Differenze tra peculato e furto aggravato

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 9 ottobre 2018, n. 45454.

Le massime estrapolate:

Sussiste il delitto di peculato quando l’agente fa proprio il bene altrui del quale abbia gia’ il possesso per ragione del suo ufficio o servizio e ricorre all’artificio o al raggiro (eventualmente consistente nella produzione di falsi documentali) per occultare la commissione dell’illecito; mentre vi e’ truffa, quando il pubblico agente, non avendo tale possesso, se lo procura mediante la condotta decettiva
Risponde del reato di furto aggravato, il dipendente della banca che si impossessa, mediante movimentazioni effettuate con i terminali dell’ufficio, di somme di danaro di clienti depositate in conti correnti, mentre configura il reato di cui all’articolo 646 cod. pen., l’appropriazione del denaro versato dal cliente della banca prima che esso venga accreditato sul conto corrente

Sentenza 9 ottobre 2018, n. 45454

Data udienza 28 giugno 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente

Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere

Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia – rel. Consigliere

Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 3/7/2017 della Corte di appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa GIORDANO Emilia Anna;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TAMPIERI Luca che conclude per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente il difensore, avvocato (OMISSIS), che conclude per l’accoglimento dei motivi di ricorso e, in subordine, per la rimessione della questione alla Sezioni Unite.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha revocato le statuizioni in favore della parte civile ed ha confermato la condanna di (OMISSIS) alla pena di anni tre di reclusione per una pluralita’ di delitti di peculato (articolo 314 cod. pen.) contestatigli ai capi A), B), C), D) ed E) della rubrica. L’imputato, direttore dell’Ufficio Postale di (OMISSIS), e’ stato ritenuto responsabile, in qualita’ di incaricato di pubblico servizio, dell’appropriazione di somme di denaro depositate sui libretti postali, ovvero, in relazione al capo B), su un conto corrente bancoposta, di alcuni utenti.
2. Con motivi di ricorso di seguito sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., il ricorrente denuncia plurimi vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale per la qualificazione dei fatti come delitto di peculato piuttosto, che truffa ovvero appropriazione indebita, e per la ritenuta qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio del direttore dell’Ufficio Postale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato, limitatamente al reato contestato al capo B), con riguardo alla qualificazione giuridica, come delitto di peculato, piuttosto che come reato di appropriazione indebita. Tale qualificazione, come sara’ di seguito precisato, comporta la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione intervenuta, in mancanza di cause di sospensione, il 21 luglio 2015 e la conseguente rideterminazione della pena inflitta allo (OMISSIS).
2. Sono, invece, infondate le ulteriori argomentazioni difensive che concernono la qualificazione soggettiva dell’imputato, autore delle operazioni eseguite sui libretti postali, in qualita’ di direttore dell’Ufficio Postale, quale incaricato di pubblico servizio, questione oggetto del secondo motivo di ricorso e dalla quale e’ opportuno prendere avvio nella disamina dei motivi di impugnazione, fermo restando, che, secondo la prospettazione difensiva, il ricorrente non aveva il possesso delle somme investite nei titoli di risparmio postale ovvero depositate sul conto bancoposta e che, dunque, l’utilizzo di attivita’ fraudolenta dispiegata in danno dei risparmiatori e correntista avrebbe dovuto comportare la riqualificazione come truffa.
3. I fatti materiali sono incontestati: si e’ accertato che l’imputato, nella qualita’, aveva contattato i titolari di alcuni libretti postali e li aveva invitati a cambiare tipo di investimento perche’ quello in corso era poco redditizio, illustrando loro un nuovo piano di investimento. I clienti, sulla scorta di tali indicazioni, a meno della (OMISSIS) che nulla aveva sottoscritto, avevano firmato un modulo di adesione ad una scheda di investimento e di prelievo in contanti delle somme giacenti sui libretti postali, operazioni queste regolarmente annotate sui titoli, e solo tempo dopo, recatisi presso l’Ufficio Postale per avere notizia dei loro investimenti, avevano appreso che, a fronte dei prelievi, non era stata registrata alcuna operazione di adesione al prestito obbligazionario loro proposto dallo (OMISSIS). La (OMISSIS) – titolare del libretto di risparmio indicato al capo E) della rubrica – aveva riferito che, in occasione dell’operazione di investimento, il libretto di deposito era stato ritirato dal direttore che le aveva restituito una fotocopia. Analoga operazione di investimento era stata prospettata ad un cliente, titolare di conto corrente bancoposta dal quale le somme erano state regolarmente prelevate, e mai investite.
