Deroga prevista dalla prima parte dell’art. 9 comma 1 lett. f) L. 28 gennaio 1977 n. 10

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 23 luglio 2019, n. 5194.

La massima estrapolata:

La ragione della deroga prevista dalla prima parte dell’art. 9 comma 1 lett. f) L. 28 gennaio 1977 n. 10 è, anzitutto, quella di agevolare l’esecuzione di opere destinate al soddisfacimento di interessi pubblici o dalle quali la collettività possa comunque trarne una utilità, quando l’esecuzione sia compiuta da un ente istituzionalmente competente tramite un concessionario di opera pubblica, in tal caso venendo giustificata la concessione di un beneficio economico che, non contribuendo alla formazione di un utile d’impresa, si riverbera a vantaggio di tutta la collettività che fruisce dell’opera una volta eseguita.

Sentenza 23 luglio 2019, n. 5194

Data udienza 28 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2780 del 2008, proposto da
Is. Di. pe. il So. de. Cl. di Ca. (I.D.), in persona del legale rappresentante pro tempore sac. An. Ar., rappresentato e difeso dall’avv. Lu. Sc. ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. An. Av. in Roma, via (…);
contro
Comune di Caserta, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Au. Za. ed elettivamente domiciliato presso lo studio legale Ad.-Za. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli Sezione VIII n. 739 del 29 gennaio 2006, resa inter partes sul ricorso n. r.g. 432/2002, proposto per l’accertamento negativo dell’obbligo di pagare il contributo previsto dall’art. 3 della L. n. 10/1977 relativo alla concessione edilizia n. 85 del 10.5.2000 ed il riconoscimento del diritto alla restituzione delle somme indebitamente versate.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Caserta;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 maggio 2019 il Cons. Francesco Guarracino e udito l’avv. Lu. Sc. per l’appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

