Atti di emulazione ex art. 833 c.c.
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art. 833 c.c. atti d’emulazione: il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri.
A norma dell’art. 832 c. c. il proprietario ha diritto di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo, ovviamente osservando i limiti stabiliti dall’ordinamento; l’ampiezza del suo diritto subisce invece una compressione di diversa intensità qualora sulla medesima cosa gravino altri diritti reali di godimento, fino al punto che la proprietà viene denominata “nuda” nel caso in cui con essa concorra il diritto di usufrutto[1].
Il proprietario, insomma, del suo bene, può farne ciò che vuole, ma non può compiere degli atti al solo scopo di arrecare danno ad altri.
Appare dunque chiaro che il proprietario non può esercitare il suo diritto in modo arbitrario, badando al suo esclusivo interesse personale.
La necessità di fissare dei limiti al diritto di proprietà risponde all’esigenza di salvaguardare tanto gli interessi privati (limiti posti nell’interesse privato), in special modo degli altri proprietari, quanto quelli della collettività (limiti posti nell’interesse pubblico).
Il significato di tale divieto è evidente: l’esercizio del diritto di proprietà non può divenire strumento per danneggiare o infastidire gli altri soggetti.
E’ d’obbligo, però, sottolineare stante le problematicità di dimostrare la mancanza di utilità del proprietario, come si avrà modo da qui a poco di analizzare, tale fattispecie è rimasta (e tutt’ora rimane) di difficile applicazione.
La previsione ex art. 833 cod. civ. ha, per altro, carattere residuale di vera e propria norma di chiusura ed è invocabile soltanto se manchino specifiche violazioni di altre disposizioni[2].
La giurisprudenza, tranne in rari casi, ha sempre preferito dare un’interpretazione restrittiva della norma di cui all’art. 833 cod. civ., che si manifesta nell’escludere la sua applicazione analogica fuori dal campo dei diritti reali.
In diritto si definisce atto emulativo o atto di emulazione quell’atto, costituente esercizio di un diritto soggettivo, che non abbia altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri, configurandosi così come abuso del diritto.
Fondamento del divieto degli atti emulativi è, pertanto, il principio dell’abuso del diritto.
Tale principio discende dalla concezione dei diritti soggettivi quali forme di tutela di interessi socialmente apprezzabili.
Il principio dell’abuso del diritto è un principio generale che segna un limite alla tutela del diritto stesso; diversamente da altri limiti, che restringono in via preventiva ed astratta il contenuto del diritto, il principio dell’abuso riguarda l’alterazione funzionale di quest’ultimo, poiché colpisce atti che risultano nocivi per gli altri.
Il divieto di abuso del diritto si pone, quindi, come limite esterno all’esercizio, potenzialmente pieno ed esclusivo, del diritto soggettivo.
Come noto, nel nostro ordinamento non esiste una norma che sanzioni in via generale l’abuso del diritto.
È configurabile un abuso quando un diritto viene esercitato in contrasto con la buona fede o con lo scopo in vista del quale il diritto stesso è stato riconosciuto dal legislatore. Le norme di riferimento sono l’art. 833 e l’art. 1175 c.c. L’idea di sovrapporre l’ipotesi della emulazione ex art. 833 c.c. e la clausola generale della buona fede oggettiva ex art. 1175 c.c.
2) Elementi costitutivi
La Corte di Cassazione[3], secondo quello che risulta essere l’insegnamento dominante, ritiene che l’atto emulativo, così come disciplinato dall’art. 833 c.c., si inscrive nell’ambito dei limiti alle facoltà di godimento da parte del proprietario e dunque al contenuto del diritto di proprietà, sanzionando come comportamenti illeciti atti che pure astrattamente sono configurabili conformi al diritto in quanto esplicazioni delle suddette facoltà.
La sussistenza di un atto emulativo presuppone il concorso di due elementi, ovvero che sia privo di utilità per chi lo compie e che abbia il solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri.
