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Semmai, e’ da sottolineare che era il decreto Balduzzi, non messo in discussione dalla giurisprudenza passata sotto il profilo della tecnica legislativa, ad agire sul terreno della delimitazione della colpa che da’ luogo a responsabilita’, circoscrivendo la operativita’ dei principi posti dall’articolo 43 cod. pen. e dunque derogando ad essa, tanto che il risultato e’ stato ritenuto quello della parziale abolitio criminis. Viceversa, la legge Gelli-Bianco non si muove in senso derogatorio ai detti principi generali, bensi’ sul terreno della specificazione, ricorrendo all’inquadramento nella non punibilita’, sulla base di un bilanciamento ragionevole di interessi concorrenti.
La possibile disparita’ di trattamento dovuta a tale opzione, rispetto ad altre categorie di professionisti che pure siano esposti alla gestione di peculiari rischi, non e’ automaticamente evocabile, una volta che l’intera operazione si riveli, anche per la delimitazione enucleata dallo stesso precetto, non irragionevole ed anzi in linea con uno schema gia’ collaudato dalla Corte costituzionale (sent. n. 166 del 1973; ord. n. 295 del 2013).
Anche la modifica in senso limitativo, rispetto all’articolo 3 del decreto Balduzzi, della esenzione da pena ai soli comportamenti che causano uno degli eventi descritti dagli articoli 589 e 590 cod. pen. fa ritenere piu’ adeguatamente finalizzato il nuovo precetto al contrasto del sospetto – che si materializzo’ con riferimento al citato articolo 3 – di incompatibilita’ con il divieto costituzionale di disparita’ di trattamento (articolo 3 Cost.), data l’ampiezza allora reputata ingiustificata, dal giudice che sottopose la norma allo scrutinio costituzionale, della platea dei soggetti che potevano avvantaggiarsene.
Appare infatti oggi, diversamente che in passato, direttamente connesso, l’intervento protettivo del legislatore, con la ragione ispiratrice della novella, che e’ quella di contrastare la c.d. “medicina difensiva” e con essa il pericolo per la sicurezza delle cure, e dunque creare – in relazione ad un perimetro piu’ circoscritto di operatori ed atti sanitari che si confrontano con la necessita’ della gestione di un rischio del tutto peculiare in quanto collegato alla mutevolezza e unicita’ di ognuna delle situazioni patologiche da affrontare – un’area di non punibilita’ che valga a restituire al sanitario la serenita’ dell’affidarsi alla propria autonomia professionale e, per l’effetto, ad agevolare il perseguimento di una garanzia effettiva del diritto costituzionale alla salute.
9. La formulazione della causa di non punibilita’ nell’articolo 590-sexies sollecita dunque a sperimentare una interpretazione della norma che consenta di darle concreta applicazione.
Non e’ condivisibile, in senso ostativo, il rilievo contenuto nella sentenza De Luca-Tarabori, anche sulla scia di una parte della dottrina, secondo cui la formulazione lessicale del precetto creerebbe un corto circuito capace di renderlo inservibile.
La norma descrive un presupposto per la operativita’ della causa di non punibilita’ – quella del versare, il sanitario, nella situazione di avere cagionato per colpa da imperizia l’evento lesivo o mortale, pur essendosi attenuto alle linee-guida adeguate al caso di specie – che non e’ incongruente con la soluzione che promette. Le fasi della individuazione, selezione ed esecuzione delle raccomandazioni contenute nelle linee-guida adeguate sono, infatti, articolate al punto che la mancata realizzazione di un segmento del relativo percorso giustifica ed e’ compatibile tanto con l’affermazione che le linee-guida sono state nel loro complesso osservate, quanto con la contestuale rilevazione di un errore parziale che, nonostante cio’, si sia verificato, con valenza addirittura decisiva per la realizzazione di uno degli eventi descritti dagli articoli 589 e/o 590 cod. pen..
Si tratta, d’altro canto, di una struttura del precetto che ricalca quella dell’articolo 3 del decreto Balduzzi il quale, allo stesso modo, ricavava un’area di irresponsabilita’ a favore del sanitario che, pur rispettoso (“si attiene”) delle linee-guida, potesse riconoscersi in colpa nella causazione dell’evento lesivo dipendente dalla propria professione. Una struttura, cioe’, metabolizzata dalla giurisprudenza che su di essa ha edificato un complesso apparato ricostruttivo del precetto.
