Suprema Corte di Cassazione
sezioni unite
sentenza 10 luglio 2015, n. 14475
Ragioni della decisione
1. La Toro calcestruzzi srl richiese ed ottenne dal presidente del Tribunale di Cagliari un decreto ingiuntivo per l’importo di 24.458,35 Euro relativo al pagamento di determinate forniture effettuate in favore della F.lli Stochino srl, che propose opposizione.
2. Con sentenza del 1 luglio 2005 il Tribunale di Cagliari accolse l’opposizione e revocò il decreto ingiuntivo, ritenendo che non fosse stata fornita la prova del credito in quanto non risultavano nuovamente depositati i documenti posti a fondamento della richiesta.
3. La Toro calcestruzzi propose appello rilevando che aveva prodotto i documenti a sostegno della richiesta di decreto ingiuntivo allegandoli al ricorso, ma non aveva potuto produrli nuovamente nella fase di opposizione perché le erano stati tardivamente restituiti.
4. L’appellante assumeva che il Tribunale avrebbe invece dovuto acquisire il fascicolo d’ufficio della procedura monitoria con l’allegato fascicolo di parte contenente i documenti. In ogni caso, con l’atto di appello produsse nuovamente i documenti (fatture e buoni di consegna) su cui si fonda la sua domanda, chiedendo che venissero acquisiti ai sensi dell’art. 345 c.p.c. in quanto documenti non qualificabili come “nuovi” e comunque in quanto “indispensabili” ai fini della decisione.
5. La Corte d’appello ha ritenuto che la mancata tempestiva riconsegna dei documenti alla parte non fosse stata provata e che i documenti dovessero essere considerati nuovi e quindi inammissibili in sede di appello. Ha però aggiunto: “Tuttavia, poiché i documenti in questione sono chiaramente indispensabili al fine della decisione, è consentito al giudice di appello di valutarli…. Le fatture allegate alla domanda di ingiunzione portano un totale pari alla somma richiesta e sono accompagnate dai buoni di consegna delle merci. La difesa dell’appellata non ha contestato l’autenticità delle sottoscrizioni apposte in calce ai buoni, né, in realtà, ha neppure mai negato di aver ricevuto le relative forniture”.
6. La Corte ha pertanto ritenuto provata la vendita e la consegna della mercé ed ha rilevato che, fronte di ciò non è stata né offerta, né fornita la prova del pagamento del corrispettivo. Di conseguenza, riformando la sentenza di primo grado, ha rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo e condannato l’appellata al pagamento delle spese del giudizio.
7. La F.lli Sfochino Italo, Mario ed Antonio srl ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi. La Toro Calcestruzzi srl ha depositato e notificato controricorso.
8. Con il primo motivo la società ricorrente denunzia violazione dell’art. 2697 c.c. assumendo che i buoni di consegna non sono mai stati allegati e mai sono stati prodotti, sicché avrebbe errato la Corte nell’affermare che sono stati prodotti e, conseguentemente, nell’affermare che non sono state contestate le sottoscrizioni in calce, perché non si poteva contestare la firma in calce a documenti mai prodotti. La ricorrente sostiene che “probabilmente il giudice di secondo grado per errore ha confuso i buoni allegati dalla srl Sfochino a giustificazione del fatto che aveva comprato il materiale da altra e diversa ditta fornitrice, la Alfa-Semilavorati di Mandas, con quelli che avrebbe dovuto produrre la società appellante”. Inoltre la Toro non ha prodotto gli estratti autenticati delle scritture contabili e il contratto di fornitura.
9. Con il secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 360, n. 5 c.p.c. per errata rappresentazione dei fatti ed erroneità dei presupposti. Erronea o contraddittoria motivazione su fatti decisivi per la controversia. La Corte avrebbe errato nell’affermare che la difesa appellante ha prodotto il fascicolo di parte contenente i buoni di consegna e che le fatture sono accompagnate da detti buoni, in quanto tali buoni non erano presenti nel fascicolo della fase monitoria. La Corte avrebbe inoltre errato nell’affermare che la difesa della F.lli Stochino non aveva mai negato di aver ricevuto le relative forniture, in quanto non solo aveva contestato l’esistenza del contratto di fornitura ma aveva anche affermato che non vi erano stati rapporti e che nessun suo dipendente aveva mai firmato buoni di consegna.
