello di Genova in diversa composizione anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 14 dicembre 2023

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2024.

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