In tal senso, la sentenza Sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013, Cantore, nel commentare la portata dell’articolo 3 del decreto Balduzzi, aveva osservato, con una affermazione utile anche relativamente alla formulazione dell’articolo 590-sexies, che “il professionista (che) si orienti correttamente in ambito diagnostico o terapeutico, si affidi cioe’ alle strategie suggeritegli dal sapere scientifico consolidato, inquadri correttamente il caso nelle sue linee generali e tuttavia, nel concreto farsi del trattamento, commetta qualche errore pertinente proprio all’adattamento delle direttive di massima alle evenienze ed alle peculiarita’ che gli si prospettano nello specifico caso clinico” e’ l’agente che in base al decreto del 2012 non rispondeva per colpa lieve.
9.1. L’errore non punibile non puo’, pero’, alla stregua della novella del 2017, riguardare – data la chiarezza dell’articolo al riguardo – la fase della selezione delle linee-guida perche’, dipendendo il “rispetto” di esse dalla scelta di quelle “adeguate”, qualsiasi errore sul punto, dovuto a una qualsiasi delle tre forme di colpa generica, porta a negare l’integrazione del requisito del “rispetto”.
Ne consegue che la sola possibilita’ interpretativa residua non puo’ che indirizzarsi sulla fase attuativa delle linee-guida, sia pure con l’esigenza di individuare opportuni temperamenti che valgano a non esporre la conclusione a dubbi o censure sul piano della legittimita’ costituzionale, per irragionevolezza o contrasto con altri principi del medesimo rango.
La ratio di tale conclusione si individua nella scelta del legislatore di pretendere, senza concessioni, che l’esercente la professione sanitaria sia non solo accurato e prudente nel seguire la evoluzione del caso sottopostogli ma anche e soprattutto preparato sulle leges artis e impeccabile nelle diagnosi anche differenziali; aggiornato in relazione non solo alle nuove acquisizioni scientifiche ma anche allo scrutinio di esse da parte delle societa’ e organizzazioni accreditate, dunque alle raccomandazioni ufficializzate con la nuova procedura; capace di fare scelte ex ante adeguate e di personalizzarle anche in relazione alle evoluzioni del quadro che gli si presentino. Con la conseguenza che, se tale percorso risulti correttamente seguito e, ciononostante, l’evento lesivo o mortale si sia verificato con prova della riconduzione causale al comportamento del sanitario, il residuo dell’atto medico che appaia connotato da errore colpevole per imperizia potra’, alle condizioni che si indicheranno, essere quello che chiama in campo la operativita’ della novella causa di non punibilita’.
Infatti, nel caso descritto, che e’ indispensabile contemplare per dare attuazione alla nuova riforma, puo’ dirsi che si rimanga nel perimetro del “rispetto delle linee guida”, quando cioe’ lo scostamento da esse e’ marginale e di minima entita’.
9.2. Viene di nuovo in considerazione, per tale via, la necessita’ di circoscrivere un ambito o, se si vuole, un grado della colpa che, per la sua limitata entita’, si renda compatibile con la attestazione che il sanitario in tal modo colpevole e’ tributario della esenzione dalla pena per avere rispettato, nel complesso, le raccomandazioni derivanti da linee-guida adeguate al caso di specie.
Tanto piu’ ove si consideri contestualmente che, come sottolineato nel parere espresso dalla Commissione giustizia del Senato sul disegno di legge approvato dalla Camera in prima lettura, il testo e’ volto ad assicurare una tutela effettiva della salute del paziente anche nello specifico ambito del processo civile garantendogli il risarcimento dovutogli in base ad una sentenza, attraverso una serie di strumenti disciplinati dall’articolo 7, oltre, tra l’altro, la previsione del sistema di assicurazione obbligatoria (articolo 9) accompagnato dalla azione diretta nei confronti della compagnia assicuratrice (articolo 12).
A cio’ va aggiunto che la contemplazione di un errore lieve (da imperizia) esente da sanzione penale ha, come pendant e rafforzamento sul piano sistemico, all’interno della legge Gelli-Bianco, la disciplina (articolo 16) che favorisce i flussi informativi volti a far emergere le criticita’ nel compimento della ordinaria attivita’ professionale, onde elaborarle e superarle, con divieto di utilizzazione di quei flussi nel processo penale: un insieme coordinato di regole, cioe’, finalizzato ad una gestione del rischio clinico sempre piu’ responsabilizzante per la stessa struttura organizzativa e senza la frustrante ricerca, in ogni caso, di un capro espiatorio.
