Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 27 febbraio 2020, n. 1427.
La massima estrapolata:
Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.
Sentenza 27 febbraio 2020, n. 1427
Data udienza 23 gennaio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8454 del 2018, proposto da
Gi. De St., rappresentato e difeso dall’avvocato An. Ma. Di Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, 14 marzo 2018, n. 1595, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2020 il Cons. Diego Sabatino e udito per le parti l’avvocato An. Ma. Di Le.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 8454 del 2018, Gi. De St. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, 14 marzo 2018, n. 1595 con la quale è stato in parte dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse e in parte respinto il ricorso proposto contro il Comune di (omissis) per l’annullamento
a) dell’ingiunzione alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi di opere edilizie n. 14 del 03.01.2017, a firma del Dirigente ad interim del IV Dipartimento del Comune di (omissis) del Responsabile del Settore, adottata di concerto con il Titolare della Posizione Organizzativa, notificata alla parte ricorrente in data 19.01.2017;
b) nonché di ogni altro atto comunque presupposto, connesso o consequenziale, tra cui 1) l’accertamento esperito dalla P.M. congiuntamente all’U.T.C. in data 28.07.2016, prot. n. 38025 del 10.08.2016; 2) la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo prot. n. 44238 del 21.09.2016.
Dinanzi al giudice di prime cure, con ricorso iscritto al n. 1495 dell’anno 2017, la parte ricorrente impugnava i provvedimenti indicati in epigrafe. A sostegno delle sue doglianze, premetteva:
– di essere proprietario di un fondo e relativo immobile, ubicati in (omissis) alla Via (omissis), contraddistinti nel N.C.E.U. del Comune medesimo al Foglio (omissis), part. lle (omissis) (manufatto di cui al punto 1 dell’ingiunzione n. 14/2017) e (omissis) (restante parte del fondo e manufatto indicato di cui al punto 5 del provvedimento medesimo);
– che, quanto alla part. lla (omissis), il fondo insiste in zona omogenea (omissis) del P.U.C. (Urbanizzazione Recente) nonché in zona omogenea (omissis) del P.U.T. ex L. Reg. 35/87 (Riqualificazione Insediativa ed Ambientale di I grado); quanto alla sua restante parte ed alla part. lla (omissis), in zona omogenea (omissis) del P.U.C. (Insediamento Produttivo-Artigianale) ed in zona (omissis) del P.U.T (Riqualificazione Insediativa ed Ambientale di I grado);
– che, con provvedimento n. 14 del 03.01.2017, impugnato sub a), il Dirigente ad interim del IV Dipartimento del Comune di (omissis), di concerto con il Titolare della Posizione Organizzativa, richiamato l’accertamento della P.M. e dell’U.T.C. prot. n. 38025 del 10.08.2016, nonché l’avvio del procedimento prot. n. 44238 del 21.09.2016, ingiungeva la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi delle opere edilizie, eseguite “… in assenza di titolo abilitante ed in dispregio al vincolo paesistico ambientale…”, così descritte: “… 1) manufatto di non recente realizzazione ad uso ricovero animali, delle dimensioni di circa m. 13 x m. 10 ed h. media m. 4, per il quale al momento non sono stati rinvenuti titoli abilitanti ed individuato al N.C. con mappale n. (omissis) del foglio (omissis) in Comune di (omissis); 2) nel volume seminterrato del manufatto di cui al punto precedente, sono stati depositati materiali vari di risulta, prevalentemente provenienti da attività edilizia; 3) presenza sul fondo individuato con la particella (omissis) del foglio (omissis) del Comune di (omissis) di rifiuti vari, quali materiali ferrosi, vecchi elettrodomestici, tubi in pvc, onduline di fiberglass, terreno da scavo, materiali inerti per il cantiere oggetto di sequestro, ecc.; 4) nel manufatto di cui al punto 1 vi sono 7 sacchi di materiale plastico contenenti materiale leggero presumibilmente microsfere di polistirolo e/o similare; 5) manufatto ad uso deposito agricolo, di non recente realizzazione, in lamiere metalliche e struttura in legno avente le dimensioni di circa m. 6 x m. 6 e h. m. 5…”;
– che l’ingiunzione risulta ottemperata quanto ai punti 2, 3 e 4 (V. comunicazione prot. 3861 del 23.01.2017).
Instava quindi per l’annullamento degli atti impugnati con vittoria di spese processuali.
Si costituiva l’Amministrazione chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
All’udienza pubblica del 6 marzo 2018, il ricorso veniva discusso e deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva improcedibili le doglianze riguardanti le opere di cui ai nn. 2, 3 e 4 dell’ordinanza impugnata, in quanto rimosse dalla stessa parte, e rigettava le censure in merito alle opere di cui ai nn. 1 e 5 dell’ordinanza impugnata, considerandole abusivamente realizzate.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie censure, come meglio descritte in parte motiva.
Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di (omissis), chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
All’udienza del 6 dicembre 2018, l’istanza cautelare veniva accolta con ordinanza 7 dicembre 2018 n. 5907.
Alla pubblica udienza del 23 gennaio 2020, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.
DIRITTO
1. – L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.
2. – In via preliminare, va evidenziato come il thema decidendum del presente appello si riferisca unicamente ai manufatti indicati ai nn. 1 e 5 dell’ordinanza originariamente impugnata, atteso che il capo di sentenza in cui il T.A.R. ha ritenuto improcedibile il ricorso perché riguardante opere nelle more rimosse, ossia quelle indicate ai nn. 2, 3 e 4 dell’ordinanza impugnata, non è stato gravato.
