Va sancita l’ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione avverso l’ordinanza resa dalla corte di appello in sede di reclamo contro il provvedimento del presidente del tribunale di determinazione del compenso degli arbitri ex art. 814 c.p.c. come riformato dal d.lgs. n. 40 del 2006
Suprema Corte di Cassazione
sezioni unite civili
sentenza 7 dicembre 2016, n. 25045
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CANZIO Giovanni – Primo Presidente
Dott. RORDORF Renato – Presidente aggiunto
Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente aggiunto
Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere
Dott. BIELLI Stefano – Consigliere
Dott. DIDONE Antonio – Consigliere
Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere
Dott. DI IASI Camilla – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4585-2013 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS), che la rappresentano e difendono, per delega in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SCA (gia’ (OMISSIS) sa), (OMISSIS) S.R.L., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), per deleghe in calce al ricorso successivo;
– ricorrenti successivi –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende, per deleghe in calce ai controricorsi;
– controricorrenti –
avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di ROMA depositata il 10/09/2012 – r.g.v.g. n. 50941/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/10/2016 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;
uditi gli avvocati (OMISSIS) per delega dell’avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso e rimessione alla Sezione semplice per l’ulteriore corso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Roma, con ordinanza depositata il 10.9.12, ha parzialmente accolto il reclamo, ex articolo 814 c.p.c., comma 3, e articolo 825 c.p.c., avverso il decreto di liquidazione delle competenze arbitrali compiuta dal Presidente del Tribunale della stessa citta’, riducendo la somma liquidata dal primo in favore degli arbitri (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e posta a carico solidale delle parti del giudizio arbitrale ripartita tra di esse nella misura di 2/3 a carico della (OMISSIS) SpA e di 1/3 a carico di (OMISSIS) sca, societa’ di diritto francese, e (OMISSIS) Italia srl, con compensazione delle spese del procedimento.
La Corte territoriale ha affermato,in particolare, che l’abrogazione delle tariffe forensi, ad opera del Decreto Legge n. 1 del 2012, in attesa del decreto attuativo ex articolo 9 detto Decreto, non impediva di servirsi di quelle, come strumento equitativo per valutare l’adeguatezza del compenso liquidato agli arbitri, ancor piu’ perche’ questi formavano un collegio misto, e senza che potesse rilevare, in quella sede, l’asserita inesistenza o nullita’ dell’attivita’ arbitrale.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la societa’ (OMISSIS) SpA, con due mezzi articolati sulla premessa di una rimeditazione, da parte di questa Corte, dell’ammissibilita’ del ricorso ex articolo 111 Cost.
Contro tale ricorso hanno resistito, con controricorso, gli arbitri (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Hanno altresi’ proposto “controricorso” le societa’ condebitrici (OMISSIS) sca e (OMISSIS) srl, chiedendo la cassazione del provvedimento impugnato.
Avverso tale “controricorso” hanno resistito, con controricorso, i predetti arbitri.
Sono state depositate memorie dalla (OMISSIS) spa e dagli arbitri resistenti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente va osservato che la Prima Sezione civile di questa Corte ha ritenuto che il controricorso delle societa’ (OMISSIS) dovesse essere qualificato come ricorso per cassazione, avendo con esso le “societa’ controricorrenti” richiesto la cassazione del provvedimento impugnato. Ha osservato a tale proposito che questa Corte ha gia’ avuto modo di chiarire che “un controricorso ben puo’ valere come ricorso incidentale, ma, a tal fine, per il principio della strumentalita’ delle forme – secondo cui ciascun atto deve avere quel contenuto minimo sufficiente al raggiungimento dello scopo occorre che esso contenga i requisiti prescritti dall’articolo 371 in relazione agli articoli 365, 366 e 369 c.p.c. ed in particolare, la richiesta – anche implicita – di cassazione della sentenza specificatamente prevista dall’articolo 366 c.p.c., n. 4…”.
Ha quindi proceduto a qualificare il ricorso in esame come incidentale disponendone la riunione con quello principale.
Queste Sezioni Unite fanno propria la decisione su tale punto della Prima Sezione che appare conforme all’orientamento gia’ espresso da questa Corte.
2. Cio’ posto, con il primo motivo di ricorso si contesta che la Corte d’appello abbia considerato non applicabili le tariffe forensi di cui al Decreto Ministeriale n. 127 del 2004, nonostante il Decreto Legge n. 1 del 2012 e il Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, articolo 41 avessero escluso l’applicazione di quest’ultimo ai procedimenti giudiziari gia’ conclusi prima della entrata in vigore del decreto di soppressione delle tariffe di cui al Decreto Ministeriale n. 127 del 2004.
Con il secondo motivo lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto che il valore della controversia dovesse stabilirsi sulla base della domanda (620 milioni di Euro) anziche’ di quanto effettivamente accertato in giudizio (10 milioni di Euro).