10. La controricorrente ha precisato che le fatture, accompagnate dai buoni di consegna, erano le stesse prodotte nella fase monitoria, e che i buoni di consegna erano presenti tanto nel fascicolo monitorio che nel fascicolo di appello in aggiunta alle fatture, la cui autenticità della sottoscrizione non è stata mai contestata dall’appellata.
11.1 due motivi si basano su di un medesimo fondamento, ripreso anche nella seconda parte del quinto motivo, costituito dalla asserzione che la Corte avrebbe commesso un errore consistente nell’aver “confuso i buoni allegati dalla srl Stochino a giustificazione del fatto che aveva comprato il materiale da altra e diversa ditta tornitrice, la Alfa-Semilavorati di Mandas, con quelli che avrebbe dovuto produrre la società appellante”.
12.1 motivi sono inammissibili perché l’errore prospettato è “un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa” consistente nell’aver fondato la decisione sulla supposizione di un fatto (che i buoni di consegna posti a fondamento della decisione fossero stati allegati al ricorso per ingiunzione e poi all’appello) la cui verità sarebbe incontrastabilmente esclusa (perché, a dire della società ricorrente, i documenti posti dalla Corte a fondamento della decisione riguarderebbero altra fornitura, di altra impresa, e sarebbero stati depositati in giudizio non dalla ricorrente per ingiunzione-appellante, ma dalla opponente-appellata nel suo fascicolo di parte). In presenza di un errore di fatto risultante dai documenti della causa il rimedio è costituito dalla revocazione dinanzi al medesimo giudice che ha emesso la decisione, ai sensi dell’art. 395, primo comma, n. 4, c.p.c.; di conseguenza, il ricorso per cassazione è inammissibile.
13. Con il terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c. e difetto di istruttoria in violazione dell’art. 118 c.p.c. per avere la Corte emesso una sentenza “ultra petita” omettendo di rimettere la causa in istruttoria per assumere le prove richieste dall’appellante nell’atto di appello al fine di provare le ragioni del credito. Anche questo motivo è inammissibile perché la società ricorrente (appellata) non aveva alcun interesse all’accoglimento delle richieste istruttorie dell’appellante, da quest’ultima formulate in via subordinata qualora i documenti acquisiti non risultassero idonei a fondare la domanda. In ogni caso, non vi è alcun vizio di ultrapetizione, di pronunzia, come recita l’art. 112 c.p.c. “oltre i limiti della domanda”.
14. Con il quarto motivo si denunzia violazione dell’art. 188 c.p.c. per aver ritenuto la causa matura per la decisione senza consentire alla appellata-ricorrente per cassazione di provare le proprie ragioni mediante l’ammissione di una prova testimoniale volta a dimostrare che la società aveva utilizzato nel cantiere di XXXXXX merce acquistata dalla Alfa-Semilavorati di Mandas. Anche questo motivo è inammissibile perché attiene al merito della decisione e specificamente alla valutazione della completezza del quadro probatorio e della rilevanza rispetto ad esso di un capitolo di prova, riprodotto nel ricorso, consistente nell’affermazione che la Mandas aveva fornito “merce calcestruzzo” alla F.lli Stonchino per il cantiere di XXXXXX, la cui genericità peraltro risulta evidente.
15. Su tutti i motivi sinora esaminati si è in realtà già espressa, giungendo alle medesime conclusioni, anche la terza sezione, che, con ordinanza interlocutoria n. 24408 del 2014, ha chiesto al Primo Presidente di rimettere la causa alle Sezioni unite per i problemi posti dal quinto motivo.
16. Con quest’ultimo motivo la società ricorrente denunzia violazione dell’art. 345 c.p.c. e violazione dell’art. 188 c.p.c. per avere la Corte ammesso la tardiva produzione del fascicolo della fase monitoria in quanto l’art. 345 c.p.c. non può essere utilizzato per sanare preclusioni e decadenze già verificatesi nel primo grado di giudizio.
17. Con l’ordinanza interlocutoria la terza sezione rileva che nell’esposizione del motivo la ricorrente pone due questioni che sono oggetto di orientamenti contrastanti in seno alle sezioni semplici.