4. La Corte distrettuale, ai fini della qualifica soggettiva dell’imputato, ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto sussistente la qualifica pubblicistica di incaricato di pubblico servizio in capo all’agente postale che operi nel settore della raccolta e gestione del risparmio postale attraverso libretti di risparmio postali e buoni postali fruttiferi.
5. A tale riguardo il ricorrente ha denunciato vizio di omessa motivazione poiche’ i giudici distrettuali si sono limitati a richiamare la piu’ recente giurisprudenza a fronte di contrastanti orientamenti della Corte di legittimita’ che, in fattispecie analoghe, hanno invece escluso la prestazione di un pubblico servizio da parte dell’agente postale che, nel settore cd. bancoposta, opera esattamente come un funzionario bancario che, in caso di appropriazione delle somme dei correntisti, risponde del delitto di appropriazione indebita (articolo 646 cod. pen.). Il ricorrente, a tal riguardo, ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale l’attivita’ di raccolta del risparmio non e’ ricompresa nel settore pubblicistico in virtu’ del fatto che (OMISSIS) s.p.a. opera per conto della (OMISSIS), essendo quest’ultima equiparabile ad un comune azionista che non interviene personalmente nei rapporti con la clientela, regolati esclusivamente dal diritto civile (Sez. 6, n. 18457 del 30/10/2014 – dep. 04/05/2015, Romano, Rv. 263359). La verifica della tipologia delle operazioni avrebbe, in ogni caso, imposto di ricondurre all’attivita’ cd. bancoposta perlomeno la condotta ascritta allo (OMISSIS) al capo B), condotta relativa ad uno strumento – il conto corrente postale – che anche la giurisprudenza richiamata nella sentenza impugnata, a sostegno dell’attivita’ pubblicistica nel settore del risparmio postale, riconduce ai servizi bancari offerti dagli istituti di credito, con conseguente necessita’ della riqualificazione della condotta come delitto di appropriazione indebita aggravata.
6. La censura del ricorrente – secondo la quale la Corte distrettuale si e’ limitata a conferire maggiore fondatezza alla piu’ recente sentenza di questa Corte e solo perche’ tale – non e’ fondata poiche’, viceversa, le argomentazioni sottese al piu’ recente orientamento ermeneutico, condivise dalla Corte territoriale, sono in linea con i principi, consolidatesi nella giurisprudenza di legittimita’, in relazione all’attivita’ svolta da (OMISSIS) nel peculiare settore della raccolta del risparmio postale, attraverso buoni fruttiferi e libretti postali, e che si sviluppano in linea di continuita’ con la lettura delle disposizioni recate dagli articoli 357 e 358 cod. pen., che incentrano la veste di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio sul riscontro del tipo di attivita’ in concreto svolta dal soggetto, sulla base di un canone di tipo oggettivo-funzionale, che prescinde dall’appartenenza del soggetto ad una pubblica amministrazione o ad un ente pubblico in senso formale. A tale fine, secondo la univoca interpretazione dell’articolo 358 cod. pen., occorre aver riguardo alla circostanza che l’attivita’ sia riconducibile ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio, disciplinati da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e, si afferma, ben puo’ ravvisarsi un soggetto qualificato anche nei casi in cui lo stesso operi per conto di societa’ per azioni, derivante dalla trasformazione di ente pubblico, che in concreto svolga o continui a svolgere un pubblico servizio.
7. Con riferimento all’Ente (OMISSIS) s.p.a., si e’ ritenuto, in particolare, che non ogni attivita’ svolta dalla societa’ puo’ dirsi riconducibile allo svolgimento di un pubblico servizio e che devono distinguersi i servizi di bancoposta, come enunciati e disciplinati dal Decreto del Presidente della Repubblica 144 del 2001, i servizi definiti riservati dal Decreto Legislativo n. 261 del 1999 e i servizi non riservati fra i quali rientra il servizio di raccolta di risparmio postale effettuata per conto di (OMISSIS) attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi, ai quali si applica il regime pubblicistico (Sez. 6, n. 10875 del 23/11/2016, dep. 2017, Carloni, Rv. 272079; Sez. 6, n. 14227 del 13/1/2017, Spataro, Rv. 269481).
