Desistenza dal commettere il reato e la volontarietà quale spontanea determinazione

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 10 dicembre 2018, n. 55041.

La massima estrapolata:

In tema di desistenza dal commettere il reato, la volontarietà intesa quale spontanea determinazione, si traduce nella scelta non necessitata di non proseguire nell’attività delittuosa, operata in una situazione di libertà interiore, indipendente da circostanze esterne, che rendano irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento del proposito (come nell’ipotesi del sopraggiungere degli agenti di polizia).

Sentenza 10 dicembre 2018, n. 55041

Data udienza 6 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BONITO Francesco M.S. – Presidente

Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio – Consigliere

Dott. BONI Monica – rel. Consigliere

Dott. BINENTI Roberto – Consigliere

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 17/01/2018 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MONICA BONI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. CENICCOLA Elisabetta, che ha concluso chiedendo;
P.G. conclude chiedendo che la Corte voglia rigettare il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza in data 17 gennaio 2018 la Corte d’appello di Napoli, pronunciando su rinvio dalla Corte di cassazione a seguito della sentenza del 21 settembre 2017, che aveva annullato la precedente pronuncia della stessa Corte territoriale del 15 marzo 2016, per quanto qui rileva, assolveva (OMISSIS) dal delitto di cui al capo L) di furto aggravato, commesso il 24 marzo 2013, per non aver commesso il fatto e rideterminava la pena nei suoi confronti in anni otto, mesi otto di reclusione ed Euro 3.800,00 di multa per le restanti imputazioni di cui ai capi A), B), C), D), E), F), G), H), I), M), N), O), P), Q), R), S), T); assolveva altresi’ per non aver commesso il fatto (OMISSIS) dai delitti di cui ai capi M) e U) di furto aggravato commesso il (OMISSIS) e di tentato furto aggravato commesso il (OMISSIS) e rideterminava nei suoi confronti in anni sette, mesi otto di reclusione ed Euro 3.700,00 di multa la pena inflittagli per le restanti imputazioni di cui ai capi A), E), F), G), H), I), L), N), O), P), Q), T), V).
Gli addebiti per i quali e’ stato confermato il giudizio di responsabilita’ riguardano la partecipazione ad un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro il patrimonio, attiva nel territorio di Napoli ed in quelli limitrofi, nonche’ molteplici episodi di furto in abitazione, tentato e consumato, la contraffazione di documenti d’identita’, il falso in generalita’, il porto illegale di arma comune da sparo, il porto ingiustificato di oggetti atti ad offendere e resistenza a pubblico ufficiale
2.Avverso la sentenza hanno proposto unico ricorso gli imputati per il tramite dei loro difensori, i quali hanno lamentato mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione e travisamento della prova.
Quanto al reato di cui al capo D), la Corte di appello ha ritenuto configurabile il delitto di cui all’articolo 495 c.p., pur avendo evidenziato che gli imputati erano stati impediti dal declinare le loro generalita’ perche’ stranieri, non a conoscenza della lingua italiana e privi dell’assistenza di un interprete, sicche’ la loro identificazione era avvenuta mediante consegna dei documenti in loro possesso, ritenuti in seguito contraffatti. In realta’, non e’ stato condotto nessun accertamento peritale su tali documenti, considerati falsi solo perche’ i nominativi non risultavano censiti. Del pari gli stessi non avevano declinato le loro generalita’ al giudice di Caserta sempre per la mancanza di interprete. La fattispecie di cui all’articolo 495 c.p., punisce chi dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identita’, lo stato o altra qualita’ personale e nel caso avrebbe potuto al piu’ ravvisarsi la fattispecie di cui all’articolo 497 bis c.p..
