I criteri stabiliti per selezionare i dipendenti in esubero per il licenziamento collettivo sono applicabili a quello per giustificato motivo oggettivo.

Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 25 ottobre 2018, n. 27094

La massima estrapolata:

I criteri stabiliti dalla legge per selezionare i dipendenti in esubero nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo sono applicabili in via analogica anche ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. Pertanto, è illegittima in quanto contraria ai principi di correttezza e buona fede, la condotta del datore di lavoro che, nel procedere ad una riduzione di personale all’interno di un dipartimento aziendale, disponga il licenziamento di un dipendente senza avere preliminarmente operato una comparazione tra lavoratori aventi mansioni fungibili nello stesso dipartimento, alla luce di criteri oggettivi quali il carico familiare e l’anzianità di servizio, o diversi parametri concordati con le rappresentanze sindacali. Il lavoratore così estromesso dall’azienda ha diritto a vedersi reintegrato sul posto di lavoro, oltre che a percepire un’indennità pari alle retribuzioni che gli sarebbero spettate dal giorno del licenziamento a quello di rientro in servizio.

Sentenza 25 ottobre 2018, n. 27094

Data udienza 29 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere

Dott. PATTI Piergiovanni Adriano – rel. Consigliere

Dott. LORITO Matilde – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato TERRIGNO MASSIMILIANO, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 426/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 25/03/2016 r.g.n. 3801/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/05/2018 dal Consigliere Dott. PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTO

Con sentenza del 25 marzo 2016, la Corte d’appello di Napoli rigettava gli appelli principale e incidentale rispettivamente proposti da (OMISSIS) s.r.l. e da (OMISSIS) avverso la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato l’illegittimita’ del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato dalla prima il 21 dicembre 2011, con le conseguenti condanna reintegratoria e risarcitoria (in misura delle retribuzioni globali di fatto dalla data di licenziamento a quella di reintegrazione), senza tuttavia riconoscerne la natura discriminatoria allegata dalla lavoratrice.
Preliminarmente disattesa l’inammissibilita’ dell’appello, avendo escluso la denunciata genericita’ dei motivi in quanto conformi alle prescrizioni dell’articolo 434 c.p.c. nel testo anteriore alla novella n. 134/2012 applicabile ratione temporis, la Corte territoriale negava la sussistenza della prova della natura discriminatoria del licenziamento, del quale riteneva tuttavia l’illegittimita’. E cio’, pure avendo verificato l’effettivita’ delle ragioni di riorganizzazione aziendale addotte e senza alcuna interferenza sulla congruita’ della scelta imprenditoriale nel rispetto della liberta’ di iniziativa economica costituzionalmente garantita (articolo 41 Cost.). Ma piuttosto, accertata la soppressione della posizione lavorativa di (OMISSIS) e la fungibilita’ delle mansioni svolte da questa e dal collega (OMISSIS), essa ravvisava, nell’indebita preferenza del secondo alla prima, la violazione del principio di correttezza e buona fede, ai sensi dell’articolo 1175 c.c., nell’esercizio del recesso datoriale. E cio’ per la prevalenza della lavoratrice licenziata, in base ai criteri di carico familiare e di anzianita’ di servizio, predeterminati per legge, in assenza di diversi parametri stabiliti da accordi sindacali, a norma della L. n. 223 del 1991, articolo 5 per i licenziamenti collettivi, analogicamente adottabili anche per i licenziamenti individuali in funzione di concretizzazione del principio generale richiamato.
Con atto notificato in data 8 (18) agosto 2016, la societa’ datrice ricorreva per cassazione con quattro motivi, cui resisteva la lavoratrice con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce nullita’ della sentenza e violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4 e articolo 41 Cost., per l’erroneo assunto, con motivazione manifestamente illogica, di fungibilita’ completa di tutte le posizioni lavorative aziendali, nonostante la risultanza dalle prove testimoniali di mancato svolgimento dalla lavoratrice licenziata di mansioni commerciali, con la conseguente inapplicabilita’ del principio di buonafede, sulla base del riferimento ai criteri della L. n. 223 del 1991, articoli 4, 5 e 24, L. n. 604 del 1966, articoli 3 e 8, L. n. 300 del 1970, articolo 18.
2. Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 41 Cost., L. n. 604 del 1966, articoli 3, 8, L. n. 300 del 1970, articolo 18, articoli 1175, 1375 c.c., L. n. 223 del 1991, articoli 4, 5 e 24 ed omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in riferimento al difetto “di alcuna confutazione sul punto” riguardante la dedotta inesistenza di fungibilita’ delle posizioni lavorative di (OMISSIS) e del collega (OMISSIS), essendo stata la prima esclusivamente addetta ad attivita’ di operations, ossia di pianificazione degli audit, di fatturazione e gestione dei report di ispettori, tecnici e consulenti, necessari alla fatturazione, mentre il secondo ad attivita’ di sales, ossia commerciali, mai svolte dalla prima, per travisamento delle testimonianze.
3. Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, articoli 3, 8, L. n. 300 del 1970, articolo 18, per erronea assunzione di illegittimita’ del licenziamento in base ad illegittima ingerenza, in violazione dell’articolo 41 Cost., in relazione alla L. n. 604 del 1966, articolo 3, nell’organizzazione dell’attivita’ di impresa di (OMISSIS) s.r.l. ed omesso esame di un punto decisivo per il giudizio, in riferimento all’effettiva consistenza della posizione lavorativa di (OMISSIS), non fungibile con quella del collega preferito nel processo di riorganizzazione aziendale, per soppressione del posto della prima effettivamente realizzata.
4. Con il quarto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, articoli 3, 8, L. n. 300 del 1970, articolo 18 ed omessa motivazione anche per il mancato esame di uno specifico motivo di appello oggetto di discussione tra le parti, riguardante la reale soppressione della posizione lavorativa di (OMISSIS) e la successiva chiusura di tutta l’unita’ locale di Napoli, a conferma della legittimita’ e non pretestuosita’ del licenziamento.
5. Tutti i motivi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati.
5.1. In primo luogo, i vizi motivi denunciati sono inammissibili, posto che ricorre l’ipotesi di cd. “doppia conforme” prevista dall’articolo 348ter c.p.c., comma 5, applicabile, ai sensi del Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 2 conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012. La ricorrente non ha infatti indicato, per evitare l’inammissibilita’ del motivo di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo applicabile ratione temporis), le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversita’ (Cass. 10 marzo 2014, n. 5528; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774).
5.2. In ogni caso, la circostanza e’ stata oggetto di esame e adeguatamente valutata (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 12 al penultimo di pg. 15 della sentenza). Sicche’, nell’inconfigurabilita’ della violazione di norme di legge denunciata, in difetto dei requisiti propri (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984) ne’ trattandosi di vizi di sussunzione dei fatti accertati dal giudice di merito nelle ipotesi normative denunciate (Cass. 28 novembre 2007, n. 24756), ma proprio di una prospettata loro diversa ricostruzione, entrambi i motivi si risolvono in una revisione del merito, sulla base della contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento di fatto della Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimita’ (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694).
5.3. Neppure ricorre, per le ragioni dette, il denunciato vizio di illogicita’ manifesta, ancora sotto il controllo di coerenza della motivazione, oggi esclusivamente rilevante, ai sensi del novellato testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quale anomalia integrante una “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, ovvero una “motivazione apparente”, o un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 20 novembre 2015, n. 23828; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940).
6. Nel merito, occorre ribadire come, secondo il piu’ recente e condivisibile insegnamento di questa Corte, ai fini della legittimita’ del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisca presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attivita’ produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditivita’, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa, non essendo la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro sindacabile nei profili di congruita’ ed opportunita’, in ossequio al disposto dell’articolo 41 Cost. (Cass. 7 dicembre 2016, n. 25201; Cass. 3 maggio 2017, n. 10699).
6.1. Qualora poi la riorganizzazione imprenditoriale sia modulata, non gia’ sulla soppressione tout court della posizione lavorativa, ma piuttosto sulla riduzione di personale in una porzione dell’ambito organizzativo (reparto), come appunto nel caso di specie, si pone una questione (invece inconferente nella diversa ipotesi di soppressione di posizione lavorativa: Cass. 7 giugno 2017, n. 14178) di valutazione comparativa tra lavoratori di pari livello, interessati dalla riduzione ed occupati in posizione di piena fungibilita’ (Cass. 21 dicembre 2016, n. 26467; Cass. 14 giugno 2007 n. 13876; Cass. 3 aprile 2006, n. 7752), nel rispetto del principio di correttezza e buona fede nell’individuazione del dipendente da licenziare (Cass. 13 ottobre 2015, n. 20508; Cass. 11 giugno 2004 n. 11124).
6.2. Ebbene, la Corte territoriale ha correttamente applicato i suenunciati principi di diritto in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (illustrati dal primo capoverso di pg. 9 al quinto alinea di pg. 10 della sentenza), senza interferire in alcun modo sulla liberta’ di scelta imprenditoriale e con un compiuto esame del fatto, pure adeguatamente valutato (per le ragioni illustrate dal primo capoverso di pg. 10 al penultimo di pg. 12 della sentenza).
6.3. In realta’, la societa’ ricorrente ha contestato l’accertamento valutativo in fatto della Corte di merito, insindacabile in sede di legittimita’ siccome di spettanza esclusiva del giudice di merito (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), adeguatamente argomentato per le ragioni dette, neppure specificamente confutate.
7. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso e la regolazione delle spese del giudizio di legittimita’ secondo il regime di soccombenza, con distrazione al difensore antistatario secondo la sua richiesta.

P.Q.M.

La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la societa’ alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. articolo 13, comma 1-bis.

Avv. Renato D’Isa

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