8.1. Secondo tale condivisibile ricostruzione, “precisi indici normativi – il Decreto del Presidente della Repubblica n. 144 del 2001, articolo 2, comma 1, lettera b) e comma 6 – concorrono a configurare nel settore del risparmio postale, distinto dal settore della raccolta di risparmio tra il pubblico, un complessivo assetto normativo di (OMISSIS) s.p.a. e di (OMISSIS) dal quale traspare, al di la’ della natura privatistica degli strumenti societari e della comunanza di talune forme di disciplina a vigilanza con quelle proprie ai settori bancario e finanziario, la specifica connotazione pubblicistica della raccolta e dell’impiego del risparmio postale, in quanto per legge direttamente e unicamente finalizzato al perseguimento di interessi pubblici, facenti capo alla (OMISSIS), deputata a svolgere attivita’ e servizi normativamente definiti “di interesse economico generale”, consistenti, tra l’altro nel “ricevere direttamente depositi, con la garanzia dello Stato, da parte (…) di privati nei casi prescritti da leggi o da regolamenti” e nel “concedere finanziamenti, sotto qualsiasi forma, allo Stato, alle regioni, agli enti locali, agli altri enti pubblici, ai gestori di pubblici servizi, alle societa’ a cui la Cassa partecipa e agli altri soggetti indicati dalla legge”, utilizzando allo scopo, oltre al proprio patrimonio, “i fondi rimborsabili sotto forma di libretti di risparmio postale, buoni fruttiferi postali e di altri prodotti finanziari, assistiti dalla garanzia dello Stato (Decreto Legislativo n. 284 del 1999, articolo 2)”.
8.2. Nella richiamata sentenza n. 10875/2017 – alla quale si rinvia per la compiuta disamina degli indici normativi di riferimento – sono oggetto di puntuale individuazione e analisi la natura degli strumenti di risparmio postale (libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi), quali forme di investimento prudenziale caratterizzate in principio dall’immediata liquidabilita’ dell’investimento senza perdite in conto capitale o penalizzazioni, in cio’ distinguendosi anche dagli investimenti nei comuni titoli di Stato; la finalita’ di tutela del pubblico degli investitori a cui tale investimento e’ prioritariamente rivolto. Sotto altro aspetto viene individuata la necessita’ di fornire, attraverso tali strumenti, un flusso di fondi costante e a tassi moderati per il finanziamento delle attivita’ di pubblico interesse affidate alla cura e alla promozione della (OMISSIS) e, in coerenza con tali finalita’, il regime di esclusiva tuttora riservato per legge a (OMISSIS) S.p.a. o a societa’ da essa controllate per il collocamento presso il pubblico dei citati strumenti del risparmio postale (Decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973; Decreto del Presidente della Repubblica n. 144 del 2001; Decreto Legge n. 269 del 2003, articolo 5, comma 7, lettera a), esclusiva alla quale corrisponde il monopolio di (OMISSIS) S.p.a. nell’emissione dei buoni fruttiferi postali distribuiti da (OMISSIS) S.p.a., che a tale riguardo agisce “per conto della (OMISSIS)” (articolo 1, lettera b, Decreto del Presidente della Repubblica n.144/2001) nonche’ la previsione, sia per (OMISSIS) s.p.a. che per (OMISSIS) di specifiche strutture organizzative e di governo societario, oltre che peculiari normative contabili, di vigilanza e di controllo. Per l’esercizio delle attivita’ di bancoposta, (OMISSIS) S.p.a. e’ tenuta a istituire un sistema di separazione patrimoniale, organizzativa e contabile che ha trovato conferma nella previsione, recata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973, articolo 12, secondo il quale “Le persone addette ai servizi postali e di bancoposta, anche se dati in concessione ad uso pubblico, sono considerate pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, secondo la natura delle funzioni loro affidate, in conformita’ degli articoli 357 e 358 c.p.”, previsione, emendata del riferimento ai servizi di telecomunicazioni solo con il Decreto Legislativo n. 259 del 2003, articolo 218, lettera h, quindi in epoca successiva alla trasformazione in societa’ per azioni dell’ente (OMISSIS) e all’adozione del c.d. “Regolamento bancoposta” – nozione in linea, nel settore in esame, con il descritto criterio oggettivo-funzionale seguito dal legislatore del 1990 nel ridefinire a fini penali la nozione di (incaricato di) pubblico servizio, condiviso dalla giurisprudenza (ex multis Sez. 6, n. 46235 del 21/09/2016, Froio, Rv. 268127), criterio alla stregua del quale si presta ad essere superato, sulla base di piu’ meditato esame e del coordinamento delle disposizioni di legge, il denunciato contrasto tra decisioni di questa Corte nella materia.