La predetta figura, a parere di chi scrive, si ravvisa quando sussistono le seguenti condizioni:
1) il compimento dell’atto stesso nell’ambito dell’esercizio del diritto di proprietà;
2) la finalità pregiudizievole;
3) l’inutilità dell’atto;
4) la molestia ed il danno che l’atto è idoneo ad arrecare ai terzi;
5) la prova che l’atto compiuto dal proprietario appaia inutile.
In merito alla prova deve essere considerata priva di fondamento giuridico la domanda con la quale si intenda ottenere la rimozione di manufatti insistenti sul fondo limitrofo (nella specie baracche) qualora non venga fornita prova circa la violazione di prescrizioni specifiche – inerenti ai limiti posti al diritto di proprietà – quali quelle indicate negli artt. 844 (relativo alle immissioni) o 833 (relativo agli atti di emulazione) c.c.[4].
Preliminarmente contro gli atti emulativi è possibile esperire un’azione di risarcimento danni (per equivalente o in forma specifica) o un’azione inibitoria.
L’atto riconosciuto emulativo, dovendo, ai sensi dell’art. 833 del cc., considerarsi illecito, produce la conseguenza della rimozione della molestia (demolizione dell’opera) o del risarcimento del danno , anche in applicazione degli articoli 2043 e 2058 del c.c.
Riguardo, poi, il compimento dell’atto stesso secondo autorevole dottrina[5] al fine di dare effettiva applicazione alla regola, dovrebbe però aversi riguardo non già all’animus (che è irrilevante perché quel che conta è il fatto di recare molestia, non l’intenzione di recarla: essa, infatti, se non c’è vantaggio, è in re ipsa) ma al rapporto oggettivo tra vantaggi del proprietario e svantaggi del terzo, anche ex artt. 2 seconda parte e 42 2 co Cost., con conseguente obbligo, se del caso, di attivarsi (ad es. potando le piante) per la salvaguardia dell’altrui interesse.
Per altra dottrina[6], avallata dalla Giurisprudenza quasi unanime, l’atto emulativo consiste in un atto di esercizio del diritto di proprietà, con finalità pregiudizievole. Quest’ultima è intesa come animus nocendi, ossia intenzione dolosa di arrecare danno.
L’opinione della dottrina prevalente vede nell’intenzione dolosa elemento costitutivo della fattispecie dell’atto di emulazione, la cui prova è a carico del danneggiato.
Pertanto, la condotta dell’agente deve essere connotata dal c.d. animus nocendi, il quale consiste, oltre alla dolosa volontà di nuocere, nella mancanza di qualsivoglia vantaggio per l’agente e per l’intrinseca dannosità dell’atto stesso.
In particolare, il danno che l’atto è idoneo a cagionare consiste nella lesione di interessi che non sono già autonomamente tutelati nella vita di relazione.
Infatti, in giurisprudenza si afferma pacificamente che, per aversi un atto emulativo vietato ai sensi dell’art. 833 c.c., è necessario che l’atto di esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie e sia posto in essere al solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri.
Si è osservato che dal lato soggettivo è necessario, perché ricorra l’animus nocendi, che l’esercizio del diritto di proprietà sia compiuto esclusivamente allo scopo di danneggiare e/o ledere l’interesse del vicino.
Questo elemento costitutivo, pur pacificamente riconosciuto come l’elemento fondante e caratterizzante l’atto emulativo, è stato oggetto di diverse interpretazioni, come già segnalato.
La necessità della condotta in senso di comportamento materiale è data anche in virtù di un’altra pronuncia[7] secondo la quale l’atto emulativo non può consistere in un’astensione dal tenere un qualche comportamento, di guisa che o esiste un obbligo di fare, indipendentemente dalla norma di cui all’art. 833 cod. civ., e allora il comportamento violatore dell’obbligo troverà nella norma che lo impone anche la sua sanzione, ovvero, se tale obbligo non esiste, una condotta negativa non è idonea a integrare la nozione di atto emulativo, non essendo ravvisabile in essa, come esige la norma sopra indicata, il solo scopo di nuocere o di recare ad altri molestia.