In relazione al reato di cui al capo E) la Corte di appello ha operato una ricostruzione diversa rispetto a quella condotta dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, incorrendo nel travisamento della prova; il giudizio di responsabilita’ si e’ basato sulla localizzazione dell’autovettura con targa lituana nella via Ferrarecce alle ore 03,20 e sulla sua sosta sino alle ore 03.30, dopo le quali aveva fatto rientro a (OMISSIS) e sui dati ricavati dai tabulati relativi alle utenze telefoniche in uso agli imputati, ritenuti indicativi dell’aggancio dei ponti ripetitori di (OMISSIS). La ricostruzione dell’episodio, operata nella sentenza impugnata, e’ inverosimile perche’ la circostanza dell’utilizzo di altra vettura da parte degli imputati non trova riscontro nelle conversazioni intercettate, nessuna delle quali utili a tal fine perche’ le intercettazioni erano iniziate solo successivamente all’episodio del 10 marzo, mentre quel giorno l’autovettura con targa lituana non aveva mai lasciato il territorio del comune di (OMISSIS), restando parcheggiata in via (OMISSIS) e soltanto l'(OMISSIS) si era spostata a (OMISSIS) nei pressi di via (OMISSIS), ove aveva sostato per quindici minuti per poi rientrare a (OMISSIS), luogo nel quale gli occupanti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati sottoposti a controllo senza fosse emersa la commissione di alcun illecito. Inoltre, gli imputati in quell’occasione erano risultati in possesso di utenze telefoniche diverse da quelle monitorate dalle forze dell’ordine in quel momento. La Corte di appello ha ritenuto che il delitto fosse stato commesso la notte dell'(OMISSIS) e non del 10 come sostenuto dal Tribunale nella sentenza di primo grado, recandosi a (OMISSIS) con veicolo diverso e facendo uso di utenze diverse da quelli sotto il controllo degli investigatori; in senso contrario, deve considerarsi che all’atto del controllo eseguito in quella notte nulla di sospetto fu rinvenuto sulle loro persone ed all’interno del veicolo sul quale si erano trovati. Gli elementi di prova sono stati oggetto di valutazione abnorme tanto piu’ che laddove la Corte di appello ha assolto gli imputati da alcuni addebiti ha dato atto dello scambio delle utenze telefoniche tra di essi, il che non offre certezze sulla presenza dei ricorrenti sul luogo di commissione del furto ed al riguardo le obiezioni difensive non hanno ricevuto congrua risposta.
In ordine al delitto di cui al capo F) di tentato furto commesso il 20 marzo 2013 si contesta la configurabilita’ del tentativo, che richiede il compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere il furto all’interno del condominio preso di mira. Per contro, in presenza dello stesso titolo di reato e delle medesime circostanze di tempo e luogo, gli imputati sono stati mandati assolti dal delitto di cui al capo U). Per il fatto di reato di cui al capo F) il giudizio di responsabilita’ e’ stato basato sulla prossimita’ del luogo a quello di perpetrazione dei furti di cui al capo G) pur senza si sia potuto individuare le parti lese e su quanto affermato nel corso delle conversazioni intercettate. In realta’ dalla lettura sinottica dei dialoghi, contenenti mere espressioni di opportunita’ in ordine all’ipotetica consumazione di un furto, non emergono elementi sufficienti ad individuare in modo chiaro la vittima, i beni da sottrarre ed il luogo di consumazione. Il solo stazionare nei pressi del condominio ed il presidiare la zona non sono sufficienti ad integrare gli atti idonei a commettere un furto, trattandosi di atti preparatori non punibili, nell’assenza di segni di effrazione e della denuncia di qualche proprietario degli appartamenti inclusi nel complesso edilizio, non potendosi escludere l’effettuazione di un mero sopralluogo e la desistenza volontaria per la presenza delle forze dell’ordine.