8.3. Da tali premesse consegue che deve ritenersi accertata la qualificale pubblicistica rivestita dall’imputato in relazione ad operazioni inerenti la gestione dei fondi recati dai libretti postali che, come innanzi indicato, costituiscono strumenti di risparmio di interesse pubblico. Viceversa deve escludersi la qualifica pubblicistica dello (OMISSIS) con riguardo alla condotta di appropriazione di cui al capo B), che ha avuto ad oggetto somme depositate su un conto corrente postale, la cui gestione e’ riconducibile allo svolgimento di attivita’ creditizia dell’Ente (OMISSIS), in un settore perfettamente sovrapponibile, per la positiva disciplina che lo caratterizza, a quello degli operatori bancari.
9. Venendo ora al secondo aspetto oggetto della impugnazione, cioe’ il possesso o meno in capo all’agente postale delle somme giacenti sui libretti di deposito, ma analoghe ragioni valgono anche con riferimento alle somme depositate sul conto corrente bancoposta pur in carenza della qualifica soggettiva pubblicistica, secondo la sentenza impugnata, non e’ revocabile in dubbio che l’agente postale abbia il possesso delle somme investite. I giudici del merito, la sentenza impugnata richiama in proposito le argomentazioni svolte nella sentenza di primo grado, hanno evidenziato che il ricorrente, nella qualita’, aveva un obbligo di custodia del denaro, valori e titoli di dotazione all’Ufficio postale ed aveva la possibilita’ di operare sui libretti postali e sui conti dei clienti attraverso password e codice identificativo e che a lui erano contabilmente riconducibili le operazioni eseguite e poi, ma non sempre, annotate sui libretti postali. La Corte distrettuale ha evidenziato, inoltre, che la sottoscrizione, da parte dei titolari dei libretti, di “schede di adesione ad offerta di prestito obbligazionario con capitale garantito a scadenza e pagamento annuale degli interessi” era rimasta lettera morta perche’ mai le relative operazioni erano state registrate ne’ inserite nel sistema informatico di (OMISSIS) e che la necessita’ di ottenere dal cliente l’adesione al prestito obbligazionario, era essenziale non gia’ per conseguire il possesso del denaro ma per fornire una parvenza di legalita’ alle movimentazioni di denaro effettuate e per non insospettire i clienti che, infatti, solo dopo molto tempo chiesero notizie delle operazioni. Si era, pertanto, in presenza non di operazioni di liquidazione delle somme richieste dai titolari dei libretti e dei conti ovvero di una condotta truffaldina tenuta dal ricorrente per appropriarsi delle somme, ma di una condotta appropriativa, sussumibile nel delitto di peculato, occultata e camuffata attraverso le descritte annotazioni e prenotazione di prestito obbligazionario.
10. La Corte distrettuale, anche a tale riguardo, ha fatto corretta applicazione dei principi dettati da questa Corte sul criterio distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell’articolo 61 c.p., n. 9, criterio alla stregua del quale rileva il modo in cui il funzionario infedele viene in possesso del danaro o del bene del quale si appropria: precisamente, sussiste il delitto di peculato quando l’agente fa proprio il bene altrui del quale abbia gia’ il possesso per ragione del suo ufficio o servizio e ricorre all’artificio o al raggiro (eventualmente consistente nella produzione di falsi documentali) per occultare la commissione dell’illecito; mentre vi e’ truffa, quando il pubblico agente, non avendo tale possesso, se lo procura mediante la condotta decettiva (cfr., ex multis, Sez. 6, n. 10309 del 22/01/2014, Lo Presti, Rv. 259507; Sez. 1, n. 26705 del 13/05/2009, Troso, Rv. 244710; Sez. 6, n. 35852 del 06/05/2008, Savorgnano, Rv. 241186, specifica perche’ relativa a fattispecie di peculato postale).