18. La prima questione riguarda il carattere “nuovo” o meno della produzione in appello di documenti che erano stati in origine depositati con il ricorso per ingiunzione, ma non erano stati nuovamente depositati nel corso del giudizio di opposizione.
19. La seconda questione, che si pone qualora la prima si risolva nel senso della novità e conseguente inammissibilità dei documenti, consiste nello stabilire se tali documenti potessero essere considerati indispensabili, posto che anche sul concetto di indispensabilità della prova ai fini della decisione, vi è contrasto di orientamenti.
20. Preliminarmente, è necessario precisare che la versione dell’art. 345 c.p.c. applicabile al giudizio è quella introdotta dall’art. 52 della legge 26 novembre 1990, n. 353, con decorrenza dal 30 aprile 1995, come modificato dall’art. 58, comma 2, della legge 26 novembre 2009, n. 69, che peraltro ha ratificato un l’orientamento espresso da queste Sezioni unite con la sentenza 8203 del 2005.
21. Il testo è il seguente: (nel giudizio di appello) “non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio”.
22. Come è noto, in precedenza la norma era formulata in modo tale da consentire la proposizione di nuovi mezzi di prova in appello. Mentre, da ultimo, l’art. 54, comma 1, lett. 0b, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134, ha escluso la possibilità di acquisire nuovi mezzi di prova anche se indispensabili ai fini della decisione.
23. Il primo problema si pone perché, come si è visto, i documenti sui quali la Corte ha fondato la decisione (fatture e buoni di consegna sottoscritti da chi ha ricevuto la merce) furono prodotti in allegato alla richiesta di decreto ingiuntivo, che venne emesso dal presidente del Tribunale in base a tali documenti. La società che chiese ed ottenne il decreto ingiuntivo non li ha però nuovamente depositati costituendosi nella fase di opposizione, mentre li ha allegati al ricorso in appello.
24. Bisogna allora stabilire se questa produzione debba essere ritenuta inammissibile in applicazione della regola generale, dettata dall’art. 345, terzo comma, c.p.c., per cui in appello non sono ammessi documenti nuovi.
25. La questione è stata rimessa alle Sezioni unite individuando un contrasto di orientamenti tra la posizione espressa da un gruppo di tre sentenze (19992/2004, 8955/2006 e 17603/2013) ed una sentenza del 2011 (11817/2011).
26. L’ordinanza di rimessione offre una sintesi delle posizioni prendendo avvio dal principio di diritto affermato dalla sentenza n. 8955/2006, che è il seguente: “La documentazione posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo è destinata, per effetto dell’opposizione al decreto e della trasformazione in giudizio di cognizione ordinario, ad entrare nel fascicolo del ricorrente, restando a carico della parte l’onere di costituirsi in giudizio depositando il fascicolo contenente i documenti offerti in comunicazione. Ne consegue che in difetto di tale produzione, essa non entra a far parte del fascicolo contenente i documenti offerti in comunicazione. Ne consegue che il giudice non può tenerne conto. L’omessa produzione in primo grado non preclude alla parte opposta rimasta contumace in primo grado in un giudizio regolato dall’art. 345 c.p.c. nel testo previgente (a quello introdotto nel 1990, con decorrenza dal 1995) di produrre i documenti in appello senza che sia necessario proporre appello incidentale ove il giudizio di primo grado sia stato definito con la conferma della pretesa posta a base della decisione”.
27. L’ordinanza ricorda poi che altra sentenza della terza sezione, la 19992 del 2004, aveva precisato: “la documentazione a corredo del ricorso per decreto ingiuntivo è destinata, per effetto dell’opposizione al decreto, ad entrare nel fascicolo del ricorrente, e conserva, rispetto al fascicolo d’ufficio, una distinta funzione ed un’autonomia che ne impedisce l’allegazione di ufficio nel giudizio di secondo grado ove, come in quello di primo grado la produzione del fascicolo di parte presuppone la costituzione in giudizio”.
28. L’ordinanza rileva infine che Cass., prima sezione, n. 17603 del 2013 ha di recente affermato il principio così massimato: “La documentazione prodotta con il ricorso per ingiunzione è destinata, per effetto dell’opposizione al decreto e della trasformazione in giudizio di cognizione ordinaria, ad entrare nel fascicolo del ricorrente, restando a carico della parte opposta l’onere di costituirsi in giudizio depositando il fascicolo contenete i documenti offerti in comunicazione. Ne consegue che in difetto di produzione, questi ultimi non entrano a far parte del fascicolo d’ufficio e il giudice non può tenerne conto”.