Anche l’attribuzione a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) delle utenze intercettate e’ astrusa poiche’ essi avevano commentato la presenza di una persona nei pressi del portone chiuso, il timore che si trattasse di una spia, la presenza di una pattuglia nei pressi di (OMISSIS), che pero’ non era stato controllato e non era stato riconosciuto come il soggetto stazionante nei pressi del condominio (OMISSIS). Si e’ dato per scontato che l’utilizzatore dell’utenza (OMISSIS) sia (OMISSIS), ma al progressivo 147 si comprende che tale soggetto e’ (OMISSIS), che non e’ un ennesimo alias del (OMISSIS), il che esclude che costui si fosse trovato sul luogo del delitto, anche perche’ il telefono recante quell’utenza non era stato rinvenuto sulla sua persona nel controllo dell'(OMISSIS). Non puo’ condividersi la motivazione del Collegio di primo grado che ha esteso la responsabilita’ a tutti i soggetti presenti in (OMISSIS) la mattina del (OMISSIS) per il solo fatto di essersi essi mantenuti in contatto telefonico, circostanza inidonea a configurare il concorso di persone nell’assenza di prova sull’apporto dato da ciascuno.
Quanto a delitto di cui al capo G) la Corte di appello ha ravvisato la responsabilita’ per il furto commesso in (OMISSIS) alle ore 10.05 del (OMISSIS) da parte degli stessi autori del furto di cui al capo F); in realta’, il mancato controllo da parte dei Carabinieri della seconda vettura significa che i correi erano distanti tra loro, il che avrebbe dovuto indurre ad escludere la responsabilita’ di tutti gli imputati per i due episodi criminosi, assunto che e’ privo di riscontri fattuali per la concomitanza degli orari, per la distanza tra i due luoghi, per la mancata osservazione della presunta altra vettura coinvolta. La sola intensita’ dei contatti tra correi non e’ sufficiente a configurare il concorso morale nel furto in danno del Basile, di cui non deve rispondere il (OMISSIS). Inoltre era stata individuata la posizione del solo (OMISSIS) tramite l’utenza in suo uso mentre le altre utilizzate dai complici non avevano sviluppato traffico telefonico con la oggettiva difficolta’ di associare ciascuna di esse ad un imputato.
Infine, poiche’ le conversazioni utili per la ricostruzione dei fatti sono quelle comprese tra le ore 10.20 e le ore 11.18 puo’ escludersi che i ricorrenti abbiano commesso il furto in danno del Basile per l’assenza di commenti sulle dimensioni della casa, sulle modalita’ di intrusione, sulla tipologia di refurtiva sottratta. L’esito negativo della perquisizione personale e veicolare rende ancor piu’ illogica la motivazione della sentenza che ha ritenuto provata la responsabilita’ degli imputati che avrebbero dovuto essere mandati assolti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono inammissibili.
1. Giova premettere che, con la sentenza di annullamento pronunciata all’esito del precedente giudizio di legittimita’, la Corte di cassazione aveva riscontrato il vizio di motivazione, inficiante la sentenza di appello, per non avere la stessa offerto congrua risposta alle obiezioni difensive, incentrate sul difetto di prova della partecipazione dei ricorrenti ai delitti di cui ai capi E), F), G), L), M) ed U) e sull’effettivo compimento della condotta criminosa di cui al capo D), in ordine ai quali illeciti aveva imposto una rinnovata conduzione del giudizio in piena liberta’ di apprezzamento dei dati probatori. La Corte di appello si e’ scrupolosamente attenuta al mandato cognitivo affidatole dal giudice di legittimita’ e ha riscontrato quanto segue.