10.1. Il ricorrente contesta la esattezza di tale ricostruzione e assume, viceversa, che l’imputato, per conseguire il possesso delle somme di denaro, non poteva far altro che indurre in errore i clienti che, senza la falsa prospettazione di investimenti obbligazionari e senza approfittare del rapporto fiduciario, mai avrebbero consegnato il libretto postale, ovvero fornito gli estremi del conto bancoposta, onde effettuare il prelievo del denaro. E’ stata solo la consegna di tali titoli – e non l’uso di password e identificativo personale che abilita all’uso del terminale – che ha immesso l’imputato nel possesso del denaro e, quindi, ha reso possibile la commissione dei fatti. Erroneamente, prosegue, i giudici del merito richiamano, ai fini di ritenere sussistente il possesso in capo all’imputato, un precedente che si riferisce a somme di denaro, custodite in cassa, e non a valori e titoli sui quali possono operare solo i correntisti e sui quali non e’ possibile ipotizzare un contemporaneo possesso, inteso come potere dispositivo, in capo al cassiere della Posta, ente che ne acquista la proprieta’. Conclusione, questa che trova conferma in un precedente di questa Corte, secondo il quale risponde del reato di furto aggravato, il dipendente della banca che si impossessa, mediante movimentazioni effettuate con i terminali dell’ufficio, di somme di danaro di clienti depositate in conti correnti, mentre configura il reato di cui all’articolo 646 cod. pen., l’appropriazione del denaro versato dal cliente della banca prima che esso venga accreditato sul conto corrente (Sez. 2, n. 43132 del 05/05/2016, Tamone, Rv. 268440; Sez. 5, n. 10758 del 21/12/2015, dep. 2016, Tanzi, Rv. 266334).
10.2. La tesi sostenuta dalla difesa, in relazione alla concreta fattispecie ed alle descritte modalita’ commissive, non ha pregio.
Il Giudice distrettuale ha evidenziato come, in forza del ruolo rivestito e della fiducia che i clienti riponevano in lui in ragione della sua qualita’, l’imputato si era peritato di chiamare vari risparmiatori proponendo loro un investimento piu’ vantaggioso, rispetto a quello dei libretti di risparmio in atto e, cosi’, li aveva convinti a sottoscrivere alcuni moduli per liquidare i primi e investire le somme in titoli piu’ redditizi. Non solo le dichiarazioni dei risparmiatori, e le operazioni informatiche registrate dal sistema operativo dell’ufficio – eseguite con codice personale identificativo e password dell’imputato – rimandano univocamente a questi come autore materiale delle operazioni ma evocano modalita’ di commissione dei fatti che confermano la configurabilita’ del possesso delle somme in capo all’imputato posta a fondamento della sentenza impugnata. Risulta evidente che l’imputato era a conoscenza della esistenza dei fondi custoditi sui libretti e sul conto corrente e che, in mancanza di alcuna iniziativa dei titolari diretta a disporre delle somme in deposito, era stato proprio il ricorrente a provocare la liquidazione dei fondi dei quali si era appropriato. A tal fine non era, pertanto, per nulla necessaria la disponibilita’ materiale dei libretti postali o gli estremi numerici del conto per potere eseguire le operazioni di interesse sulla provvista, provvista che era nel possesso e, comunque, nella detenzione dell’Amministrazione delle (OMISSIS), e, quindi dell’imputato, quale addetto allo specifico settore, che aveva un obbligo di custodia ed amministrazione in base al rapporto di deposito ed alle connesse facolta’ di disporne ben prima di qualsiasi richiesta di pagamento da parte degli utenti, con la conseguenza che l’escamotage di chiamare i risparmiatori (e il correntista) per ottenerne la sottoscrizione di documenti per il prelievo ed il successivo investimento, era finalizzata non gia’ ad acquisire il possesso ma a garantire un’apparente regolarita’ formale delle operazioni e mascherare l’illecita condotta posta in essere. Del resto, secondo la giurisprudenza civile, il libretto postale costituisce un mero titolo di legittimazione (e non un titolo di credito) le cui annotazioni sono destinate a fare prova nei rapporti tra banca e depositante senza che da cio’ derivi una presunzione legale assoluta di compimento delle operazioni annotate (cfr. articolo 1835 cod. civ. e Sez. 3, Sentenza n. 13643 del 16/06/2014, Rv. 631180 – 01), titolo di legittimazione che abilita l’utente ad esigere il pagamento delle somme presso qualsiasi ufficio postale.