Ritenere che l’atto emulativo possa consistere anche in una condotta omissiva, costituisce violazione dell’art. 833 cod. civ. sia perché la norma, letteralmente, vieta al proprietario il compimento di atti; sia perché non è configurabile un atto emulativo se manca qualsiasi vantaggio per il suo autore, ed invece, il non fare, determina sempre un vantaggio in termini di risparmio di spesa e o di energia psico fisica.
Poi per aversi atto emulativo vietato dalla legge non è sufficiente che il comportamento del soggetto attivo arrechi nocumento o molestia ad altri, occorrendo altresì che il fatto sia posto in essere per tale esclusiva finalità senza essere sorretto da alcuna giustificazione di natura utilitaristica dal punto di vista economico e sociale, con la conseguenza che l’atto emulativo non è configurabile qualora il proprietario ponga in essere degli atti che, pur essendo contrari all’ordinamento e comportanti molestia e nocumento ad altri, siano soggettivamente intesi a procurargli un vantaggio[8].
3) Casistica
1) Atti non emulativi
Non costituisce atto emulativo, vietato ai sensi dell’art. 833 cod. civ., la sostituzione di una siepe con un muro in cemento, volto a precludere ai vicini l'”inspectio” nel proprio fondo, in quanto, rimanendo la funzione del manufatto identica a quella della siepe, tale sostituzione non può dirsi manifestamente priva di utilità. Invero, ponendosi il carattere emulativo come limite esterno al diritto di proprietà esercitabile dal confinante, lo stesso deve essere valutato in termini restrittivi, con la conseguenza che, se pure la nuova opera possa non rispondere completamente a quei requisiti funzionali che ne avevano giustificato la creazione, tuttavia l’obiettiva idoneità a soddisfarli in gran parte consente di escludere la ravvisabilità dell’atto emulativo[9].
Ancora, l’azione proposta dal proprietario di un immobile, allo scopo di opporsi a che una porzione del bene venga da altri abusivamente utilizzata, non può costituire atto emulativo, quali che siano le sue finalità, in quanto si ricollega comunque anche a un vantaggio di quel proprietario[10] (nella specie, non è stato ritenuto atto emulativo l’impedimento da parte del proprietario di un’area a che il titolare del diritto di servitù[11] di passaggio su di essa vi costruisse, pur senza averne diritto, un casotto ancorché di minime dimensioni).
In senso generale[12] il diritto di servitù di passo carrabile su una strada privata che si collega ad una strada pubblica si estende per l’intero compendio immobiliare di proprietà della titolare di tale diritto e non per una singola parte di essa.
Le modalità di questo esercizio però devono essere le stesse con le quali tale servitù è stata usucapita, pertanto la modifica di tale esercizio, consistente nell’apertura di un nuovo passo carraio, costituisce aggravamento di servitù vietato; eventuali turbative poste in essere da parte del proprietario del fondo servente non potranno considerarsi atti meramente emulativi.
Non costituisce, altresì, atto di emulazione il fatto del vicino che abbia eseguito la costruzione di un muro sul confine alto tre metri, quando tale costruzione arrechi una pur minima utilità (purché non antisociale) all’autore dell’atto, essendo irrilevante la circostanza che detta utilità sia di gran lunga minore della molestia o del danno che si procura al vicino[13].
Non è riconducibile a tale categoria di atti l’azione del proprietario che chieda l’eliminazione di una veduta[14] aperta dal vicino a distanza illegale (nella specie si è esclusa la natura di atti emulativi dell’acquisto di una striscia di terreno antistante l’immobile in cui si aprono le vedute, in vista dell’aggiudicazione poi mancata del medesimo in sede di asta pubblica, nonché dell’esercizio dell’azione di rispetto delle distanze legali[15]).
Ovvero[16], per aversi atto emulativo vietato dall’art. 833 cod. civ. è necessario che l’atto di esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie e che sia stato posto in essere con il solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri, onde non è riconducibile a tale categoria di atti l’azione del proprietario che chieda la riduzione della costruzione realizzata dal vicino in violazione delle distanze legali[17].