2.In ordine al delitto di cui al capo D), ha osservato che il (OMISSIS), l’unico per il quale la questione e’ ancora sub iudice, una volta tratto in arresto per il tentato furto nel procedimento sub n. 2746/13 R.G.N.R. e processato col rito direttissimo dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, non aveva verbalmente rassegnato le proprie generalita’ perche’ non assistito da interprete; cio’ nonostante, aveva esibito il documento in suo possesso, rilasciato all’apparenza dalle autorita’ del paese d’origine, la Bulgaria, e tale documento alle successive indagini espletate era risultato contraffatto. Sul punto ha fatto rinvio all’esposizione degli esiti dei relativi accertamenti, come riportata nella sentenza di primo grado alla pag. 14 della sua motivazione, ove si legge in effetti che, dalle informazioni fornite dall’Interpol, la patente di guida, rilasciata dalle autorita’ bulgare ed esibita dal (OMISSIS), era risultata contraffatta. Ha aggiunto in punto di diritto che il delitto di cui all’articolo 495 c.p., deve ritenersi egualmente integrato anche quando l’autore, richiesto di fornire le proprie generalita’, presenti un documento d’identita’ perche’ tali generalita’ siano accertate in termini conformi a quanto attestato dal documento (Cass., sez. 5, n. 22585 del 23/03/2012, Hadgu e altro, rv. 252970; sez. 5, n. 4576 del 16/12/1975, dep. 10/04/1976, Minnic, rv. 133211).
2.1 Non ha dunque pregio l’obiezione difensiva che lamenta il mancato espletamento di verifiche mediante perizia sull’autenticita’ o meno della patente esibita dal (OMISSIS): non soltanto il rilievo e’ superato dalle informazioni acquisite presso le autorita’ bulgare, ma la pretesa lacuna investigativa e’ stata gia’ ritenuta insussistente e comunque non decisiva dalla sentenza rescindente, che sul punto ha ritenuto legittimo il rinvio alla sentenza di primo grado e superflua la conduzione di ulteriori accertamenti tecnici.
2.2 Anche le argomentazioni giuridiche sono pertinenti e coerenti con i dati probatori, poiche’ in punto di fatto risulta l’avvenuta identificazione del (OMISSIS) sulla scorta dei dati riportati nel documento risultato falso e dallo stesso esibito a tal fine.
3. Il delitto di furto di cui al capo E), perpetrato in danno dell’Ordine dei consulenti del lavoro di (OMISSIS) presso la sede di via (OMISSIS), e’ stato ricostruito dalla Corte di appello come avvenuto nella notte tra il (OMISSIS) a ragione del fatto che l’ufficio, secondo la testimonianza dell’impiegata (OMISSIS), era rimasto chiuso dal venerdi’ sera, (OMISSIS), sino al lunedi’ mattina, (OMISSIS), allorche’ la stessa alla riapertura aveva constatato l’asportazione degli oggetti indicati nell’imputazione. In sentenza si sono efficacemente illustrate le ragioni di tale determinazione, giustificata in dipendenza dell’avvenuto accertamento della presenza in (OMISSIS) nella via ove e’ avvenuto il furto dell’autovettura Fiat Stilo tg. (OMISSIS), con a bordo gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nella notte dell’Il marzo, allorche’ anche i telefoni cellulari dagli stessi impiegati avevano agganciato le celle che servono quella zona. Ha quindi ritenuto non plausibile la collocazione temporale dell’azione criminosa nella notte tra il (OMISSIS), nonostante l’autovettura predetta fosse stata localizzata dal sistema GPS, installato sulla stessa, in prossimita’ del luogo del furto, ove aveva sostato per dieci minuti per poi spostarsi sino alla citta’ di Napoli e ha ritenuto che tale movimento fosse stato finalizzato alla sola ispezione dei luoghi e compiuto a scopo preparatorio e prodromico alla sottrazione.