29. A queste tre sentenze viene contrapposto l’orientamento espresso da Cass. 11817/2011 che ha fissato il seguente principio di diritto: “Il procedimento che si apre con la presentazione del ricorso per decreto ingiuntivo e si chiude con la notifica del decreto stesso non è autonomo rispetto a quello che si apre con l’opposizione; ne consegue che nel giudizio di opposizione, ove la parte opposta non abbia allegato al fascicolo nel termine di cui all’art. 184 c.p.c. la documentazione posta a fondamento del ricorso monitorio, tale documentazione può essere utilmente prodotta in appello, non potendosi considerare nuova (principio enunciato in relazione al testo dell’art. 345 c.p.c. novellato nel 1990, applicabile ratione temporis)”.
30. Quest’ultima è l’unica sentenza che si occupa specificamente del problema al centro della presente controversia (carattere nuovo o meno dei documenti allegati al ricorso per decreto ingiuntivo, non depositati dalla parte opposta nel giudizio di opposizione, ma da questa allegati all’appello) e sulla base del medesimo dato normativo (versione dell’art. 345 c.p.c. introdotta nel 1990 ed in vigore dal 1995).
31. La sentenza del 2004 si occupò di un diverso problema. Vi era stata opposizione a decreto ingiuntivo, respinta dal Tribunale, l’opponente aveva proposto appello, accolto dalla Corte d’appello rilevando che l’appellata (opposta in primo grado) aveva omesso di depositare in appello il proprio fascicolo di parte relativo al processo di primo grado, onde era impossibile esaminare la documentazione allegata a sostegno della domanda. Quindi i documenti c’erano in primo grado (entrambe le fasi), ma il ricorrente – opposto – appellante, nel proporre appello non aveva depositato il proprio fascicolo di parte di primo grado con i documenti ed aveva chiesto al giudice di appello di ordinare “la ricostruzione” del suo fascicolo di parte. La Corte di cassazione affermò: il fascicolo di parte rimane autonomo e ciò ne impedisce l’allegazione d’ufficio nel giudizio di secondo grado. Pertanto poiché l’appellante non aveva depositato in appello il fascicolo di parte con i documenti a sostegno della sua posizione, “non esisteva il presupposto perché il giudice di appello potesse ordinare la ricostruzione del fascicolo di parte, come si sostiene in ricorso”. In conclusione, Cass. 19992/2004 non costituisce un precedente, ma ha esaminato una situazione antitetica: documenti prodotti in primo grado, non prodotti in appello.
32. La sentenza del 2006 è più vicina come problematica, ma si muove nel quadro normativo precedente alla modifica dell’art. 345 introdotta nel 1990 (con decorrenza 1995). Risolse il problema rilevando che “l’omessa produzione della documentazione in primo grado per effetto della contumacia della banca (opposta) non precludeva alla stessa di produrre i documenti in appello, dato che nel giudizio, introdotto in primo grado anteriormente alla data del 30 aprile 1995, continuava a trovare applicazione, quanto alla fase di appello, l’art. 345 cod. proc. civ., nella formulazione anteriore alle modifiche di cui alla legge n. 353 del 1990, che ammetteva di proporre nuove eccezioni, di produrre nuovi documenti e di chiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova”.
33. Desumerne una posizione articolata ed argomentata sulle implicazioni sistemiche del testo dell’art. 345 c.p.c. introdotto con la legge del 1990 è eccessivo. La Corte si limita a segnalare che con il nuovo testo il problema dell’ammissibilità dei documenti si sarebbe posto, il che è pacifico, ma non aveva motivo di adottare e motivare una soluzione.
