Danni per responsabilità professionale in favore della parte danneggiata dal commercialista

Corte di Cassazione, sezione sesta civile, Ordinanza 25 ottobre 2018, n. 27138

La massima estrapolata:

Nella controversie avente ad oggetto il risarcimento danni per responsabilità professionale in favore della parte che si assuma danneggiata dal proprio commercialista il quale, nella duplice veste di consulente cd. storico della famiglia venditrice e, allo stesso tempo, controparte in una compravendita immobiliare al fine di procurarsi un vantaggio economico, parte attrice è onerata circa la prova della supposta condotta illecita del professionista, che deve essere oggetto di idonea censura e successiva valutazione nel corso del giudizio.

Ordinanza 25 ottobre 2018, n. 27138

Data udienza 18 luglio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. CIGNA Mario – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS)”;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2309/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 18/07/2018 dal Consigliere Dott. VINCENTI ENZO.

RITENUTO

che, con ricorso affidato a cinque motivi, (OMISSIS) ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Milano, in data 27 maggio 2015, che ne accoglieva solo parzialmente il gravame avverso la decisione del Tribunale della medesima Citta’ (riformata quanto alla statuizione di condanna della medesima attrice (OMISSIS) al risarcimento ex articolo 96 c.p.c.), rigettandolo quanto ai motivi proposti contro la reiezione della domanda di risarcimento danni per responsabilita’ professionale del commercialista di famiglia (OMISSIS), che, incaricato della vendita della casa dei ” (OMISSIS)” in (OMISSIS), aveva agito “con mala fede e colpa grave e conflitto di interessi”, infine acquistando per se’ detto immobile ad un prezzo (Euro 1.800.000,00) di gran lunga inferiore al valore del bene;
che la Corte territoriale osservava: 1) le istanze istruttorie di parte attrice/appellante, “peraltro del tutto generiche ed inconferenti rispetto all’assunto di un valido conferimento di un individuato incarico professionale”, non erano state reiterate in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado, cosi’ da doversi intendere rinunciate; 2) gli indizi portati a dimostrazione dell’assunto attoreo (in particolare, la visita dell’immobile da parte del commercialista con la sua famiglia) conducevano, invece, a opposte conclusioni; 3) non vi era stato alcun riconoscimento da parte del (OMISSIS) di aver ricevuto mandato professionale a curare la vendita dell’immobile, avendo questi (nelle memorie istruttorie e nella missiva del 13 settembre 2006) sempre allegato la “sua qualita’ di controparte nella compravendita”; 4) tale ultima qualita’, e non quella di mandatario o di consulente della venditrice, e’ gia’ stata riconosciuta da precedente sentenza della stessa Corte di appello di Milano, risultando, quindi, “incomprensibile e comunque in se’ stessa contraddittoria” la ulteriore allegazione dell’appellante circa “la duplice veste (di (OMISSIS)) di controparte e di commercialista”;
che resiste con controricorso (OMISSIS);
che la proposta del relatore, ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., e’ stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

CONSIDERATO

che:
a) con il primo mezzo e’ dedotto, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto storico e decisivo, “rappresentato dal ruolo di commercialista storico di famiglia intrattenuto dal dr. (OMISSIS) coi (OMISSIS), padre e figlia, nell’agosto/settembre 2006 all’epoca cioe’ dei fatti di causa”.
a.1) il motivo e’ inammissibile, in quanto parte ricorrente non indica un fatto storico decisivo del quale si possa lamentare l’omesso esame, ma, piuttosto, tale omissione la fa valere in rapporto alle risultanze probatorie, che, di per se’, non integrano il “fatto storico” (tra le tante, Cass., S.U., n. 8053/2014). Cio’, peraltro, la’ dove non solo la qualita’ del (OMISSIS) di commercialista della famiglia (OMISSIS) e’ elemento considerato dalla Corte di appello, ma, nel contesto della motivazione complessiva della sentenza e delle ragioni di censura, non assume il carattere di decisivita’ necessario per invalidare la sentenza stessa, ossia quella certezza di condurre ad una soluzione differente in ragione della prova del fatto di cui si assume l’omesso esame.
b) con il secondo mezzo e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli articoli 187 e 189 c.p.c., per aver la Corte territoriale ritenuto, diversamente dal primo giudice, rinunciate le istanze di prova orale, sebbene tale volonta’ non sussisteva;
b.1) il motivo e’ inammissibile, sia perche’ la censura, in palese violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non da’ indicazione, di contenuto e circa la dovuta localizzazione, non solo degli atti processuali necessari (atto di citazione, memorie istruttorie, provvedimenti assunti al riguardo dal giudice istruttore, precisazione delle conclusioni, atto di appello), ma delle stesse istanze di prova orale, sia perche’, comunque, non e’ impugnata l’ulteriore e autonoma ratio decidendi addotta dalla Corte territoriale, ossia che trattavisi anche di richieste istruttorie generiche e inconferenti (rilevando in tal caso l’indicazione delle stesse ancor piu’ al fine di potersene apprezzare la decisivita’);
c) con il terzo mezzo e’ prospettata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullita’ della sentenza per omessa pronuncia sul motivo di gravame con cui si chiedeva accertarsi che l’incarico di vendita conferito al (OMISSIS) era “parte di un’attivita’ professionale piu’ articolata in quanto conseguente e successivo ad una richiesta di consiglio ed aiuto” rivolti al “commercialista storico” della famiglia (OMISSIS);
c.1) il motivo e’ inammissibile (prima ancora di essere manifestamente infondato, avendo la Corte territoriale pronunciato sulle censure con cui si adduceva una “duplice veste” del (OMISSIS), di “controparte e commercialista” e, comunque, di mandatario o consulente della venditrice), giacche’ articolato in palese violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non avendo il ricorrente dato contezza dei contenuti specifici e della localizzazione puntuale della doglianza di cui assume esservi stata omessa pronuncia;
d) con il quarto mezzo e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione “del principio di cui all’articolo 116 c.p.c.”, per aver la Corte territoriale fornito una valutazione “totalmente incompatibile con l’effettivo contenuto del capitolo” (cap. 2) di cui alla memoria istruttoria del (OMISSIS);
e) con il quinto mezzo e’ dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione “del principio di cui all’articolo 116 c.p.c.”, per aver la Corte territoriale “omesso completamente di considerare la veste di commercialista storico della famiglia (OMISSIS) che il dr. (OMISSIS) aveva all’epoca dei fatti”;
d.e.1) il quarto e quinto motivo, da scrutinarsi congiuntamente, sono inammissibili.
In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’articolo 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) e’ idonea ad integrare il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. n. 11892/2016).
Posto, quindi, che le censure non sono orientate a far valere detti vizi, esse in realta’ o (quarto motivo) si risolvono in critica della valutazione probatoria e dell’apprezzamento della quaestio facti del giudice del merito, per poi sovrapporsi allo stesso convincimento della Corte territoriale (in tal modo veicolando delle censure neppure ammissibili nel previgente regime del vizio motivazionale di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5) o (quinto motivo) ripetono, in altra forma, la medesima censura di cui al primo motivo ed ivi gia’ scrutinata nel senso dell’inammissibilita’;
che il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida, in favore della parte controricorrente, in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. articolo 13, comma 1-bis.

Avv. Renato D’Isa

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