E’ necessario peraltro sottolineare che non osta a tale scelta interpretativa l’obiezione di fondo, scaturente dalla giurisprudenza passata in tema di esclusione della operativita’ in ambito penale dell’articolo 2236 cod. civ., nonche’ da una parte dalla dottrina, secondo cui non e’ consentita e comunque non ha senso la distinzione tra colpa lieve e colpa grave nel diritto penale ove, applicando rigorosamente il criterio della valutazione ex ante ed in concreto il giudizio di prevedibilita’ ed evitabilita’ proprio della colpa, sono gia’ presenti tutti gli strumenti per la risoluzione dei casi liminari, potendosi giungere, per essi, alla esclusione, in radice, della ravvisabilita’ della colpa.
Invero, non solo la previsione esplicita della “colpa lieve” come ambito di esclusione della responsabilita’, nel decreto Balduzzi, ha dimostrato che e’ gia’ stato legittimato, dal legislatore, un approccio dogmatico diverso, apprezzabile non solo come opzione meramente interpretativa o ricognitiva dei termini generali di definizione della colpa, ma come possibilita’ aggiuntiva di misurazione di questa a fini diversi da quelli – gia’ previsti dall’articolo 133 cod. pen., comma 1, n. 3, – di commisurazione della pena. In piu’, l’interpretazione qui accolta, rispetto a quella appena ricordata, e’ destinata ad ampliare il novero dei comportamenti che si sottraggono legittimamente all’intervento del giudice penale e a far risaltare concretamente la intuibile volonta’ del legislatore di proseguire lungo la direttrice segnata dal decreto Balduzzi; soprattutto con la finalita’ di impedire che l’abrogazione di questo apra scenari di automatica reviviscenza dei pregressi indirizzi interpretativi che, per la loro estrema severita’ nel passato, sono all’origine del porsi del tema delle risposte difensive dei sanitari.
D’altra parte, il timore che la distinzione tra colpa lieve e colpa grave possa essere anche fonte di scelte non prevedibili e ondivaghe, dipendenti dalla ampiezza della valutazione del giudice e quindi in contrasto con la necessaria tassativita’ del precetto, non tiene conto che analogo timore sarebbe ravvisabile, a monte, riguardo al giudizio sulla “esigibilita’” della condotta, ossia al momento valutativo, qualificante per la individuazione stessa della colpevolezza: timori da sempre adeguatamente contrastati dalla complessa opera ricostruttiva, in seno alla dottrina e alla giurisprudenza, riguardo ai criteri utili per la tendenziale definizione dei giudizi in esame e, nella presente decisione, utilmente richiamati.
10. La ricerca ermeneutica conduce a ritenere che la norma in esame continui a sottendere la nozione di “colpa lieve”, in linea con quella che l’ha preceduta e con la tradizione giuridica sviluppatasi negli ultimi decenni. Un complesso di fonti e di interpreti che ha mostrato come il tema della colpa medica penalmente rilevante sia sensibile alla questione della sua graduabilita’, pur a fronte di un precetto, quale l’articolo 43 cod. pen., che scolpisce la colpa senza distinzioni interne.
Dal punto di vista teorico non si individua alcuna ragione vincolante per la quale tale conclusione debba essere scartata, diversamente da quanto ritenuto da entrambe le sentenze che hanno dato luogo al contrasto.
Queste, peraltro, proprio sulla base di una conclusione di tal genere, fatta discendere dal silenzio della legge, si sono trovate a polarizzare in modo opposto le relative conclusioni, avendo osservato, la sentenza De Luca-Tarabori, che l’esonero complessivo da pena, destinato ad inglobare anche il responsabile di colpa grave da imperizia, non e’ praticabile perche’ genera una situazione in contrasto con il principio di colpevolezza e, la sentenza Cavazza, che la novella causa di non punibilita’ e’ destinata a operare senza distinzione del grado della colpa.
Al contrario, ritengono le Sezioni Unite che la mancata evocazione esplicita della colpa lieve da parte del legislatore del 2017 non precluda una ricostruzione della norma che ne tenga conto, sempre che questa sia l’espressione di una ratio compatibile con l’esegesi letterale e sistematica del comando espresso.
10.1. In tale prospettiva appare utile giovarsi, in primo luogo, dell’indicazione proveniente dall’articolo 2236 cod. civ..
L’articolazione colpa grave/altre tipologie di condotte rimproverabili, pur causative dell’evento, e’ presente nelle valutazioni giurisprudenziali sui limiti della responsabilita’ penale del sanitario che, sotto diversi profili, hanno valorizzato nel tempo i principi e la ratio della disposizione contenuta nella norma citata, plasmata, invero, nell’ambito civilistico del riconoscimento del danno derivante da prestazioni che implichino soluzione di problemi tecnici di speciale difficolta’ e che lo esclude, appunto, salvo il caso di dolo o colpa grave.