34. Anche la sentenza 17603 del 2013 della prima sezione riguarda una situazione diversa da quella in esame, a cominciare dal fatto che, come si precisa al paragrafo 2.2 della motivazione, la controversia era soggetta al testo dell’art. 345 c.p.c. anteriore alla modifica del 1990. Inoltre, ancora una volta si chiedeva alla Corte d’appello di acquisire documenti che non erano stati allegati all’appello. La Corte territoriale, con una scelta ritenuta legittima dalla Cassazione, aveva ritenuto di non acquisirli e di decidere sulla base dei soli documenti allegati all’appello per un duplice motivo: il richiamo alla documentazione prodotta in primo grado era stato formulato dall’appellante in modo generico ed impreciso; i documenti allegati al ricorso per ingiunzione non erano stati poi depositati in sede di opposizione. Non c’era un problema di produzione di documenti in appello di cui vagliare la novità o meno, perché, al contrario, in appello si era omesso di depositate alcuni documenti di cui la parte chiedeva al giudice l’acquisizione d’ufficio indicandoli peraltro in modo generico ed impreciso.
35. Come si è già detto, la sentenza n. 11817 del 2011 è Tunica che ha dovuto affrontare il problema oggetto della presente controversia ed in vigenza del testo dell’art. 345 c.p.c. introdotto nel 1990. In quella, come in questa controversia, i documenti erano stati prodotti con la richiesta di decreto ingiuntivo e il presidente del Tribunale aveva emesso il decreto sulla base di essi. Nella fase di opposizione non era stato depositato il fascicolo di parte della fase monitoria. In appello i documenti erano stati prodotti in allegato all’atto introduttivo del giudizio.
La seconda sezione ha ritenuto che essendo stati prodotti nella fase monitoria, pur non essendo stati depositati nuovamente in sede di opposizione, non potessero essere considerati nuovi e pertanto la loro produzione non era assoggettata al limite di cui all’art. 345, terzo comma, c.p.c..
36. La soluzione deve essere condivisa.
37. La norma del codice fissa il principio generale per cui in appello non sono ammessi nuovi mezzi di prova e tale divieto vale anche per i documenti. Il giudice d’appello dovrà pertanto vagliare se i documenti che vengono allegati al ricorso oggetto del suo esame siano o meno “nuovi”.
38. La formula ampia scelta dal legislatore induce a ritenere che i documenti devono essere nuovi rispetto all’intero processo. Ciò significa che non devono essere mai stati prodotti in precedenza.
39. Questa lettura è già presente nella sentenza di queste sezioni unite 8203/2005 prima richiamata, che qualifica “nuovi” i mezzi di prova “la cui ammissione non sia stata in precedenza richiesta”, senza sottodistinzioni (e anche in quella controversia si trattava di un decreto ingiuntivo opposto).
40. Una conferma di questa dimensione del concetto si ha nell’inciso dell’art. 345 terzo comma in cui si ammette la possibilità di produrre documenti in appello qualora la parte dimostri di non averli potuti produrre nel giudizio di primo grado. Anche qui si parla di giudizio di primo grado, senza distinzioni di sorta.
41. Deve pertanto ritenersi che, documenti prodotti in allegato alla richiesta di decreto ingiuntivo e rimasti a disposizione della controparte (quanto meno) sino alla scadenza del termine per proporre opposizione (in base a quanto disposto dall’art. 638, terzo comma, c.p.c.) e quindi esposti al contraddittorio delle parti, non possono essere qualificati nuovi nei successivi sviluppi del processo.
42. Un’interpretazione restrittiva che escluda, in caso di giudizio di primo grado bifasico, documenti prodotti nella prima fase e non riprodotti nell’opposizione, comporterebbe una modifica del contenuto della norma non consentita all’interprete.
43. La soluzione imposta da una piana interpretazione letterale trova poi conferma sul piano teleologico e sistematico. Sul piano teleologico perché il divieto di proporre prove nuove in appello mira a limitare a situazioni del tutto circoscritte, e idonee a giustificare il ritardo, la produzione di documenti sino a quel momento mai sottoposti al contraddittorio delle parti ed alla valutazione del giudice. Non vi sarebbe ragione, in questa logica, di estendere il divieto a documenti in precedenza già prodotti.
44. Sul piano sistematico, i principi costituzionali del giusto processo e della sua ragionevole durata implicano, come si è sottolineato nella sentenza 23 dicembre 2005, n. 28498, che le prove acquisite al processo lo siano in via definitiva. Tali prove non devono essere disperse. Ciò vale anche per i documenti: una volta prodotti ed acquisiti ritualmente al processo, devono essere conservati alla cognizione del giudice.