Per altra medesima pronuncia[18] per aversi atto emulativo è necessario che l’atto di esercizio del diritto non arrechi utilità al proprietario ed abbia solo lo scopo di nuocere o recare molestia ad altri; conseguentemente non può considerarsi emulativa la domanda di eliminazione di una veduta aperta dal vicino a distanza illegale (artt. 905, 906 Cod. Civ.), che tende al riconoscimento della libertà del fondo ed alla rimozione di una situazione illegale e pregiudizievole.
Non può considerarsi emulativa la domanda di eliminazione di una veduta aperta dal vicino a distanza illegale (artt. 905, 906 cod. civ.), che tende al riconoscimento della libertà del fondo ed alla rimozione di una situazione illegale e pregiudizievole[19].
Non è riconducibile alla categoria degli atti emulativi l’azione del proprietario che chiede la riduzione della costruzione realizzata dal vicino violando gli accordi negoziali sulle dimensioni del manufatto ed arrecando pregiudizio estetico[20].
L’unica pronuncia delle sezioni unite[21] in tema ha stabilito che l’atto d’emulazione richiede un comportamento che il proprietario, in quanto tale ed in connessione alle facoltà che a detto titolo gli spettano, pone in essere al solo scopo di nuocere o recare molestia ad altri, e, pertanto, non è configurabile con riguardo all’azione che il proprietario stesso proponga contro il vicino per pretendere l’adempimento di un obbligo contrattualmente assunto.
Né è riconducibile nella previsione dall’art. 833 cod. civ. l’attività edificatoria posta in essere dal proprietario in violazione delle norme pubblicistiche disciplinanti lo ius aedificandi , in quanto comunque preordinata al conseguimento di un diretto concreto vantaggio, né il mantenimento dell’opera iniziata e non ultimata perché in contrasto con dette norme, il quale (salva l’ipotesi dell’inosservanza delle distanze legali e di un provvedimento amministrativo di riduzione in pristino) rientra sempre nel legittimo esercizio dei poteri del proprietario, sia in relazione a possibili diverse utilizzazioni del manufatto incompiuto, sia con riferimento a un’eventuale abrogazione delle norme limitative, sia con riguardo agli oneri cui l’interessato dovrebbe altrimenti soggiacere per ridurre in pristino lo stato dei luoghi[22].
L’esperimento dell’actio negatoria servitutis[23], in quanto diretta a tutelare la consistenza e libertà da pesi del fondo, non può configurare atto d’emulazione secondo la previsione dell’art. 833 cod. civ.[24]
Non costituisce atto emulativo l’installazione, da parte del proprietario di un fondo, di un cancello all’ingresso dello stesso per impedire l’entrata di persone estranee[25].
Si è inoltre al di fuori dell’atto di emulazione, per l’insussistenza di tale scopo, quando il proprietario, nell’assolvere legittimamente all’esigenza di recingere il proprio fondo, consenta con atti univoci, e senza limitarlo, che l’altrui diritto di passaggio continui a essere esercitato sul fondo asservito[26] (nella specie fornendo al titolare della servitù le chiavi dei cancelli di chiusura).
Si è, parimenti, al di fuori di tale ipotesi quando concorra un qualche vantaggio per il proprietario da cui l’atto stesso è compiuto, come nel caso di esercizio della facoltà di chiusura del fondo, salvo che le specifiche modalità di essa (nella specie, con un muro, in sostituzione della rete metallica) possano in concreto integrare l’atto emulativo[27].
Non si verifica l’atto emulativo allorquando il proprietario si opponga all’utilizzazione abusiva del suo bene da parte di altri. (Nella specie non è stato ritenuto atto emulativo l’impedimento da parte del proprietario di un’area a che il titolare del diritto di servitù di passaggio su di essa vi costruisse, pur senza averne diritto, un casotto ancorché di minime dimensioni)[28].
Si è al di fuori dell’ipotesi prevista dall’art. 833 cod. civ. quando il proprietario, che l’atto ha compiuto, si proponga di trarne un vantaggio apprezzabile, come, nel caso della comunione forzosa del muro sul confine, il vantaggio di fare del muro stesso qualunque uso compatibile con la sua natura e con i diritti del vicino, fra i quali usi rientra anzitutto quello di servirsi del muro come recinzione del proprio fondo[29].