Con l’unico motivo di ricorso incidentale le societa’ (OMISSIS) lamentano anch’esse l’erronea determinazione dei compensi agli arbitri in quanto le tariffe forensi non risultavano applicabili, stante la composizione mista del collegio arbitrale in cui uno dei componenti non era avvocato, per cui si sarebbe comunque dovuto far riferimento eventualmente anche a quelle di altri ordini professionali e comunque applicando principi generali di equita’ attinenti alla fattispecie quali il pregio e l’importanza dell’opera svolta, la complessita’ del giudizio ed il valore della controversia nella specie non applicati correttamente.
3. La prima questione da esaminare e’ quella sollevata dai controricorrenti arbitri concernente l’ammissibilita’ o meno del ricorso straordinario per cassazione avverso il provvedimento di liquidazione del compenso agli arbitri.
Si rammenta a questo proposito che queste Sezioni Unite (Sez. U., 03/07/2009, nn. 15586 e 15592) hanno in un primo momento ritenuto che il procedimento di cui all’articolo 814 c.p.c. (nella formulazione anteriore al Decreto Legislativo n. 40 del 2006) previsto per la liquidazione del compenso agli arbitri svolge “una funzione giurisdizionale non contenziosa” che si conclude con una ordinanza di natura essenzialmente privatistica, percio’ carente di vocazione al giudicato ed insuscettibile di ricorso per cassazione ex articolo 111 Cost., comma 7.
Tale orientamento e’ stato confermato successivamente da Sez. U., 31/07/2012, n. 13620, seppure con un diverso ordine di considerazioni, “attinenti all’esigenza di assicurare un sufficiente grado di stabilita’ agli indirizzi giurisprudenziali formatisi riguardo all’interpretazione di norme che, come l’articolo 814 c.p.c., presentano in proposito margini di opinabilita’”.
Tale orientamento interpretativo richiede una necessaria rivisitazione alla luce della intervenuta modifica della disciplina normativa in materia di arbitrato come introdotta dalla novella di cui al Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, con particolare riferimento agli articoli 814 e 825 c.p.c. apparendo ormai superato il tradizionale enunciato secondo cui l’arbitrato e’ sempre atto di autonomia privata.
Invero le stesse Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 25/10/2013, n. 24153) hanno recentemente affermato, in materia di arbitrato estero e in via piu’ generale – attraverso una rivisitazione della natura stessa dell’istituto -, la compiuta giurisdizionalizzazione dell’arbitrato a seguito della novella recata dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, operando un consapevole “overruling” dei profili processuali. A tale proposito e’ stato altresi’ successivamente affermato che “l’attivita’ degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla L. 5 gennaio 1994, n. 25 e dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicche’ lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, da’ luogo ad una questione di giurisdizione”(Cass Sez. U. 06/11/2014, n. 23675).
Queste Sezioni Unite ritengono di doversi conformare al piu’ recente orientamento espresso dalle appena citate sentenze che trova il proprio fondamento sulle disposizioni del Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n 40, da cui si desume con ogni evidenza la natura giurisdizionale dell’arbitrato.
Il provvedimento, dunque, della Corte d’appello di Roma che ha accolto parzialmente il reclamo avverso il provvedimento di liquidazione delle competenze arbitrali effettuato dal presidente del tribunale di Roma deve ritenersi a tutti gli effetti un provvedimento giurisdizionale.
Cio’ posto, al fine di esaminarne la ricorribilita’ con il ricorso straordinario per cassazione ex articolo 111 Cost., occorre valutare se ricorrono i due requisiti della decisorieta’ e della definitivita’. Come e’ noto i caratteri di definitivita’ e decisorieta’ del provvedimento (al di la’ della forma adottata di ordinanza o decreto) che comportano l’efficacia di giudicato, si ravvisano quando la decisione incide su situazioni soggettive di natura sostanziale, senza che ne sia possibile la revoca o la modifica attraverso l’esperimento di alcun altro rimedio giurisdizionale. Nel caso di specie, oggetto della controversia e’ la determinazione del compenso per lo svolgimento di una attivita’ quale quella di arbitri svolta da professionisti qualificati che va necessariamente qualificata come professionale.
Non pare pertanto seriamente contestabile che il riconoscimento e la determinazione di un compenso per l’attivita’ svolta investa una controversia su diritti soggettivi.
A tale proposito e’ appena il caso di rammentare analoghi procedimenti per la liquidazione di altre prestazioni professionali riguardo ai quali la giurisprudenza e’ costante nel riconoscerne carattere contenzioso e per i quali e’ percio’ consentito l’accesso in cassazione.