45. Il principio, che può essere definito “di non dispersione della prova” una volta che questa sia stata acquisita al processo, implica, con specifico riferimento al procedimento per decreto ingiuntivo, che i documenti allegati al ricorso, in base ai quali sia stato emesso il decreto, devono rimanere nella sfera di cognizione del giudice anche nella, eventuale, fase di opposizione, che completa il giudizio di primo grado (le due fasi fanno parte di un medesimo giudizio che si svolge nel medesimo ufficio, come ha, da ultimo, sottolineato, con riferimento ad altro giudizio di primo grado bifasico in cui l’opposizione costituisce prosecuzione del giudizio di primo grado, Corte cost. 78/2015, occupandosi del problema della I possibile identità fisica del giudice delle due fasi, ritenuta costituzionalmente legittima e “funzionale all’attuazione del principio del giusto processo, per il profilo della ragionevole durata”).
46. Indicazioni di segno diverso non possono essere tratte dall’art. 638 c.p.c. laddove dispone (terzo comma) che i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo “non possono essere ritirati fino alla scadenza del termine stabilito nel decreto d’ingiunzione a norma dell’art. 641”. Tale previsione non comporta che, scaduto quel termine, i documenti possano essere liberamente ritirati: ciò vale sicuramente in caso di mancata opposizione; al contrario, in caso di opposizione il procedimento monitorio si trasforma in giudizio a cognizione piena, che prosegue dinanzi allo stesso ufficio giudiziario (ed in genere dinanzi al medesimo magistrato), il che implica che la parte opposta non è libera di ritirare i documenti, ma deve essere autorizzata dal giudice ex art. 169 c.p.c.. I due regimi limitativi della possibilità di ritirare i documenti in caso di opposizione si saldano. Il giudice nel decidere dovrà disporre di tutto il materiale probatorio (di quello prodotto con la richiesta di decreto ingiuntivo, nonché di quello che opponente ed opposto abbiano in seguito eventualmente aggiunto).
47. L’unicità dell’ufficio spiega la mancanza di una norma che espliciti la necessità della trasmissione del fascicolo d’ufficio, con accluso il fascicolo di parte della fase monitoria contenente i documenti, al giudice dell’opposizione. Tale mancanza, del resto, si riscontra anche nei casi di giudizi d’impugnazione (revocazione, opposizione di terzo) quando si svolgano dinanzi al medesimo giudice.
48. Ma anche qualora lo sviluppo processuale non abbia seguito questo ragionevole ordine e la fase di opposizione si sia conclusa con una decisione che non abbia potuto tener conto dei documenti prodotti con la richiesta di decreto ingiuntivo, tali documenti, se allegati all’atto di appello, non possono essere considerati nuovi, quindi non sono soggetti al divieto sancito dall’art. 345 c.p.c. ed è ammissibile la loro produzione in secondo grado.
49. È questa la situazione determinatasi nel giudizio in esame. La Corte d’appello ha ritenuto che i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo, non essendo stati nuovamente allegati dall’opposto in sede di opposizione, dovessero essere considerati nuovi e quindi inammissibili in appello. Li ha però comunque ammessi ritenendoli indispensabili ai fini della decisione.
50. La soluzione finale è corretta, ma la motivazione della decisione non lo è, perché quei documenti non potevano essere considerati nuovi e quindi, erano in già per questa via ammissibili in appello.
51. Deve, in conclusione, essere affermato il seguente principio di diritto: “L’art. 345, terzo comma, c.p.c. (nel testo introdotto dall’art. 52 della legge 26 novembre 1990, n. 353, con decorrenza dal 30 aprile 1995), deve essere interpretato nel senso che, i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo, anche qualora non siano stati nuovamente prodotti nella fase di opposizione, non possono essere considerati nuovi e pertanto, se allegati all’atto di appello contro la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado, devono essere ritenuti ammissibili”.
52. Tale soluzione del primo problema sottoposto alle Sezioni unite, rende superfluo esaminare la seconda questione, concernente il concetto di prove indispensabili.
53. Il ricorso è pertanto infondato. La problematicità delle questioni poste con il quinto motivo, attestata dalla rimessione alle Sezioni unite, impone di compensare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di legittimità
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