Delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 2 aprile 2019, n. 14382.

La massima estrapolata:

Non integra il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico, né quello di falso ideologico in atto pubblico per induzione in errore del pubblico ufficiale la condotta di chi dichiari falsamente in un atto notarile di compravendita di un bene immobile che lo stesso non è sottoposto a sequestro, in quanto l’atto nel quale la dichiarazione è trasfusa non è destinato a provare la verità del fatto attestato, in assenza di una norma giuridica che obblighi il privato a dichiarare il vero e ricolleghi specifici effetti all’atto-documento in cui la dichiarazione del predetto è stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente.

Sentenza 2 aprile 2019, n. 14382

Data udienza 15 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MICCOLI Grazia – Presidente

Dott. SCARLINI Enrico V.S. – Consigliere

Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. SESSA Renata – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE FIRENZE;
nei confronti di:
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 12/09/2018 del TRIB. LIBERTA’ di FIRENZE;
udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA;
lette/sentite le conclusioni del PG TOMASO EPIDENDIO che ha concluso per il rigetto;
LA DIFESA Avv. (OMISSIS) CHIEDE IL RIGETTO DEL RICORSO DEL PM.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 12 settembre 2018 il Tribunale del riesame di Firenze, in accoglimento del ricorso presentato nell’interesse di (OMISSIS), indagato del reato di cui agli articoli 110 e 483 c.p., ha annullato il decreto di perquisizione e sequestro emesso il 13.6.18 dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Firenze, finalizzato all’acquisizione dell’esemplare originale del contratto, degli atti allegati, delle prove del pagamento del prezzo, e di tutto quanto atteneva all’effettivita’ della vendita o meno, ai rapporti tra le parti, compresi smartphone, cellulari, sim card, pc, tablet, o altro materiale informatico per rintracciare sms, e-mail, ecc. per accertare fatti e cose pertinenti al reato, con perquisizione dei luoghi nella disponibilita’ dell’indagato o di concorrenti nel reato.
1.1. In particolare, il (OMISSIS) era indagato per avere dichiarato falsamente nell’atto notarile di compravendita di immobile venduto a (OMISSIS) che tale immobile non era sottoposto a sequestro, fatto non vero essendo, invece, sottoposto a sequestro preventivo nel procedimento pendente presso la Procura di Siracusa.
1.2. Il Tribunale del Riesame ha annullato il decreto emesso dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Firenze ritenendo l’insussistenza del reato ipotizzato.
2. Impugna l’ordinanza il sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze con ricorso per Cassazione, deducendo:
2.1. con il primo motivo erronea applicazione della legge penale con riferimento all’articolo 483 c.p., in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’obbligo giuridico di veridicita’ per il privato deve ritenersi sussistere ogni qualvolta una norma giuridica ricolleghi specifici effetti a determinati fatti allorche’ essi vengano da un privato attestati a un pubblico ufficiale che documenti l’attestazione. Cio’, secondo il ricorrente, ricorre nel caso di specie, atteso che dal fatto che un immobile e’ sottoposto a sequestro certamente scaturiscono obblighi giuridici per il custode, nonche’ per il proprietario, a maggior ragione laddove il sequestro e’ stato disposto nell’ambito di un procedimento penale;
2.2. con il secondo motivo, violazione di legge processuale con riferimento all’articolo 309 c.p.p., comma 9, nonche’ violazione di legge con riguardo agli articoli 48 e 479 c.p., dal momento che il Tribunale del riesame avrebbe potuto confermare il sequestro anche per ragioni diverse da quelle contenute nel provvedimento; nel caso di specie, si sarebbe potuto infatti ipotizzare in capo all’indagato la fattispecie di cui agli articoli 48 e 479 c.p.p.;
2.3. con il terzo motivo, violazione di legge processuale in relazione all’articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 253 c.p.p., comma 1 e articolo 325 c.p.p., comma 1; si sostiene in particolare che il Tribunale abbia motivato in maniera apparente l’annullamento anche nella parte in cui asserisce che “il decreto di perquisizione e sequestro adottato dal PM si limita ad ordinare il vincolo delle cose pertinenti al reato o di quanto rinvenuto e’ ritenuto utile ai fini di indagine”. Si evidenzia in particolare che il sequestro operato dalla PG, attesa l’indeterminatezza delle cose da rinvenire e la discrezionalita’ della PG nell’individuazione del vincolo di pertinenza delle cose con il delitto, avrebbe dovuto essere convalidato nei termini previsti dall’articolo 355 c.p.p., pena l’inefficacia del vincolo probatorio e il sorgere dell’obbligo di restituzione delle cose sequestrate, mentre nella specie il permanere del vincolo sulle cose sequestrate non risulta che sia stato fatto oggetto di alcuna valutazione da parte del PM con apposito decreto di convalida sulle cose sequestrate. Neppure la difesa aveva eccepito tale circostanza, ragion per cui la motivazione del Tribunale e’ di fatto inesistente perche’ non afferente al caso per cui si procede;