2) Atti emulativi
La collocazione, su un terrazzo, di piante di alto fusto (nella specie, alberi di lauro) che impediscano l’esercizio del diritto di veduta del vicino senza apprezzabile vantaggio del proprietario, configura atto emulativo, come tale illecito (nella specie, il tribunale ha ritenuto atto emulativo la collocazione di piante che diminuivano la panoramicità dell’appartamento dell’attore in considerazione che i due cespiti trovavansi sullo stesso livello e che la collocazione non poteva essere giustificata sotto il profilo della tutela della riservatezza del convenuto in quanto la terrazza era sottoposta ad altri due piani del fabbricato dai quali era comodamente esercitabile la visuale sulla terrazza medesima)[30].
Il diritto del proprietario di un fondo di chiudere le luci presenti nel muro del vicino, costruendo in aderenza a questo, ai sensi dell’art. 904 cod. civ., non può esercitarsi, per il principio generale del divieto degli atti emulativi di cui all’art. 833 stesso codice, al solo scopo di arrecare nocumento e molestia al vicino, senza alcun vantaggio proprio[31].
Il manufatto costruito in aderenza non può avere, quale unico scopo, la chiusura delle luci di tolleranza (con ciò arrecando solo nocumento al confinante) ma deve altresì rivestire una qualche utilità – che sarebbe altrimenti impedita dalla permanenza delle aperture – per il costruttore[32].
Per aversi atto emulativo vietato ai sensi dell’art. 833 cod. civ. è necessario che l’atto di esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie e sia posto in essere al solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri, sicché è riconducibile a tale categoria di atti l’azione del proprietario che installi sul muro di recinzione del fabbricato comune un contenitore avente aspetto di telecamera nascosta fra il fogliame degli alberi posto in direzione del balcone del vicino[33].
La disposizione di cui all’art. 833 cod. civ., che condiziona la liceità della demolizione di un edificio sostenuto da muro comune all’esecuzione delle opere necessarie ad evitare ogni danno al vicino, si applica per analogia anche al caso di due edifici privi di muro comune, perché costruiti in aderenza, quando la tecnica costruttiva sia stata tale che l’uno svolge funzione di sostegno e appoggio all’altro[34].
4) Atti emulativi e condominio
Precisata la fattispecie ex art 833 c.c., si riportano qui di seguito alcune delle più rilevanti massime della Corte di Legittimità riguardo alla sussistenza o meno degli atti emulativi in ambito condominiale.
Va inoltre segnalato che, in tema di applicazione dell’art. 833 cod. civ. alla materia condominiale, la giurisprudenza ha affermato che la norma non può essere invocata fuori del campo per cui è dettata e, in particolare, contro un condomino, il quale eserciti il proprio diritto di rivolgersi al giudice per far dichiarare l’asserita nullità di una deliberazione dell’assemblea dei condomini[35].
Non costituisce atto emulativo l’azione dell’amministratore di un condominio per la cessazione dell’abuso di un bene comune da parte di un condomino che, servendosene a vantaggio della sua proprietà esclusiva, lo sottrae alla possibile utilizzazione comune, anche se non ancora attuale[36] (nella specie escavazione per ampliare i locali sotterranei del sottosuolo, destinato anche al passaggio di tubi e canali).
Poiché per configurarsi l’atto emulativo previsto dall’art. 833 c.c. è necessario che l’atto di esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie ed abbia lo scopo di nuocere o recare molestia ad altri, non è riconducibile a tale categoria la delibera del condominio che, nel disporre il ripristino della recinzione della terrazza a livello attraverso l’installazione di una rete divisoria fra la parte di proprietà esclusiva del condomino e quella di proprietà comune, abbia la finalità di impedirne l’usucapione e di delimitare il confine, garantendo a tutti i condomini l’accesso alla parte comune[37].