3.1 Le difese obiettano l’illogicita’ di siffatta ricostruzione perche’ affetta da inverosimiglianza, ma citano in chiave critica soltanto la motivazione della sentenza del Tribunale alle pagg. 71-72 ed assumono che nulla dimostrerebbe l’utilizzo da parte dei ricorrenti di un veicolo diverso dalla Fiat Stilo, che durante il giorno 10 e la notte seguente non sarebbe stata spostata da (OMISSIS). L’assunto difensivo ignora pero’ quanto affermato dai giudici di rinvio nella sentenza impugnata, che non hanno per nulla trattato il tema dell’impiego di un secondo veicolo e lamenta in modo inammissibile ed inefficace il vizio di travisamento della prova, perche’, senza offrire nessun tipo di riscontro documentale del lamentato fraintendimento, sostiene che il trasferimento a’ (OMISSIS) e la breve sosta di quindici minuti in via (OMISSIS) della predetta autovettura, avvenuti l'(OMISSIS) alle ore 03.20, non sarebbero coerenti con l’ipotesi rievocativa esposta in sentenza. Al contrario, la Corte di appello ha ritenuto in modo logico ed aderente ai dati probatori che assumesse rilievo dimostrativo la convergente presenza dei ricorrenti nei pressi del luogo del furto e l’aggancio da parte delle utenze in loro uso dei ripetitori che servivano la zona. In tal modo l’impugnazione si risolve nella mera espressione di dissenso, assertiva ed unilaterale, rispetto ad un giudizio di responsabilita’ che e’ stato congruamente giustificato in base a risultanze considerate propriamente nella loro evidenza.
3.2 La Corte di appello ha altresi’ osservato l’irrilevanza del mancato rinvenimento della refurtiva e di arnesi da scasso all’interno dell’autovettura occupata dai ricorrenti all’atto del controllo delle ore 03.20 dell'(OMISSIS), perche’ tali oggetti erano stati evidentemente gia’ eliminati o consegnati ad altri complici, come era consuetudine operativa del gruppo di razziatori.
3.3 Del pari sono inammissibili le obiezioni incentrate sull’interscambiabilita’ delle utenze cellulari tra soggetti appartenenti al sodalizio criminoso e sull’utilizzo da parte di ciascuno di piu’ utenze, che costituiscono soltanto censure astratte ed ipotetiche, oltre che indimostrate, che non danno conto nemmeno a livello assertivo delle ragioni lecite della sicura presenza in piena notte dei ricorrenti in prossimita’ del luogo del furto e quindi non provano i vizi infondatamente denunciati.
4. Il delitto di tentato furto in danno del condominio di (OMISSIS), via (OMISSIS), commesso il (OMISSIS) e contestato al capo F), e’ stato oggetto di disamina unitaria con altro episodio predatorio, quello di cui al capo G), perche’ perpetrati entrambi nello stesso arco temporale tra le ore 10.05 e le ore 11.00 dello stesso giorno. Richiamato il giudizio espresso dalla Corte di cassazione, secondo la quale anche per la prima vicenda era stato assicurato il rispetto del principio di tipicita’ del fatto di reato alla stregua di quanto desumibile dalle conversazioni intercettate ed in forza dell’avvenuta interruzione dell’azione a causa del sopraggiungere delle forze dell’ordine, il che dava conto in modo giuridicamente corretto della configurabilita’ del tentativo, la Corte di appello ha fatto rinvio a quanto esposto nella sentenza di primo grado alle pagg. 73-80. Il Tribunale aveva passato in rassegna gli esiti dell’attivita’ investigativa, che nella rievocazione operata dai verbalizzanti era stata condotta contestualmente mediante servizi di osservazione sul territorio da parte delle forze dell’ordine, pedinamento a distanza con sistema GPS della Fiat Stilo tg. (OMISSIS), intercettazione delle chiamate effettuate dagli imputati nel corso delle azioni furtive tra gli incaricati dell’esecuzione ed altro componente della banda, rimasto di guardia sulla strada. Da tali elementi aveva concluso che cinque tra i coimputati, fra i quali gli odierni ricorrenti, la mattina del (OMISSIS) si erano recati a (OMISSIS) a bordo di due vetture per realizzare due furti diversi, ma preordinati, a breve distanza l’uno dall’altro, progetto che soltanto in parte si era potuto realizzare, essendo stata sventata l’azione da compiere all’interno del condominio (OMISSIS) dalla presenza delle forze dell’ordine.