Ebbene, tralasciando l’ormai sopito dibattito sulla non diretta applicabilita’ del precetto al settore penale per la sua attinenza alla esecuzione del rapporto contrattuale o al danno da responsabilita’ aquiliana, merita di essere valorizzato il condivisibile e piu’ recente orientamento delle sezioni penali che hanno comunque riconosciuto all’articolo 2236 la valenza di principio di razionalita’ e regola di esperienza cui attenersi nel valutare l’addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione del genere di problemi sopra evocati ovvero qualora si versi in una situazione di emergenza.
Cio’ che del precetto merita di essere ancor oggi valorizzato e’ il fatto che, attraverso di esso, gia’ prima della formulazione della norma che ha ancorato l’esonero da responsabilita’ al rispetto delle linee-guida e al grado della colpa, si fosse accreditato, anche in ambito penalistico, il principio secondo cui la condotta tenuta dal terapeuta non puo’ non essere parametrata alla difficolta’ tecnico-scientifica dell’intervento richiesto ed al contesto in cui esso si e’ svolto (Sez. 4, n. 4391 del 12/11/2011, dep. 2012, Di Lella, Rv.251941; Sez. 4, n. 16328 del 05/04/2011, Montalto, Rv. 251960; Sez. 4, n. 39592 del 21/06/2007, Bugge’, Rv. 237875; Sez. 4, n. 1693 del 29/09/1997, dep. 1998, Azzini, non massimata sul punto). Sicche’ l’eventuale addebito di colpa era destinato a venire meno nella gestione di un elevato rischio senza errori rimproverabili connotati da gravita’. Viceversa, quando non si fosse presentata una situazione emergenziale o non fossero da affrontare problemi di particolare difficolta’, non sarebbe venuto in causa il principio dell’articolo 2236 cod. civ. e non avrebbe avuto base normativa la distinzione della colpa lieve. Ne conseguiva che il medico in tali ipotesi, come in quelle nelle quali venivano in considerazione le sole negligenza o imprudenza, versava in colpa, essendo pacifico che in queste si dovesse sempre attenere ai criteri di massima cautela.
Un precetto, quello appena analizzato, che mostra di reputare rilevante, con mai perduta attualita’, la considerazione per cui l’attivita’ del medico possa presentare connotati di elevata difficolta’ per una serie imprevedibile di fattori legati alla mutevolezza del quadro da affrontare e delle risorse disponibili. Sicche’, vuoi sotto un profilo della non rimproverabilita’ della condotta in concreto tenuta in tali condizioni, vuoi sotto quello della mera opportunita’ di delimitare il campo dei comportamenti soggetti alla repressione penale, sono richieste misurazioni e valutazioni differenziate da parte del giudice.
Non e’ marginale, del resto, l’avallo dato a tale interpretazione da parte della Corte costituzionale, con sentenza n. 166 del 1973, per taluni aspetti ribadita dalla ordinanza n. 295 del 2013. Un avallo cui, viceversa, va riconosciuta riacquisita rilevanza ai fini che ci occupano, soprattutto a seguito della scelta, operata dalla legge Gelli-Bianco, di rendere la causa di non punibilita’ operativa soltanto in relazione alla colpa da imperizia, pur dopo che, nel recente passato, la giurisprudenza di legittimita’ applicativa del sopravvenuto decreto Balduzzi, aveva invece mostrato di propendere per la estensione della irresponsabilita’ da colpa lieve a tutte le forme di colpa generica. La prima pronuncia del Giudice delle leggi aveva, infatti, ammesso che gli articoli 589 e 42 cod. pen. potessero essere integrati dall’articolo 2236 cod. civ., cosi’ da ricavarsene il principio, costituzionalmente compatibile, della graduabilita’ della colpa da “imperizia” del sanitario impegnato nella soluzione di problemi tecnici di speciale difficolta’ e il riconoscimento della possibilita’ di esenzione di una parte di essa dal rilievo pena listico.
La stessa sentenza De Luca-Tarabori evoca tale soluzione sia pure per presentarla come strumento tecnico residuo per perseguire il pur meritevole fine di mandare esente da rimproverabilita’ l’errore colpevole del sanitario contestato a titolo di imperizia.
10.2. In secondo luogo, e’ un dato di fatto che il legislatore del 2012 abbia espressamente utilizzato e disciplinato l’ipotesi della “colpa lieve” del sanitario come quella da sottrarre, a condizioni date, alla responsabilita’ penale.