2.4. con il quarto motivo, violazione di legge in relazione all’articolo 324 c.p.p., nonche’ in relazione agli articoli 91 e ss. delle disposizioni di attuazione, avendo il Tribunale, anche con provvedimento separato, demandato l’esecuzione del dissequestro alla Procura.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ infondato.
1. Il delitto previsto dall’articolo 483 c.p. sussiste qualora l’atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato e’ trasfusa, sia destinato a provare la verita’ dei fatti attestati e, cioe’, quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all’atto-documento nel quale la dichiarazione e’ inserita dal pubblico ufficiale ricevente (Sez. 5, Sentenza n. 5365 del 15/01/2018, (OMISSIS), Rv. 272110; Sez. 5, n. 39215 del 04/06/2015, Cremonese e altro, Rv. 264841; Sez. 5, Sentenza n. 18279 del 02/04/2014, Scalici, Rv. 259883). Cio’ che rileva e’, quindi, innanzitutto, l’atto documento in cui la dichiarazione trova sede, dovendosi fare riferimento ad esso e non al fatto oggetto di dichiarazione per stabilirsi la sussistenza o meno dell’obbligo giuridico gravante sul privato.
Diverso il caso in cui il privato rende la dichiarazione nell’ambito di un atto deputato a raccoglierla e ad attestarne la veridicita’, come nel caso della falsa attestazione contenuta nella dichiarazione sostitutiva di certificazione (Sez. 2, Sentenza n. 2072 del 08/11/2011, Canesi, Rv.251767).
1.1. Quanto al caso in esame, afferente l’ipotesi della dichiarazione trasfusa in un atto di vendita redatto da notaio, appare evidente che l’atto di compravendita non e’ deputato ad attestare la sussistenza o meno di un sequestro sul bene trasferito, di talche’ la precisazione al riguardo, che pure assume rilievo con riferimento alla condizione del bene se gravato da pesi o vincoli, o libero, potrebbe comportare conseguenze sul piano civilistico per il venditore dichiarante sotto il profilo della garanzia (che compete a lui dichiarare, e non al notaio), ma non potra’ giammai risolversi in una dichiarazione idonea ad assumere rilievo penale sotto il profilo della falsita’, potendosi al piu’ configurare l’ipotesi della truffa, nella ricorrenza di tutti i presupposti di legge.
Cio’ in considerazione della sede in cui la dichiarazione e’ resa, ossia un atto non deputato ad attestare la sussistenza/veridicita’ della garanzia, che rimane una dichiarazione, come correttamente rilevato dal Tribunale del riesame, di una parte nei confronti dell’altra, confinata nell’ambito strettamente contrattuale data la mancanza di una norma giuridica che imponga un obbligo specifico con riferimento all’atto in cui essa e’ resa.
1.2. Manca in sostanza una norma giuridica che obblighi il privato a dichiarare il vero, ricollegando specifici effetti all’atto-documento nel quale la sua dichiarazione e’ inserita dal pubblico ufficiale ricevente. Ed invero, dall’obbligo giuridico di correttezza e veridicita’ gravante sulle parti di un contratto, o piu’ in generale di un negozio giuridico, non puo’ farsi discendere un obbligo di affermare il vero nell’atto pubblico stipulato dalle medesime parti, ovvero un obbligo che, in considerazione della natura pubblicistica dell’atto in cui si inserisce la dichiarazione, fa si’ che questa acquisisca i connotati della falsita’, cui la norma penale ricollega la sanzione penale in virtu’ e in funzione della natura dell’atto che la ospita.
Dal momento che la dichiarazione assistita da un obbligo giuridico siffatto, che le attribuisca cioe’ rilievo penale sotto il profilo della veridicita’ in relazione all’atto in cui e’ inserita, e’ destinata a produrre i suoi effetti solo sul piano civilistico. Ed invero, il contratto redatto da notaio fa fede delle dichiarazioni rese dalle parti e degli altri fatti che il notaio attesta avvenuti in sua presenza e da lui compiuti, e non gia’ della rispondenza al vero delle circostanze formanti oggetto delle dichiarazioni delle parti.
1.3. Da cio’ discende peraltro anche l’impossibilita’ di configurare il reato di cui al combinato disposto degli articoli 48 e 479 c.p., in mancanza di un obbligo del notaio ad attestare la circostanza de qua. L’atto notarile non e’ affatto destinato a provare tali circostanze e, quindi, le parti non commettono un reato se rendono dichiarazioni non rispondenti alla verita’.