L’Istituto Diocesano Sostentamento del Clero (I.D.) di Caserta impugna la sentenza del 29 gennaio 2007, n. 739, con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli Sezione VIII, ne ha respinto il ricorso per l’accertamento negativo dell’obbligo di pagare il contributo concessorio, nonché per il riconoscimento del diritto alla restituzione delle somme che avrebbe indebitamente versato, in relazione alla realizzazione di una struttura sportiva polivalente in Caserta, alla via (omissis), giusta concessione edilizia n. 85 del 10 maggio 2000, per un importo complessivo pari ad Euro 173.398.250,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Il Comune di Caserta ha resistito in appello.
L’Istituto appellante ha prodotto una memoria in vista dell’udienza di discussione.
Alla pubblica udienza del 28 maggio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. – In primo grado l’Istituto Diocesano Sostentamento del Clero di Caserta ha agito nei confronti del Comune di Caserta per l’accertamento negativo dell’obbligo di pagare il contributo concessorio e per il riconoscimento del diritto alla restituzione delle somme che avrebbe indebitamente versato per la realizzazione della struttura sportiva polivalente di sua proprietà sita in Caserta alla via (omissis), sostenendo di aver diritto all’esenzione dal pagamento del contributo di concessione edilizia prevista dall’art. 9, lettera f), della legge 28 gennaio 1977, n. 10, in base al quale “Il contributo di cui al precedente art. 3 non è dovuto:…. f) per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”.
Il T.A.R. ha respinto il ricorso giudicando insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’esenzione in favore dell’opera in questione (riconducibile ad una struttura pubblica di quartiere e verde attrezzato e di proprietà di un ente ecclesiastico civilisticamente riconosciuto con Decreto del Ministero degli Interni ed iscritto nel registro delle persone giuridiche della Prefettura di Caserta) con riferimento ad ambedue le ipotesi della disposizione citata.
In particolare, in relazione alla fattispecie prevista dalla prima parte dell’articolo, ha rilevato la carenza sia del presupposto oggettivo (opera pubblica o destinata a soddisfare bisogni della collettività ), sia di quello soggettivo (opera realizzata da un’amministrazione pubblica o da un soggetto privato per conto di una pubblica amministrazione), osservando che “è pacifico che l’ente proprietario dell’immobile è un soggetto a personalità giuridica privo di alcun collegamento con la pubblica amministrazione; tale circostanza è sufficiente per escludere il riconoscimento del beneficio, in considerazione anche della specifica tipologia di opera in questione (struttura sportiva poliva[len]te) e della sue concrete modalità di fruizione”.
In relazione alla seconda ipotesi, ha evidenziato che “per essere esente da contributo, l’opera di urbanizzazione deve essere specificatamente indicata come tale nello strumento urbanistico, anche attuativo (C.d.S. Sez. V, 21.1.97 n. 69). Nel caso in esame la realizzazione dell’opera de qua è certamente conforme agli strumenti urbanistici vigenti; non è tuttavia espressamente contemplata come tale dagli strumenti urbanistici”.
2. – Con un unico complesso motivo di impugnazione l’Istituto appellante critica la decisione di primo grado quanto alla ritenuta insussistenza dei presupposti dell’esenzione di cui alla prima parte della disposizione citata.
Sostiene infatti, per quanto concerne il requisito oggettivo, che l’opera (costituita da un palazzetto dello sport polivalente, un campo di calcetto/tennis all’aperto, locali di ristoro/ritrovo) costituirebbe una struttura pubblica di quartiere, direttamente riferibile al perseguimento di finalità di interesse generale, con destinazione pubblica permanente (mentre per l’annessa area di parcheggio troverebbe applicazione il principio per cui non sono assoggettabili al contributo commisurato al costo di costruzione i parcheggi obbligatori ai sensi dell’art. 18 della legge 16 agosto 1967, n. 765, e successive modificazioni); nonché, per quanto concerne il requisito soggettivo, che, potendo compiere tutti gli atti di natura mobiliare e immobiliare necessari od utili per la migliore realizzazione dei propri fini istituzionali e svolgere anche attività diverse da quelle di religione o di culto, comprese le attività commerciali od a scopo di lucro (argomentando ex artt. 15 e 16 della l. 20 maggio 1985, n. 222), l’Istituto sarebbe “un Ente istituzionalmente competente anche alla realizzazione di opere di interesse generale ed utilizzabili dalla generalità dei cittadini”, soffermandosi poi ad illustrare la sua natura di ente non commerciale, privo di scopo di lucro, e le ragioni della legittimità dell’affidamento della gestione della struttura ad una società privata.
3. – Nella memoria di costituzione il Comune si diffonde, in via preliminare, sulla carenza di legittimazione dell’Istituto a richiedere il rimborso degli oneri concessori, poiché il soggetto realizzatore dell’opera autorizzata con concessione n. 85 del 2000, sotto un profilo sostanziale rilevante ai fini amministrativi e dell’imputazione dei relativi oneri, non sarebbe stato l’Istituto Diocesano, ma la società cui esso aveva affidato, ancor prima del rilascio della concessione, la gestione del complesso sportivo, e lamenta che la questione, sollevata in primo grado, non sarebbe stata esaminata dal T.A.R.; nel merito, insiste sul difetto del requisito soggettivo e del requisito oggettivo richiesti dalla legge per l’esenzione dal contributo.
4. – Nella memoria prodotta in vista dell’udienza di discussione, l’Istituto appellante sostiene, a propria volta, che il Comune avrebbe implicitamente riconosciuto il diritto all’esonero dal pagamento degli oneri concessori subordinatamente alla dimostrazione che le opere non fossero state realizzate a fini di lucro e che l’esame del gravame dovrebbe, pertanto, concernere, in via preliminare ed assorbente, la legittimità o meno della prova richiesta (ivi, pag. 5); a questo riguardo, argomentando che le norme concordatarie precludono ogni ingerenza dello Stato nell’amministrazione dei beni degli enti ecclesiastici, soggetti esclusivamente ai controlli previsti dal diritto canonico, e che, a maggior ragione, il Comune non potrebbe intromettersi nei rapporti patrimoniali dell’Istituto, conclude che la richiesta della dimostrazione della finalità non lucrativa delle opere sarebbe illegittima e che, superata dunque l’unica condizione richiesta per il riconoscimento del rimborso degli oneri concessori, il gravame andrebbe accolto (ivi, pag. 10).