Tale opzione legislativa prescindeva dalla pregiudiziale della dimostrata situazione di particolare difficolta’ tecnica ed era invece plasmata sul criterio della conformazione alle linee-guida, con riferimento a situazioni che potevano sottrarsi alla repressione penale anche quando non qualificate da speciale difficolta’. Con l’avvertenza che se, da un lato, tale ultima condizione e’ quella che, di regola, ha minore attitudine a generare “colpa lieve”, dall’altro possono darsi condotte del sanitario che, pur rientranti agevolmente in linee-guida standardizzate, risultano di difficile esecuzione per la urgenza o per l’assenza di presidi adeguati.
Quella opzione ha dato luogo ad una cospicua elaborazione giurisprudenziale volta a fissare i criteri utili per individuare preventivamente e, quindi, in sede giudiziaria riconoscere il grado lieve della colpa, del quale – stante l’esplicito testo normativo sopravvenuto – non sembra ragionevole negarsi la idoneita’ alla convivenza con i principi generali dettati dall’articolo 43 cod. pen..
Questi, peraltro, continuano ad avere piena applicazione con riferimento alla colpa da negligenza e da imprudenza.
Bastera’, al fine di dare pratica attuazione alla lettura dell’articolo 590-sexies qui accreditata, rievocare i canoni maggiormente condivisi nel recente passato, sollecitati dall’esigenza di contrastare gli effetti di interpretazioni eccessivamente severe, nella cui filigrana traspariva una non condivisibile tendenza a fare della relazione sanitaria una “obbligazione di risultato”, laddove il fine di garantire la “sicurezza delle cure” ne ribadisce la natura di “obbligazione di mezzi”.
E’ da ribadire, cioe’, quanto gia’ sostenuto in molte sentenze pubblicate sotto la vigenza del decreto Balduzzi (tra le molte, Sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013, Cantore, Rv. 255105; Sez. 4, n. 23283 del 11/05/2016, Denegri) in ordine al fatto che la colpa sia destinata ad assumere connotati di grave entita’ solo quando l’approccio terapeutico risulti marcatamente distante dalle necessita’ di adeguamento alle peculiarita’ della malattia, al suo sviluppo, alle condizioni del paziente. Ovvero, per converso, quando i riconoscibili fattori che suggerivano l’abbandono delle prassi accreditate assumano rimarchevole, chiaro rilievo e non lascino residuare un dubbio plausibile sulla necessita’ di un intervento difforme e personalizzato rispetto alla peculiare condizione del paziente: come nel caso di “patologie concomitanti” emerse alla valutazione del sanitario, e indicative della necessita’ di considerare i rischi connessi.
Nella demarcazione gravita’/lievita’ rientra altresi’ la misurazione della colpa sia in senso oggettivo che soggettivo e dunque la misura del rimprovero personale sulla base delle specifiche condizioni dell’agente e del suo grado di specializzazione; la problematicita’ o equivocita’ della vicenda; la particolare difficolta’ delle condizioni in cui il medico ha operato; la difficolta’ obiettiva di cogliere e collegare le informazioni cliniche; il grado di atipicita’ e novita’ della situazione; la impellenza; la motivazione della condotta; la consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa (oltre alle precedenti, Sez. 4, n. 22405 del 08/05/2015, Piccardo, Rv. 263736; Sez. 4, n. 47289 del 09/10/2014, Stefanetti, Rv. 260740).
In altri termini, e’ da condividere l’assunto consolidato nella giurisprudenza di legittimita’ secondo cui la valutazione sulla gravita’ della colpa (generica) debba essere effettuata “in concreto”, tenendo conto del parametro dell’homo eiusdem professionis et condicionis, che e’ quello del modello dell’agente operante in concreto, nelle specifiche condizioni concretizzatesi.
Meritano di essere ricordati, tali criteri, non sempre in relazione diretta al loro contenuto, riferito anche alla rimproverabilita’ del momento di “scelta” delle linee-guida adeguate al caso concreto che, come si e’ visto, esorbita dal perimetro di operativita’ della novella causa di non punibilita’. Piuttosto e’ utile richiamare l’elaborazione del metodo “quantitativo”, del quantum dello scostamento dal comportamento che ci si sarebbe attesi come quello utile, per determinare il grado della colpa.
La discrezionalita’ del giudice, ravvisabile nel dare pratica attuazione ai detti criteri nel contesto del decreto Balduzzi che li connetteva a linee-guida e buone pratiche di non univoca individuazione, risulta oggi drasticamente ricomposta attraverso la novella che riguarda il procedimento pubblicistico per la formalizzazione delle linee-guida rilevanti.