4.1 In replica alle censure contenute negli atti di gravame la Corte distrettuale ha aggiunto quali proprie argomentazioni che i luoghi di realizzazione dei due delitti capi F) e G) sono prossimi tra loro secondo quanto ricavabile dalla mappa satellitare, tratta dalla registrazione effettuata dal sistema GPS installato sulla vettura Fiat Stilo, al punto da autorizzare la conclusione che il (OMISSIS), lasciata l’auto in via (OMISSIS) vicino al condominio Eta, aveva potuto raggiungere a piedi l’abitazione del (OMISSIS) per svolgere le funzioni di palo mentre i complici avevano realizzato il furto. A tal fine sono stati valorizzati: la chiamata telefonica nella quale egli, chiesto se Dato fosse entrato, aveva affermato di essersi diretto verso il portone e di sostare li’; gli esiti del successivo controllo della Fiat Stilo, effettuato alle ore 11.20 di quello stesso giorno dopo che gli operatori di p.g. avevano visto il (OMISSIS) uscire dal condominio (OMISSIS), a bordo della quale erano risultati presenti il (OMISSIS), l’ (OMISSIS) ed il (OMISSIS); la presenza nella stessa zona e nello stesso arco temporale di cinque appartenenti al gruppo organizzatosi per realizzare furti e reati contro il patrimonio ed altri illeciti, come dimostrato dalle chiamate telefoniche intercettate su altrettante utenze, che avevano agganciato le celle poste a servizio dell’area di via (OMISSIS) e di via (OMISSIS); i costanti contatti telefonici, mantenuti tra gli appartenenti al gruppo, durante la perpetrazione delle azioni criminose e persino durante il controllo operato dai Carabinieri nei riguardi dell’equipaggio della Fiat Stilo, tanto che le conversazioni captate avevano consentito di ricostruire in modo univoco e chiaro il loro svolgimento. Dalla considerazione congiunta e coordinata di tali dati probatori la Corte distrettuale ha dedotto che, se soltanto tre dei correi erano stati individuati quali conducente e passeggeri della Fiat Stilo dopo che uno di essi era stato visto uscire dal portone dell’edificio condominiale (OMISSIS), altri due, ossia il (OMISSIS) e (OMISSIS), ovvero (OMISSIS), con la refurtiva asportata dall’abitazione del (OMISSIS) si erano trovati a bordo di un ulteriore veicolo non individuato, ma al quale era stato fatto espresso riferimento in conversazione richiamata a pag. 77 della sentenza di primo grado. Nel corso di tale dialogo il (OMISSIS) aveva chiesto a (OMISSIS) di parcheggiare il mezzo nuovamente in quel luogo a significare che egli era in possesso di autovettura diversa dalla Fiat Stilo, gia’ ferma nei pressi dell’abitazione presa di mira.
4.2 Il ricorso oppone a tale ricostruzione fattuale dei due episodi criminosi contestazioni inammissibili perche’ manifestamente infondate.
4.2.1 In primo luogo non puo’ piu’ porsi in discussione l’individuazione degli elementi costitutivi del tentato furto nella condotta contestata al capo F), che la Corte di cassazione ha gia’ ravvisato come correttamente individuati nella precedente sentenza di appello, annullata sotto diverso profilo. Inoltre, non assume rilievo dirimente che l’attivita’ istruttoria non abbia fatto emergere quale appartamento all’interno del complesso condominiale (OMISSIS) fosse stato il bersaglio del furto programmato e quindi quali beni dovessero essere asportati: e’ certo da quanto esposto soprattutto nella sentenza di primo grado che l’obiettivo dell’azione predatoria era un alloggio, dal quale, come negli altri casi oggetto di contestazione, gli imputati avevano programmato di asportare gli oggetti di valore, quali denaro, argenti, mobili e preziosi in genere, che fossero riusciti a reperire, secondo un intento manifestato gia’ in precedenti episodi analoghi, riscontrato dalle denunce di patito furto sporte dalle vittime ed emergente dai dialoghi intercettati. Ne’ l’assenza di segni di effrazione o di denunce da parte di proprietari esclude che il soggetto visto uscire dal complesso, il (OMISSIS), fosse riuscito a penetrare in una delle unita’ del luogo, posto che la tecnica impiegata nelle altre analoghe intraprese era stata in grado di aprire anche porte blindate senza lasciare tracce di forzatura o danneggiamenti.