Per ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 22 gennaio 2016, n. 1209
tenuto conto che, ai sensi dell’articolo 833 c.c., integra atto emulativo esclusivamente quello che sia obiettivamente privo di alcuna utilita’ per il proprietario ma dannoso per altri, e’ legittima e non configura abuso del diritto la pretesa del condomino al ripristino dell’impianto di riscaldamento centralizzato soppresso dall’assemblea dei condomini con delibera dichiarata illegittima, essendo irrilevanti sia la onerosita’ per gli altri condomini – nel frattempo dotatisi di impianti autonomi unifamiliari – delle opere necessarie a tale ripristino sia l’eventuale possibilita’ per il condomino di ottenere eventualmente, a titolo di risarcimento del danno, il ristoro del costo necessario alla realizzazione di un impianto di riscaldamento autonomo
Lo stendere il bucato ed i tappeti in modo da oscurare la finestra dell’appartamento sottostante costituisce atto emulativo, vietato ai sensi dell’art. 833 c.c., quando è possibile utilizzare altre posizioni o, comunque, stendere in modo da evitare l’oscuramento delle aperture sottostanti[38].
Deve essere cassata la sentenza del giudice del merito che ha riconosciuto il diritto dell’attore – proprietario di un appartamento in un condominio – a mantenere il tratto di canna fumaria attraversante l’appartamento sovrastante il suo e l’illiceità del comportamento del proprietario di questo (che aveva eliminato il passaggio) con conseguente suo obbligo al ripristino, solo in forza del rilievo che l’attore è proprietario del camino, costituente pertinenza del suo appartamento, e trae da questo utilità.
La proprietà, con conseguente uso e/o utilità di un bene (nella specie: camino, sito nell’appartamento di un condomino), infatti, non comporta automaticamente il diritto di poter installare e mantenere nell’altrui proprietà (cioè nell’appartamento di altro condomino) strutture o manufatti (nella specie: tratta di canna fumaria) ancorché necessarie per il suddetto uso e/o utilità, in assenza di un titolo giuridico valido che legittimi la compromissione della proprietà altrui[39].
Per aversi atto emulativo vietato ai sensi dell’art. 833 c.c. è necessario che l’atto di esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie e sia posto in essere al solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri, sicché è riconducibile a tale categoria di atti l’azione del proprietario che installi sul muro di recinzione del fabbricato comune un contenitore avente aspetto di telecamera nascosta fra il fogliame degli alberi posto in direzione del balcone del vicino[40].
Le limitazione degli usi cui possono essere destinate le unità immobiliari di proprietà esclusiva, facenti parte di un condominio, possono derivare dal regolamento condominiale approvato da tutti i condomini. Infatti le disposizioni dell’art. 1102 c.c. regolano soltanto il concorso del godimento dei condomini sul bene comune e non già i rapporti tra le parti oggetto di proprietà esclusiva, tra di loro e in relazione alle parti comuni: rapporti che trovano la loro regolamentazione nelle disposizioni sulla proprietà in generale, e in particolare negli artt. 833 e 844 c.c.; mentre l’art. 1122 c.c. riguarda soltanto il compimento di opere nel piano o porzione di piano di proprietà esclusiva, che possano danneggiare le parti comuni dell’edificio, e non già una semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro[41].
Infine, non costituisce applicazione di un principio generale il divieto per il proprietario di compiere atti che non abbiano se non lo scopo di nuocere o recare molestia ad altri; pertanto, la norma dell’art. 833 cod. civ. non può essere invocata fuori del campo per cui è dettata e, in particolare, contro un condomino, il quale eserciti il proprio diritto di rivolgersi al giudice per far dichiarare l’asserita nullità di una deliberazione dell’assemblea dei condomini[42].