Oltre a cio’, la circoscrizione, dovuta alla legge Gelli-Bianco, della causa di non punibilita’ alla sola imperizia spinge ulteriormente verso l’opzione di delimitare il campo di operativita’ della causa di non punibilita’ alla “colpa lieve”, atteso che ragionare diversamente e cioe’ estendere il riconoscimento della esenzione da pena anche a comportamenti del sanitario connotati da “colpa grave” per imperizia – come effettuato dalla sentenza Cavazza – evocherebbe, per un verso, immediati sospetti di illegittimita’ costituzionale per disparita’ di trattamento ingiustificata rispetto a situazioni meno gravi eppure rimaste sicuramente punibili, quali quelle connotate da colpa lieve per negligenza o imprudenza; determinerebbe, per altro verso, un evidente sbilanciamento nella tutela degli interessi sottesi, posto che la tutela contro la “medicina difensiva” e, in definitiva, il miglior perseguimento della salute del cittadino ad opera di un corpo sanitario non mortificato ne’ inseguito da azioni giudiziarie spesso inconsistenti non potrebbero essere compatibili con l’indifferenza dell’ordinamento penale rispetto a gravi infedelta’ alle leges artis, ne’ con l’assenza di deroga ai principi generali in tema di responsabilita’ per comportamento colposo, riscontrabile per tutte le altre categorie di soggetti a rischio professionale; determinerebbe, infine, rilevanti quanto ingiuste restrizioni nella determinazione del risarcimento del danno addebitabile all’esercente una professione sanitaria ai sensi dell’articolo 7 della legge Gelli-Bianco, poiche’ e’ proprio tale articolo, al comma 3, a stabilire una correlazione con i profili di responsabilita’ ravvisabili ex articolo 590-sexies cod. pen..
10.3. E’ indicativa, in terzo luogo, l’evoluzione dei lavori parlamentari.
L’originario testo della legge approvato dalla Camera mostrava di volere differenziare, ai fini della esenzione da responsabilita’, la colpa grave (da imperizia) dagli altri minori gradi della (stessa tipologia di) colpa, in una prospettiva specifica. Nel senso, cioe’, che la colpa non grave (da imperizia) era automaticamente inclusa in detta esenzione anche a prescindere dal raffronto con linee-guida, mentre quella grave dello stesso tipo lo era alla condizione del rispetto delle stesse linee-guida.
La scomparsa della detta previsione dal testo successivamente passato al vaglio dell’altro ramo del Parlamento non puo’ pero’ dirsi un ripudio tout court della differenziazione del grado della colpa, non risultando in tal senso esplicitata la volonta’ del legislatore in alcun passo dei lavori preparatori, quanto piuttosto, come auspicato nel citato Parere della Commissione Giustizia del Senato, l’espressione della rinuncia a quella peculiare distinzione che si poneva come tendenzialmente apparente e quindi fortemente a rischio di censura per incostituzionalita’, perche’ garantiva una tutela eccessivamente e irragionevolmente estesa alla colpa tecnica del sanitario in tutte le sue espressioni, essendo per di piu’, la esclusione della imperizia grave in caso di rispetto delle linee-guida, conformata in una sorta di presunzione che poteva essere vinta soltanto con la prova delle “rilevanti specificita’ del caso concreto”.
Si apprende, dai resoconti delle discussioni della Commissione giustizia del Senato del 7, 8 e 21 giugno 2016 – mostratasi interessata a cristallizzare certi approdi della giurisprudenza di legittimita’ e a sollecitare una apposita riformulazione dell’articolo 6 poi realizzata -, semmai un reiterato ed esplicitato timore del legislatore che il comma 2 del precetto della legge in itinere si prestasse, attraverso la condizione del rispetto delle linee-guida, ad una interpretazione aperta alla esclusione della responsabilita’ penale anche per imperizia grave; evenienza non perseguita, oltre che in aperta discontinuita’ con i principi del decreto Balduzzi, nel cui solco, tanto nei lavori della Camera in prima lettura quanto in quelli del Senato, si dichiara di volersi mantenere.
Specularmente, puo’ dunque ammettersi che la colpa lieve e’ rimasta intrinseca alla formulazione del nuovo precetto, posto che la costruzione della esenzione da pena per il sanitario complessivamente rispettoso delle raccomandazioni accreditate in tanto si comprende in quanto tale rispetto non sia riuscito ad eliminare la commissione di errore colpevole non grave, eppure causativo dell’evento.
In conclusione, la colpa dell’esercente la professione sanitaria puo’ essere esclusa in base alla verifica dei noti canoni oggettivi e soggettivi della configurabilita’ del rimprovero e altresi’ in ragione della misura del rimprovero stesso. Ma, in quest’ultimo caso – e solo quando configurante “colpa lieve” -, le condizioni richieste sono il dimostrato corretto orientarsi nel campo delle linee-guida pertinenti in relazione al caso concreto ed il progredire nella fase della loro attuazione, ritenendo l’ordinamento di non punire gli adempimenti che si rivelino imperfetti.