4.2.2 Inoltre, non puo’ prendersi in considerazione nemmeno l’allegazione che riconduce il fatto all’ipotesi della desistenza volontaria dal progetto delittuoso. Non soltanto la difesa prospetta tale evenienza in termini eventuali e probabili, ma ricollega l’abbandono del proposito alla presenza delle forze dell’ordine: tanto e’ sufficiente per escludere che la mancata perpetrazione del furto sia stata determinata da volontaria decisione, assunta in via autonoma dagli agenti.
Questa Corte in tema di desistenza ha gia’ affermato che la mancata consumazione del delitto deve dipendere dalla volontarieta’ intesa quale spontanea determinazione, ossia dalla scelta non necessitata di non proseguire nell’azione criminosa, operata in una situazione di liberta’ interiore, indipendente da circostanze esterne, che rendono irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento del proposito, come nel caso vi si frappongano ostacoli fisici o il sopraggiungere degli agenti di polizia (sez. 4, n. 12240 del 13/02/2018, Ferdico e altri, rv. 272535; sez. 2, n. 7036 del 29/01/2014, Canade’, rv. 258791; Sez. 2, n. 51514 del 05/12/2013, Martucciello, rv. 258076; sez. 2, n. 18385 del 05/04/2013, Pesce e altri, rv. 255919). La connotazione volontaria della desistenza non deve essere confusa con la “spontaneita’” della medesima. La legge non assegna rilievo alle motivazioni interiori che inducono l’agente a desistere dall’azione criminosa, ma richiede, invece, con la previsione del requisito della volontarieta’, che la desistenza non sia riconducibile a cause esterne che rendano impossibile, o gravemente rischiosa, la prosecuzione dell’azione. Seppur non spontanea, tale prosecuzione non deve essere impedita da fattori esterni, che renderebbero estremamente improbabile il successo dell’azione medesima, come nel caso della presenza degli operatori di polizia in grado di trarre in arresto l’autore del delitto e di interferire, come nel caso di specie, con la sua libera determinazione.
Per contraddire quanto esposto non e’ idoneo il richiamo al dialogo progr. 130, che si inserisce in contestazioni prive di autosufficienza per non essere stato trascritto l’intero sviluppo delle frasi pronunciate da soggetto imprecisato. Si ricorda che, per quanto gia’ affermato da questa Corte e qui ribadito, “In tema di ricorso per cassazione, e’ onere del ricorrente, che lamenti l’omessa o travisata valutazione dei risultati delle intercettazioni effettuate, indicare l’atto asseritamene affetto dal vizio denunciato, curando che esso sia effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimita’ o anche provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione” (sez. 2, n. 25315 del 20/03/2012, Ndreko e altri, Rv. 253073; sez. 2, n. 24925 del 11/04/2013, Cavaliere e altri, rv. 256540; sez. 6, n. 29263 del 08/07/2010, Cavanna e altro, rv. 248192).
In ogni caso, l’affermazione intercettata, per cui “tre persone possono lavorare tranquillamente”, e’ stata intesa dai giudici di merito quale manifestazione dell’intento, non gia’ di svolgere un mero sopralluogo, quanto di svaligiare uno o piu’ appartamenti in condizioni stimate agevoli, tanto che chi lo aveva pronunciato aveva prospettato di intervenire personalmente in supporto di chi vi stava gia’ provvedendo. Non prova pero’ che i soggetti impegnati in quel momento avessero poi deciso di loro autonoma scelta di abbandonare il luogo, essendo riportati nella sentenza di primo grado i dialoghi dai quali emergono piuttosto i timori per la presenza di soggetti posizionati nelle vicinanze in atteggiamento di attesa e di osservazione, ritenuti dagli imputati appartenere alle forze dell’ordine.