Da tempo le Sezioni Unite di questa Corte hanno infatti chiarito, in proposito, che il legislatore non ha inteso punire qualsiasi dichiarazione o falsa attestazione del privato, ma si e’ attenuto al valore tipico (di prova) assegnato al documento dall’ordinamento giuridico in relazione al fatto attestato dal privato; si e’ quindi inteso punire la condotta di chi, attestando falsamente fatti dei quali l’atto e’ destinato a provare la verita’, attenta allo specifico interesse probatorio documentale. Con la previsione penale e’ quindi stata rafforzata la tutela probatoria accordata all’atto di natura pubblica dall’articolo 2700 c.c. e si e’ voluto garantire il bene giuridico della pubblica fede documentale riconosciuta agli atti pubblici; si e’ quindi chiarito che “l’individuazione di questa “ratio specifica” della norma consente di circoscrivere in termini precisi, la fattispecie nelle sue componenti di condotta, di evento e di bene giuridico protetto dall’aggressione della condotta incriminata e rafforza l’opzione esegetica qui accolta che ritiene piu’ congruo rinvenire nella legge la fonte della destinazione dell’atto a provare la verita’ piuttosto che basarla sulla prassi o anche su improbabili obblighi genericamente etici, su “aspettative sociali di conformita’ dei fatti alle attestazioni” ovvero sulla “libera scelta del cittadino”” (cfr. Sez. U, n. 28 del 15/12/1999, Gabrielii, Rv. 215413).
E’ stato peraltro piu’ volte ribadito, in seguito, che il delitto previsto dall’articolo 483 c.p.sussiste solo qualora l’atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato e’ stata trasfusa, sia destinato a provare la verita’ dei fatti attestati e, cioe’, quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all’atto-documento nel quale la sua dichiarazione e’ stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente (Sez. 2, n. 4970 del 12/01/2012, Yu, Rv. 251815; Sez. 6, n. 23587 del 28/02/2013, Ceciliani, Rv. 256259).
Cio’ che conta, insomma, e’ la qualita’ impressa all’atto dalla sua destinazione probatoria (mezzo di prova) rispetto al fatto attestato (oggetto di prova), il che implica che il documento deve assumere valore dimostrativo diretto ed immediato del fatto attestato attribuendogli il crisma di realta’ storicamente certa.
2. Quanto al secondo motivo di ricorso, deve essere esclusa, per le ragioni appena indicate, anche la configurabilita’ del cd. falso per induzione, di cui agli articoli 48 e 479 c.p., non essendo ravvisabile un obbligo di attestazione da parte del notaio con riferimento alla circostanza de qua.
3. Le ulteriori censure devono dunque ritenersi assorbite, con la sola precisazione che va da se’ che l’ulteriore aspetto evidenziato dal Tribunale – secondo cui “il decreto di perquisizione e sequestro adottato dal PM si limita ad ordinare il vincolo delle cose pertinenti al reato o di quanto rinvenuto e’ ritenuto utile ai fini di indagine” – non puo’ in alcun modo risolversi in un vizio della motivazione nei termini indicati da ricorrente, che assume l’inesistenza della motivazione del provvedimento del riesame per avere in parte qua operato un rilievo non oggetto di impugnazione. In realta’, tale rilievo e’ da ritenersi assorbito per tutto quanto detto con riferimento al primo motivo, ma rimane comunque pacifico che l’omessa convalida entro il termine di legge del decreto di perquisizione e sequestro non puo’ che comportare l’inefficacia dello stesso, trattandosi di una conseguenza giuridica che prescinde da una specifica deduzione al riguardo.
4. Quanto al quarto motivo, trattasi di deduzione priva di rilievo, e quindi ai limiti dell’inammissibilita’ per carenza di interesse, perche’ ai sensi dell’articolo 325 c.p.p., comma 4, il ricorso per cassazione non sospende l’esecuzione dell’ordinanza del riesame.
Va comunque precisato che, vertendosi nella specie in tema di sequestro probatorio nella fase delle indagini preliminari, sull’istanza di restituzione dei beni, a sensi dell’articolo 263 c.p.p., comma 4, e’ competente a pronunciarsi il P.M. con decreto opponibile al GIP.
Ne consegue che la restituzione non puo’ che competere allo stesso P.M., anche nel caso in cui essa derivi da un provvedimento del Tribunale del riesame. E’ stato infatti chiarito che, nella fase delle indagini preliminari, sull’istanza di restituzione dei beni, ai sensi dell’articolo 263 c.p.p., comma 4, e’ competente a pronunciarsi il pubblico ministero, con decreto avverso il quale puo’ essere proposta opposizione davanti al g.i.p. (Sez. 6, n. 2544 del 05/07/1999, Inchingolo F e altro, Rv. 214530).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

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