11. Sul quesito proposto devono quindi affermarsi i seguenti principi di diritto:
“L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attivita’ medico-chirurgica:
a) se l’evento si e’ verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza;
b) se l’evento si e’ verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando il caso concreto non e’ regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali;
c) se l’evento si e’ verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alla specificita’ del caso concreto;
d) se l’evento si e’ verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficolta’ dell’atto medico”.
12. Il connesso tema concernente la individuazione della legge piu’ favorevole, in dipendenza dai principi posti dall’articolo 2 cod. pen., comma 4, sulla successione delle leggi penali nel tempo, trova il proprio naturale sviluppo raffrontando il contenuto precettivo dell’articolo 590-sexies cod. pen., come individuato, con quello dell’articolo 3, abrogato.
Si enucleano soltanto i casi immediatamente apprezzabili.
In primo luogo, tale ultimo precetto risulta piu’ favorevole in relazione alle contestazioni per comportamenti del sanitario – commessi prima della entrata in vigore della legge Gelli-Bianco – connotati da negligenza o imprudenza, con configurazione di colpa lieve, che solo per il decreto Balduzzi erano esenti da responsabilita’ quando risultava provato il rispetto delle linee-guida o delle buone pratiche accreditate.
In secondo luogo, nell’ambito della colpa da imperizia, l’errore determinato da colpa lieve, che sia caduto sul momento selettivo delle linee-guida e cioe’ su quello della valutazione della appropriatezza della linea-guida era coperto dalla esenzione di responsabilita’ del decreto Balduzzi (v. Sez. 4, n. 47289 del 09/10/2014, Stefanetti, non massimata sul punto), mentre non lo e’ piu’ in base alla novella che risulta anche per tale aspetto meno favorevole.
In terzo luogo, sempre nell’ambito della colpa da imperizia, l’errore determinato da colpa lieve nella sola fase attuativa andava esente per il decreto Balduzzi ed e’ oggetto di causa di non punibilita’ in base all’articolo 590-sexies, essendo, in tale prospettiva, ininfluente, in relazione alla attivita’ del giudice penale che si trovi a decidere nella vigenza della nuova legge su fatti verificatisi antecedentemente alla sua entrata in vigore, la qualificazione giuridica dello strumento tecnico attraverso il quale giungere al verdetto liberatorio.
Analogamente, agli effetti civili, l’applicazione dell’articolo 3, comma 1, del decreto Balduzzi prevedeva un coordinamento con l’accertamento del giudice penale, nella cornice dell’articolo 2043 cod. civ., ribadito dall’articolo 7, comma 3, della legge Gelli-Bianco. La responsabilita’ civile anche per colpa lieve resta ferma (v. Sez. 3 civ., n. 4030 del 19/02/2013; Sez. 4 civ., ord. n. 8940 del 17/04/2014) a prescindere, dunque, dallo strumento tecnico con il quale il legislatore regoli la sottrazione del comportamento colpevole da imperizia lieve all’intervento del giudice penale.
13. In ordine ai motivi di ricorso, deve rilevarsene la inammissibilita’ perche’ diversi da quelli che possono legittimamente fondare l’impugnazione dinanzi a questa Corte di legittimita’. La inammissibilita’ del ricorso impedisce, altresi’, la rilevazione della prescrizione atteso che il termine per la estinzione del reato non e’ piu’ decorso dalla data della pronuncia della sentenza impugnata, che non puo’ dirsi seguita dalla valida instaurazione di un rapporto processuale in prosecuzione.
13.1. La prima doglianza viene prospettata come vizio di motivazione anche nella forma del travisamento della prova (quella dichiarativa della teste (OMISSIS)) con riferimento alla ricostruzione dei fatti che precedettero il finale ricovero della persona offesa. In altri termini, posto che la rimproverabilita’ della condotta del neurochirurgo, censurata dai giudici di merito come ingiustificatamente manchevole, si fonda sull’assunto della sua piena consapevolezza dei gravissimi sintomi neurologici, comunicatigli dallo stesso (OMISSIS) la mattina del 24 ottobre 2008, il punto toccato dalla difesa e’ quello del mancato raggiungimento della prova – e a maggior ragione di una plausibile motivazione – riguardo alla effettivita’ e pienezza di detta conoscenza.
Per far cio’, il difensore ricorrente aggredisce la motivazione nel punto riguardante la asserita attendibilita’ della persona offesa – che tanto ha sostenuto – nonche’ il giudizio della Corte di merito riguardo alla idoneita’ della testimonianza della (OMISSIS) a costituire valido riscontro e comunque prova aggiuntiva della bonta’ del costrutto del denunciante: tale prova dichiarativa sarebbe, sul punto, frutto di domande suggestive della accusa.