Solo in via meramente subordinata illustra, nella stessa memoria (pag. 10 ss.), le ragioni per cui ricorrerebbero tutti i presupposti per il riconoscimento dell’esenzione.
5. – L’appello è infondato e, come tale, va respinto.
6. – Preliminarmente va disattesa l’eccezione di carenza di legittimazione attiva dell’Istituto a richiedere il rimborso degli oneri concessori, essendo incontestato che il pagamento delle somme in questione, a fronte del rilascio della concessione edilizia a proprio nome, sia stato effettuato dall’Istituto medesimo che, ora, ne chiede in giudizio la restituzione mediante condictio indebiti.
7. – L’argomento secondo cui il Comune di Caserta avrebbe implicitamente riconosciuto il diritto dell’Istituto all’esonero dal pagamento degli oneri concessori subordinatamente alla sola dimostrazione della finalità non lucrativa della realizzazione delle opere risulta prospettato per la prima volta in appello, non trovando riscontro nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
Il ricorso di primo grado, infatti, si limitava a riferire, al punto e) della parte in fatto, che con nota del 6.12.2000 la Ripartizione Urbanistica del Comune aveva rappresentato che la richiesta di rimborso degli oneri concessori era subordinata alla dimostrazione, da parte dell’Istituto, che le opere previste in concessione edilizia non erano state realizzate a fini di lucro, ma soltanto per pubblica utilità, e non ne traeva alcuna conclusione con riguardo ad un supposto riconoscimento da parte del Comune del suo buon diritto.
Peraltro, un’eventuale ricognizione del debito (la cui disciplina è applicabile anche agli atti della pubblica amministrazione nel concorso dei requisiti formali e procedimentali che ne condizionano la validità e l’efficacia) non produce altro effetto che quello dell’inversione dell’onere della prova e non preclude la dimostrazione dell’inesistenza dell’obbligazione.
Dunque, indipendentemente dal significato che si volesse riconoscere alla suddetta nota della Ripartizione Urbanistica del Comune, essa non potrebbe comportare nulla più che una presunzione iuris tantum di esistenza del diritto azionato, la quale non impedisce l’accertamento del contrario.
8. – Nel merito, il Giudice di primo grado ha correttamente escluso che l’Istituto avesse titolo all’esenzione dal pagamento dei contributi concessori e, dunque, alla ripetizione di quanto versato.
9. – Per consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, la ragione della deroga prevista dalla prima parte dell’art. 9, comma 1, lett. f), l. 28 gennaio 1977 n. 10 è, anzitutto, quella di agevolare l’esecuzione di opere destinate al soddisfacimento di interessi pubblici o dalle quali la collettività possa comunque trarne una utilità, quando l’esecuzione sia compiuta da un ente istituzionalmente competente tramite un concessionario di opera pubblica, in tal caso venendo giustificata la concessione di un beneficio economico che, non contribuendo alla formazione di un utile d’impresa, si riverbera a vantaggio di tutta la collettività che fruisce dell’opera una volta eseguita (ex ceteris, C.d.S., Sez. VI, 11 aprile 2014, n. 1759).
Ai fini dell’esenzione, pertanto, occorre che l’opera sia pubblica o di interesse pubblico e sia realizzata da un ente pubblico, non competendo, invece, alle opere eseguite da soggetti privati, quale che sia la rilevanza sociale dell’attività da essi esercitata nella o con l’opera edilizia cui la concessione si riferisce (ex aliis, C.d.S., sez. V, 15 dicembre 2005, n. 7140).
L’Istituto appellante non può dirsi “ente istituzionalmente competente” ai sensi della disposizione de qua, perché l’espressione adoperata dalla norma non può riferirsi che ad enti pubblici, ovvero a soggetti che agiscono per conto di essi, come confermato dal fatto che soltanto nella seconda parte della proposizione normativa, concernente le opere di urbanizzazione, la disposizione si riferisce ad opere “eseguite anche da privati” (C.d.S., sez. V, 11 gennaio 2006, n. 51).
Occorre cioè, diversamente da quanto accaduto nel caso in esame, che, quando non sia esso stesso ente pubblico, il soggetto realizzatore abbia agito quale organo indiretto dell’amministrazione, come nella concessione o nella delega (C.d.S., sez. IV, 20 novembre 2017, n. 5356, Id., sez. IV, 30 agosto 2016, n. 3721, con riferimento alla previsione ora contenuta nell’art. 17 co. 3, lett. c, D.P.R. n. 380 del 2001).
E poiché non è gravato il capo della sentenza di primo grado che ha escluso che possa ricadersi, in alternativa, nell’ipotesi dell’esenzione dovuta, in forza della seconda parte della disposizione citata, per le opere di urbanizzazione eseguite anche da privati in attuazione di strumenti urbanistici, non vertendosi, nel caso di specie, di opere di urbanizzazione specificamente indicate come tali nello strumento urbanistico, tanto basta ad escludere che l’Istituto appellante abbia diritto all’esenzione dal versamento del contributo di concessione.
E’ per mera completezza, dunque, che può aggiungersi che la strumentalità rispetto all’esercizio di un servizio pubblico non è sufficiente ad integrare la nozione di “impianti, attrezzature, opere pubbliche o di interesse generale”, di cui all’art. 9, comma 1, lett. f), della l. n. 10 del 1977(ora art. 17, comma 3, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001), in quanto l’esenzione dal pagamento del contributo di costruzione vale per la struttura che realizza o contribuisce con vincolo indissolubile all’erogazione diretta del servizio, come, a titolo meramente esemplificativo, nell’ipotesi di un impianto tecnico, ma non per un bene la cui strumentalità dipende da scelte discrezionali e, quindi, revocabili, della società, dovendosi dunque concludere che a rilevare non è la destinazione che soggettivamente s’intende dare alla struttura, bensì la sua natura oggettiva: solo laddove l’opera non possa, neppure in astratto, avere una destinazione diversa da quella pubblica si potrà dunque configurare il presupposto per l’esonero dal pagamento del contributo di costruzione (C.d.S., sez. IV, 31 agosto 2016, n. 3750).
10. – Per queste ragioni, in conclusione, l’appello deve essere respinto.
11. – Le spese del grado di giudizio seguono la soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’Istituto Diocesano Sostentamento del Clero di Caserta alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio in favore del Comune di Caserta, che liquida nella somma complessiva di Euro 2000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Fulvio Rocco – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere, Estensore

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