Correttamente la sentenza impugnata ha richiamato un precedente di questa Corte che, con riguardo alle somme di danaro versate in banca dal titolare di un deposito in conto corrente – ma non vi ragione per aderire a diversa ricostruzione con riguardo ai libretti di risparmio – ha affermato che la proprieta’ della provvista spetta, ai sensi dell’articolo 1834 cod. civ., alla banca depositaria, mentre al correntista l’articolo 1852 cod. civ. riconosce solo il potere di disporre, in qualsiasi momento, delle somme risultanti a suo credito, escludendolo anche dal possesso di dette somme che, per quanto contabilizzate nel conto di sua pertinenza, fanno tuttavia parte della massa monetaria appartenente alla banca. Ne consegue – si osserva – che il cassiere di banca, in quanto destinatario dell’obbligo di custodia di danaro, ma anche dei valori e titoli in dotazione alla cassa, e’ titolare del possesso di essi e come tale, qualora disponga in proprio favore di somme depositate sul conto corrente, risponde di appropriazione indebita in danno della banca e non gia’ di delitti in danno del correntista perche’ l’azione svolta nei confronti di questi (falso o altro) interviene ad appropriazione indebita gia’ avvenuta ed al solo fine di “copertura contabile” (Sez. 6, n. 5170 del 10/11/1987, dep. 1988, Di Mise, Rv. 178242).
10.3. Con tale assunto non si pone in contrasto il precedente richiamato dal difensore (Sez. 2, n. 43132 del 05/05/2016, Tamone, Rv. 268440) che muove da premesse in fatto del tutto diverse poiche’, in questo caso, l’iniziativa dell’operazione di prelievo era del titolare del libretto postale che aveva richiesto un’operazione allo sportello e l’agente postale, a fronte delle esatte disposizioni impartitegli, aveva indicato sul libretto una cifra superiore a quella richiestagli al fine di appropriarsi della differenza tra quella consegnata all’utente e quella prelevata e si discuteva, dunque, della sussistenza dei reati di furto ovvero truffa aggravata, in danno dell’utente piuttosto che di fattispecie nella quale veniva in rilievo l’appropriazione delle somme in deposito.
11. Alla luce dei principi giuridici consolidati appena richiamati, deve ritenersi esatta la qualificazione giuridica dei reati ascritti al ricorrente ai capi A), C), D) ed E), come ricostruiti nella sentenza impugnata, la’ dove ha ritenuto integrare il delitto di peculato le condotte contestate al ricorrente nella sua qualita’ di direttore dell’ufficio postale di (OMISSIS), con riferimento al denaro, di cui egli aveva la disponibilita’ e il possesso ex qualitate, afferente a raccolta di risparmio postale e, pertanto, il ricorso va dunque, su tali punti e capi, rigettato.
12. La sentenza impugnata va, invece, annullata senza rinvio, ai sensi dell’articolo 620 c.p.p., lettera a), limitatamente al reato di cui al capo B), non essendo desumibili dagli atti elementi che impongano il proscioglimento ai sensi dell’articolo 129 cod. proc. pen.. Esso riguarda infatti l’appropriazione da parte del ricorrente di somme di denaro depositate su un conto corrente postale e, dunque, afferente ad un circuito a pieno titolo ricompreso nei comuni servizi bancari esercitati in un libero mercato concorrenziale e come tali caratterizzati, ai fini penali, da natura privatistica. Ne consegue, che la condotta contestata al ricorrente al capo B) va riqualificata come appropriazione indebita aggravata ai sensi dell’articolo 61 c.p., n. 9, e che di tale reato, commesso il (OMISSIS) va dichiarata l’estinzione per intervenuta prescrizione, realizzatasi alla data del 3 giugno 2015. Per l’effetto, va eliminato, ai sensi dell’articolo 620 c.p.p., lettera i), il relativo aumento per la continuazione stabilito nei giudizi di merito in un mese di reclusione, cosi’ rideterminandosi la pena complessiva per le restanti condotte in anni due e mesi undici reclusione, misura sulla quale va ragguagliata, ai sensi dell’articolo 317 bis cod. pen., la durata della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo B) perche’, qualificato come appropriazione indebita, il reato e’ estinto per intervenuta prescrizione e, per l’effetto, ridetermina la pena inflitta per i residui reati in anni due e mesi undici di reclusione e, in misura di pari durata la interdizione dai pubblici uffici. Rigetta nel resto il ricorso.