Si tratta di censure volte, in realta’, a criticare inammissibilmente il punto di vista accolto e ampiamente motivato nella sentenza impugnata, sul piano della opinabilita’ piuttosto che su quello della decisiva carenza o manifesta illogicita’.
La evenienza di domande suggestive da parte del pubblico ministero risulta dedotta per la prima volta con il ricorso e in nessun modo riesce a dare corpo a una ammissibile censura sulla illogicita’ della motivazione riguardante la credibilita’ della teste, la quale e’ stata fondata su una serie di ulteriori elementi di fatto valorizzati in sentenza e non contestati nel ricorso.
Anche il tema della prova oggettiva della effettiva manifestazione, sin dal 24 ottobre, dei sintomi della cauda per i quali le linee-guida prescrivono un intervento di decompressione nelle 24-48 ore, risulta congruamente affrontato nella sentenza impugnata ove sono posti in evidenza i numerosi e gravi elementi (la certificazione rilasciata dal dott. (OMISSIS); la assoluta non significativita’ della diversa data riportata nella relazione di dimissione del paziente dal C.T.O. di Firenze l’11 novembre; il grado di recupero incompleto del paziente, dopo l’intervento, come accertato dal c.t. della persona offesa) dimostrativi della correttezza della ricostruzione sostenuta dalla accusa e del tutto razionalmente condivisa dai giudici, con una motivazione alla quale la difesa ricorrente oppone soltanto diversi elementi di fatto, considerazioni congetturali e, in definitiva, una alternativa ricostruzione di quelli, che e’ prospettiva non perseguibile nella sede di legittimita’.
13.2. Il secondo motivo e’ inammissibile per analoghe considerazioni.
La contestazione della motivazione sul nesso di causalita’ ha natura e valenza meramente fattuali, fondandosi sul presupposto della preferibilita’ della tesi dell’imputato circa il momento in cui ebbe effettivamente conoscenza della gravita’ dei sintomi e della condizione del paziente e, conseguentemente spostata in avanti di una settimana tale evenienza -, sulla richiesta che sia riconosciuta la assenza di qualsiasi rimproverabilita’ nelle sue scelte diagnostiche e terapeutiche. Il tutto, con sollecitazione, altresi’, del riconoscimento che il rapporto di causalita’ con l’evento andrebbe ridelineato, dovendo esso essere riferito all’unica condotta colpevole individuabile: quella della persona offesa che, pure invitata tempestivamente a recarsi al pronto soccorso, avrebbe lasciato trascorrere numerosi giorni prima di sottoporsi all’intervento chirurgico.
Ebbene, va ribadito che la proposta di alternativa ricostruzione delle emergenze fattuali non e’ ricevibile dalla Cassazione, dovendosi piuttosto notare che il rapporto di causalita’ e’ stato razionalmente delineato alla stregua di un giudizio di alta probabilita’ logica, nel rispetto degli approdi condivisi della giurisprudenza di legittimita’ (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 22213). Con riferimento, cioe’, alla natura della patologia accertata; alla gravita’ dei relativi sintomi che danno indicazione di intervento urgente nelle 48 ore secondo le acquisizioni scientifiche non contestate nemmeno dalla difesa; al momento di acquisizione della conoscenza dei sintomi da parte del sanitario cui il paziente si era affidato; al comportamento gravemente negligente e ingiustificatamente omissivo, motivo dell’inescusabile ritardo che ha dato luogo al non tempestivo riconoscimento della patologia, al suo aggravamento e all’instaurarsi dei postumi neurologici accertati.
Un comportamento che la giurisprudenza costante di questa Corte inquadra nella cornice della negligenza avendo il medico l’obbligo di seguire, appunto con diligenza, il decorso della sintomatologia del paziente che a lui si affida ed essendo suo dovere assicurare, attraverso i concordati controlli periodici, nonche’ interpretando e valorizzando le sintomatologie riferite, o comunque apprese, che l’intervento eventualmente richiesto con urgenza abbia luogo o venga indicato come indifferibile, mediante le necessarie comunicazioni (vedi, tra le molte, Sez. 4, n. 40703 del 14/06/2016, Roggia, Rv. 267778).
14. Alla inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma che si reputa equo determinare in Euro 2.000,00.
In virtu’ del principio della soccombenza, il ricorrente deve anche essere condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate, alla luce della nota depositata, come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 alla cassa delle ammende, nonche’ alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, oltre gli accessori di legge.
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