3. – Con il primo motivo di diritto, rubricato “I – Errores in iudicando – violazione e falsa applicazione di legge (d.p.r. 06.06.2001 n. 380 artt. 6, 6 bis, 10, 27, 31; l. 07.08.1990 n. 241 art. 3; l. 06.08.1967 n. 765 art. 10; l. 17.08.1942 n. 1150 art. 31; d.lgs. 22.01.2004 n. 42 art. 146). Eccesso di potere per difetto di interesse pubblico all’adozione del provvedimento. Difetto di motivazione. Manifesta ingiustizia. Eccesso di potere per il tardivo esercizio della tutela del pubblico interesse”, viene lamentata l’erroneità della sentenza dove ha rigettato la censura per difetto di motivazione dell’ordinanza impugnata, in ordine alle ragioni per le quali, nonostante il lungo lasso di tempo trascorso dalla realizzazione dei manufatti contestati, si sia ritenuto di esercitare il potere sanzionatorio.
3.1. – La censura è infondata.
È principio del tutto pacifico nella giurisprudenza amministrativa, e come tale fatto proprio anche dal primo giudice, che il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso.
Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino (da ultimo, Cons. Stato, ad. plen., 17 ottobre 2017 n. 9).
Il T.A.R. ha quindi correttamente applicato il principio alla fattispecie, per cui la doglianza va respinta.
Va peraltro aggiunto che nel corpo dello stesso motivo, l’appellante lamenta la mancata considerazione che il manufatto fosse anteriore al 1956, inserendo tale considerazione nella sopraindicata censura riguardante il difetto di motivazione.
A tale proposito, va però sottolineato che se, da un lato, il tema motivazionale non viene inciso dalla vetustà dell’immobile, come sopra ricordato, dall’altro non vi è alcuna certezza sulla circostanza evidenziata dall’appellante, quand’anche le considerazioni svolte in appello dovessero essere intese come una implicita affermazione della non necessità di un titolo abilitativo.
Infatti, quand’anche si potesse seguire la ricostruzione operata dal tecnico di parte, la possibile datazione ante 1956 riguarderebbe un immobile della conformazione di mt 8,60 x mt 5,70. Tale immobile, tuttavia, non è stato riscontrato in loco, visto che l’accertamento tecnico prot. n. 47240/2016 del 10 ottobre 2016, correttamente richiamato dal T.A.R., evidenzia una situazione di fatto del tutto diversa, con la presenza di due manufatti, rispettivamente di mt. 13,00 x 11,00 x 4,00 e di mt. 6,00 x 6,00 x 5,00, la cui realizzazione, come si evince dalla documentazione indicata nel detto accertamento, va collocata nel lasso di tempo tra il 1974 e il 1989.
4. – Con il secondo motivo di diritto, non espressamente rubricato, si deduce la mancata considerazione dell’affidamento incolpevole del privato, costituito dal lasso di tempo intercorso tra la realizzazione dell’abuso e l’intervento dell’amministrazione.
4.1. – La censura non è fondata.
Il tema della tutela dell’affidamento incolpevole ha avuto ingresso nelle valutazioni del giudice amministrativo in modo estremamente limitato.
In particolare, si è ritenuto di escludere la sussistenza di un affidamento legittimo e incolpevole al mantenimento dello status quo ante in capo al soggetto il quale abbia determinato, attraverso la non veritiera prospettazione delle circostanze rilevanti, l’adozione di un atto illegittimo a lui favorevole (ancora Cons. Stato, ad. plen., 17 ottobre 2017 n. 9) e, conseguentemente, anche nei casi di mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio del suo potere dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico, trattandosi di fattispecie “non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo” (Cons. Stato, VI, 4 ottobre 2019, n. 6720).
Nel caso in esame, la mancanza del titolo abilitativo e la realizzazione molto più recente di quanto sostenuto dalla parte appellante dei manufatti de qua, rende del tutto insostenibile la tesi della presenza di un affidamento incolpevole e tutelabile.
5. – Con il terzo motivo di doglianza, anch’esso non specificamente rubricato, viene lamentata la mancata considerazione della natura pertinenziale del manufatto ad uso deposito agricolo di cui al punto n. 5 dell’ingiunzione n. 14/2017, in quanto costituito da una semplice tettoia aperta su due lati, avente struttura in legno e lamiere metalliche, ubicata posteriormente ai fabbricati.
5.1. – La censura va respinta.
Il primo giudice ha respinto la doglianza facendo corretta applicazione dei principi valevoli in tema di individuazione della natura della pertinenza edilizia.
Distinto infatti il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso urbanistico, ha evidenziato come quest’ultimo non competa ai manufatti che assumono una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire.
Nel caso in esame, il citato deposito agricolo, non essendo coessenziale ad un bene principale e potendo essere successivamente utilizzato anche in modo autonomo e separato, non può essere considerato pertinenza ai fini urbanistici e, pertanto, andava sottoposto al regime delle nuove costruzioni, da autorizzare previo rilascio del permesso di costruire.
Anche tale doglianza va quindi rigettata.
6. – L’appello va quindi respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Respinge l’appello n. 8454 del 2018;
2. Condanna Gi. De St. a rifondere al Comune di (omissis) le spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro. 3.000,00 (euro tremila) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, come per legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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