Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 12 febbraio 2020, n. 3438.
La massima estrapolata:
A seguito della legge 15 febbraio 1999, n. 65, di attuazione della Direttiva Europea in materia di agenzia, per tutti gli affari conclusi durante il contratto l’agente ha diritto alla provvigione quando l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento (art. 3 della citata legge che ha così modificato l’art. 1748, comma 1, cod. civ.). Salvo che sia diversamente pattuito, la provvigione spetta all’agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. La provvigione spetta all’agente, al più tardi, inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico (art. 3 della citata legge che ha così modificato l’art. 1748, comma 4, cod. civ.). In tal modo la legge, sulla falsariga del modello tedesco, ha distinto tra il momento di acquisizione della provvigione ed il momento di esigibilità della provvigione già acquisita. Il momento di acquisizione è il momento in cui l’operazione promossa dall’agente è stata conclusa tra le parti; il momento di esigibilità è il momento in cui il preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione. Nella nuova disciplina giuridica, dunque, il fatto costitutivo della provvigione è la conclusione del contratto. Condizione di esigibilità è invece l’esecuzione del contratto da parte del preponente: la provvigione è esigibile nel momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione. Non è quindi necessaria la prova del buon fine dell’affare e cioè, in sostanza, dal pagamento del prezzo da parte del cliente. Indubbiamente, quindi, le leggi di attuazione della direttiva comunitaria prevedono una disciplina di maggior tutela del diritto alle provvigioni da parte dell’agente sia per quanto riguarda il momento genetico, sia in merito all’onere probatorio. Tuttavia, anche nella nuova disciplina, l’agente ha l’onere di provare, se non la esecuzione del contratto da parte del terzo, la conclusione del contratto e di specificare, nel caso di una pluralità di contratti promossi, quali siano stati i contratti conclusi e per quale ammontare. La nuova disciplina, in sostanza, non solleva l’agente dall’onere di precisare i fatti e di provare i fatti costitutivi del suo diritto alla provvigione e la conclusione tra le parti dei contratti da lui promossi.
Ordinanza 12 febbraio 2020, n. 3438
Data udienza 29 ottobre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente
Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere
Dott. VELLA Paola – Consigliere
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22651/2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata il 18/08/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/10/2019 da Dott. FEDERICO GUIDO.
FATTI DI CAUSA
L’avv. (OMISSIS) ha chiesto l’ammissione al passivo del fallimento della (OMISSIS) spa, in privilegio ex articolo 2751 bis c.c., del credito di 40.929,00 Euro derivante da prestazioni professionali di assistenza legale svolte nell’interesse del signor (OMISSIS), imputato, nella sua qualita’ di legale rappresentante della societa’ debitrice, in quattro procedimenti penali.
Il giudice delegato ha escluso il credito, trattandosi di compensi non dovuti dalla societa’.
Il Tribunale di Firenze ha respinto l’opposizione L. Fall., ex articolo 98 proposta dall’avv. (OMISSIS), rilevando, in primo luogo che il mandato professionale era stato conferito dal (OMISSIS) in proprio; in secondo luogo la prestazione non era riferibile alla societa’ poiche’ i comportamenti contestati al (OMISSIS) non si configuravano come atti svolti nell’espletamento del mandato professionale di amministratore della societa’ debitrice.
Avverso detto decreto ricorre per cassazione, con tre motivi, l’avv. (OMISSIS).
La curatela del Fallimento (OMISSIS) spa resiste con controricorso.
In prossimita’ dell’odierna adunanza il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo in relazione ai tre contratti con i quali l’avv. (OMISSIS) da una parte ed il signor (OMISSIS) dall’altra, nella sua veste di legale rappresentante della (OMISSIS) spa, avevano concluso un contratto di prestazione di opera professionale per i tre procedimenti oggetto della richiesta di insinuazione al passivo, pattuendo il relativo compenso.
Il Tribunale avrebbe omesso di rilevare una questione che pure era stata portata alla sua attenzione, vale a dire il fatto che la prestazione professionale dell’opponente trovava la propria origine nelle tre scritture private sottoscritte dalla societa’ fallita per il tramite del legale rappresentante e mai contestate.
Il secondo motivo denuncia violazione di legge, censurando la decisione impugnata per aver omesso di considerare l’esistenza dei contratti di conferimento dell’incarico professionale, conclusi prima del fallimento dalla societa’, i quali costituiscono il titolo in forza del quale il credito del ricorrente va ammesso al passivo del fallimento.
I motivi che, in quanto connessi, vanno unitariamente esaminati, sono inammissibili, in quanto si risolvono in una mera richiesta di rivalutazione dei fatti gia’ oggetto del sindacato del giudice di merito.
Il rapporto di prestazione d’opera professionale postula infatti il conferimento del relativo incarico, sicche’ quando, come nel caso di specie, sia contestata l’instaurazione di un siffatto rapporto, grava sull’attore l’onere di dimostrarne l’avvenuto conferimento, mentre compete al giudice del merito valutare se gli elementi offerti, complessivamente considerati, siano in grado di fornire una valida prova presuntiva (Cass. 1792/2017).
Nel caso di specie, il tribunale ha preso in esame i contratti indicati dal ricorrente, come desumibile dalla loro specifica indicazione (mandati professionali prodotti sub doc, 3,7,11) ed ha ritenuto, con adeguato apprezzamento di merito, che si sottrae al sindacato di legittimita’, che l’incarico professionale era stato conferito dal (OMISSIS) in proprio e non anche dalla societa’, ritenendo dunque che obbligato fosse il (OMISSIS), nel cui esclusivo interesse si era dispiegata l’attivita’ professionale del ricorrente.
Non sussiste dunque ne’ l’omesso esame di un fatto decisivo, posto che tutti i documenti risultano essere stati presi in esame, ne’ la dedotta violazione di legge, che si risolve, come gia’ evidenziato, nella censura alla valutazione di merito ed interpretazione dei titoli dedotti a fondamento della pretesa creditoria effettuata dal tribunale ed incensurabile nel presente giudizio.
Il terzo motivo denuncia la violazione dell’articolo 1720 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), deducendo che il tribunale avrebbe erroneamente ritenuto non dovuto il rimborso delle spese legali per la difesa del legale rappresentante della societa’, il quale era stato prosciolto con formula piena “perche’ il fatto non sussiste”, pur trattandosi di spese relative all’attivita’ svolta dal (OMISSIS) quale amministratore della societa’ e dunque nell’esclusivo interesse di quest’ultima.
Il motivo e’ inammissibile per difetto di decisivita’.
L’articolo 1720 c.c., infatti, si riferisce al rimborso delle spese sostenute dal mandatario per difendersi in un procedimento causalmente riconducibile all’esecuzione del mandato; in relazione a tale domanda di rimborso, applicando in via analogica la disposizione dell’articolo 1720 c.c., comma 2, all’amministrazione della societa’ di capitali, deve ritenersi che la legittimazione (al rimborso) spetta evidentemente all’amministratore nei confronti della societa’, ma non puo’ configurarsi un’azione diretta del terzo creditore (professionista) nei confronti della societa’.
Non vale dunque invocare a fondamento del credito dell’odierno ricorrente nei confronti della societa’ la disposizione dell’articolo 1720 c.c., comma 2, che trova applicazione al rapporto tra mandante (societa’) e mandatario (amministratore).
Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 4.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre a rimborso forfettario per spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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