Non sono valutabili nemmeno le obiezioni sulle ulteriori conversazioni intercettate, che danno conto dei timori considerati e che comunque non avvalorano l’assunto difensivo.
4.2.3 Ha gia’ ricevuto congrua replica anche la doglianza che censura l’identificazione nei ricorrenti dei soggetti usuari delle utenze intercettate ed in particolare del (OMISSIS) perche’ in un passaggio l’utilizzatore dell’utenza n. (OMISSIS) era stato appellato con lo pseudonimo (OMISSIS). Al riguardo la Corte di appello ha osservato che la censura era generica perche’ non in grado di opporre specifiche critiche alle argomentazioni esposte nella sentenza di primo grado, che aveva risolto il punto, osservando che gli imputati erano soliti fare uso di piu’ nominativi convenzionali e comunque che, seppur (OMISSIS) fosse individuabile nel (OMISSIS), detto anche (OMISSIS), questi si era trovato in quel frangente in compagnia del (OMISSIS) a bordo dell’altro veicolo non sottoposto a controllo da parte dei Carabinieri, sicche’ l’uso di quel soprannome non apportava nessun elemento favorevole alla difesa per ritenere che il (OMISSIS) fosse rimasto estraneo a quei fatti.
4.2.4 Infine, non possiede capacita’ confutativa il rilievo circa l’avvenuta dettatura da parte del (OMISSIS) del numero di utenza telefonica in suo possesso al momento del controllo, subito l'(OMISSIS), che nel ricorso si indica quale circostanza dimostrativa del fatto che la stessa non fosse realmente nella sua disponibilita’ perche’ “per comune esperienza e’ difficile ritenere che un malvivente non trovato in possesso del cellulare fornisca il proprio corretto numero di telefono cellulare”. E’ agevole obiettare che tale censura non dimostra nulla, ma prospetta una possibilita’ astratta, che non smentisce la presenza del ricorrente tra i correi trovatisi in (OMISSIS) impegnati nei due furti del (OMISSIS).
4.3 In riferimento al delitto di cui al capo G) le censure mosse dai ricorrenti si risolvono in una prospettazione alternativa ed in chiave deresponsabilizzante della vicenda; sostengono, infatti, senza fondamento ed in termini inammissibili nel giudizio di legittimita’, che la seconda vettura non controllata dai Carabinieri si fosse trovata distante dall’abitazione del (OMISSIS), con cio’ ignorando quanto osservato dai giudici di merito sulla prossimita’ dei luoghi di stazionamento dei due gruppi di correi e quanto dedotto dai dialoghi intercettati in modo logico e fedele rispetto al tenore delle comunicazioni stesse. L’obiezione che denuncia l’insufficienza dimostrativa dei contatti telefonici tra i complici al fine di ricostruire la partecipazione di tutti e cinque gli imputati ad entrambe le azioni di cui ai capi F) e G) prescinde completamente dal contenuto e dalle finalita’ delle conversazioni captate e in via solo generica assume che non vi sarebbero stati commenti sulle dimensioni dell’abitazione svaligiata, sulle modalita’ di intrusione e sulla tipologia di refurtiva, tutte circostanze oggetto di labiale affermazione, priva di agganci con le trascrizioni in atto ed inidonee a contraddire il giudizio di responsabilita’.
Per le considerazioni svolte i ricorsi sono inammissibili in tutte le loro deduzioni e vanno respinti con la conseguente condanna dei proponenti al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa insiti nella presentazione di siffatte impugnazioni, anche al versamento di sanzione pecuniaria, che si stima equo determinare in Euro 3.000 a carico di ciascun ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Avv. Renato D’Isa

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