[2] Trib. Napoli 20 febbraio 1997
[3] Corte di Cassazione 11 aprile 2001, n. 5421, Corte di Cassazione 3.12.1997 n. 12258; Corte di Cassazione 9.10.1998 n. 9998; Corte di Cassazione 3.4.1999 n. 3275
[4] Tribunale L’Aquila, civile, sentenza 22 ottobre 2009, n. 236
[5] Gazzoni
[6] De Martino – Torrente – Capozzi, per tutte Corte di Cassazione 25.3.1995, n. 3558
[7] Corte di Cassazione sentenza 20 ottobre 1997, n. 10250
[8] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 5 marzo 1984, n. 1515, Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 6 febbraio 1982, n. 688
[9] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 3598 del 07 marzo 2012
[10] Corte di Cassazione sentenza 8 novembre 1977, n. 4777. Conforme Corte di Cassazione sentenza 5 febbraio 1968, n. 363
[11] Per una maggiore disamina dell’istituto aprire il seguente collegamento Le servitù prediali
[12] Tribunale Firenze, Sezione 2 civile, sentenza 18 aprile 2006, n. 1343
[13] Trib. Nardò 30 novembre 1966
[14] Per una maggiore disamina dell’istituto aprire il seguente collegamento Le luci e vedute
[15] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 3 aprile 1999, n. 3275
[16] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 3 dicembre 1997, n. 12258
[17] Per una maggiore disamina dell’istituto aprire il seguente collegamento Le distanze tra le costruzioni ex artt.873 e ss c.c.
[18] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 26 novembre 1997, n. 11852
[19] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 22 aprile 1992, n. 4803
[20] Corte di Cassazione sentenza 16 gennaio 1996, n. 301
[21] Corte di Cassazione, Sez. Un., sentenza 16-5-83, n. 3359.
[22] Corte di Cassazione sentenza 8 maggio 1981, n. 3010
[23] Per una maggiore disamina dell’istituto aprire il seguente collegamento Le azioni a difesa della proprietà: rivendicazione, negatoria, regolamento di confini, apposizione dei termini
[24] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 10 gennaio 1983, n. 173
[25] Corte di Cassazione sentenza 7 marzo 1986, n. 1509
[26] Corte di Cassazione sentenza 27 luglio 1984, n. 4448
[27] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 18 agosto 1986, n. 5066
[28] Corte di Cassazione sentenza 5-2-68, n. 363.
[29] Corte di Cassazione sentenza 12 ottobre 1960, n. 2670
[30] Trib. Napoli 20 febbraio 1997
[31] Corte di Cassazione sentenza 28 novembre 1992, n. 12759
[32] Trib. Afragola 30 novembre 2001. Cfr. Cass. 28 novembre 1992, n. 12759
[33] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 11 aprile 2001, n. 5421. L’atto emulativo, così come disciplinato dall’articolo 833 del Cc, si inscrive nell’ambito dei limiti alle facoltà di godimento da parte del proprietario e, dunque, al contenuto del diritto di proprietà, sanzionando come comportamenti illeciti atti che pure astrattamente sono configurabili conformi al diritto, in quanto esplicazioni delle suddette facoltà. La sussistenza, in particolare, di un atto emulativo presuppone il concorso di due elementi, ovvero che sia privo di utilità per chi lo compie e che abbia il solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri. Esattamente, pertanto, il giudice del merito ritiene essere emulativo il comportamento di chi collochi un contenitore, avente l’aspetto di una telecamera con un led e una lampadina al suo interno, sia perché posto in direzione della proprietà dell’attore (che si doleva della circostanza), sia perché situato tra le foglie degli alberi e quindi non immediatamente visibile dagli estranei, per cui lungi dallo scoraggiare eventuali malintenzionati dall’entrare nella proprietà dell’autore dell’atto, ha l’esclusivo scopo di recare molestia all’attore medesimo.
[34] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 14 maggio 1993, n. 5475
[35] Corte di Cassazione sentenza 17 ottobre 1969, n. 3394
[36] Corte di Cassazione sentenza 30 dicembre 1997, n. 13102
[37] Corte di Cassazione, Sez. II, sentenza 27/06/2005, n.13732
[38] Trib. Genova, Sez. III, 03/01/2006
[39] Corte di Cassazione, Sez. II, sentenza 02/07/2003, n.10455
[40] Corte di Cassazione, Sez. II, sentenza 11/04/2001, n.5421
[41] Corte di Cassazione sentenza 17/10/1969, n.3394
[42] Corte di Cassazione, Sez. II, sentenza 14/03/1975, n.970
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