In primo luogo, il procedimento in esame puo’ confrontarsi con lo speciale procedimento camerale di tipo sommario previsto per la liquidazione dei diritti e degli onorari degli avvocati, che viene pacificamente considerato contenzioso perche’ incidente su diritti soggettivi di credito dei professionisti, con la conseguenza che il regime delle impugnazioni segue il criterio della prevalenza della natura sostanziale del provvedimento sulla forma, consentendo l’impugnazione vuoi con il mezzo dell’appello, vuoi con quello del ricorso straordinario in cassazione (Cass Sez un 182/1999; Cass. 960/09; Cass. 1666/12; Cass. 4002/16).
In secondo luogo, puo’ paragonarsi al procedimento di opposizione al decreto di liquidazione dei compensi degli ausiliari del giudice, avverso il quale e’ ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 111 Cost., comma 7, in virtu’ del rinvio al procedimento speciale per la liquidazione degli onorari di avvocato (Cass 24959/11).
Infine, puo’ rapportarsi con i procedimenti di liquidazione dei compensi in materia fallimentare. In tale ambito, infatti, si ritiene pacificamente impugnabile con ricorso straordinario il decreto del tribunale emesso in sede di reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato di liquidazione dei compensi al difensore della procedura ovvero al consulente, in quanto connotato da un carattere definitivo (non essendo soggetto ad ulteriore impugnazione) e da un effetto decisorio incidendo su diritti soggettivi (Cass. 7782/07; Cass. 15941/07; Cass. 13482/02; Cass. 16136/11).
Nel caso di specie, inoltre, non appare possibile alcun riferimento alla disciplina di cui agli articoli 1339 e 1349 c.c. che concernono l’integrazione della volonta’ negoziale delle parti da parte del terzo cui queste abbiano conferito tale compito. L’articolo 814 c.p.c. prevede infatti una disciplina del tutto diversa in quanto nel caso di specie e’ una delle parti che determina l’ammontare del compenso dovuto e non gia’ un terzo.
Cio’ del resto corrisponde al principio secondo cui e’ il professionista che determina la propria parcella che deve essergli corrisposta dai propri clienti o assistiti salvo poi, in caso di mancata accettazione da parte di questi ultimi, esauriti gli eventuali procedimenti interni ai vari ordini professionali, ricorrere al giudice per la determinazione.
Nessun atto di carattere negoziale interviene quindi nella fattispecie in esame non sussistendo alcun preventivo accordo tra le parti del rapporto in tal senso.
Sotto un ulteriore profilo non appare a tale proposito contestabile che le parti e gli arbitri possano direttamente ricorrere per la determinazione del compenso degli arbitri ad un ordinario processo di cognizione o ad un procedimento monitorio. Da cio’ deve necessariamente concludersi che il procedimento speciale previsto dall’articolo 814 c.p.c., quale via alternativa al processo ordinario, necessariamente effettua un accertamento che coinvolge diritti avendone la medesima natura giurisdizionale.
Tale natura del resto non potrebbe essere negata in ragione delle forme semplificate che lo contraddistinguono, poiche’ l’utilizzo di procedimenti sommari non esclude la loro funzione di risolvere una controversia tra parti contrapposte.
Quanto alla definitivita’, questa attiene come e’ noto alla mancanza di diversi rimedi impugnatori e nel caso di specie deve ritenersi che, una volta conclusosi il procedimento di reclamo innanzi alla Corte d’appello, nessuna ulteriore impugnazione sia possibile se non il ricorso per cassazione ex articolo 111 Cost..
A cio’ non osta la circostanza che, come in precedenza osservato, sussiste per gli arbitri la possibilita’ di sottoporre la medesima controversia in sede di giudizio ordinario in quanto tale facolta’ non esclude che, se gli arbitri optano per il diverso procedimento sommario di liquidazione da parte del presidente del tribunale con possibilita’ di successivo reclamo innanzi alla Corte d’appello, questo secondo procedimento rivesta anch’esso carattere giurisdizionale.
Il rapporto tra i due procedimenti giudiziari resta in tal modo regolato dal principio del giudicato per cui, una volta formatosi quest’ ultimo in uno dei due giudizi, resta preclusa all’altro la possibilita’ di emanare pronuncia sulla stessa controversia.
4. Venendo all’esame dei due motivi del ricorso principale e di quello incidentale, gli stessi, tra loro collegati, possono essere trattati congiuntamente e gli stessi si rivelano fondati nei termini che seguono.
Si osserva in primo luogo che la Corte d’appello ha effettivamente ritenuto che le tariffe del Decreto Ministeriale n. 147 del 2004 fossero state abrogate.
Tale assunto e’ erroneo in quanto, come del resto concordemente ritenuto dalle parti in causa, il Decreto Ministeriale e’ entrato in vigore il 23.8.12 per cui, essendosi il giudizio arbitrale esaurito nell’ottobre del 2011, dovevano ancora applicarsi le tabelle dello stesso, poiche’ il Decreto Legge n. 1 del 2012, articolo 9 che ne aveva disposto l’abrogazione, ne aveva altresi’ prevista l’ultrattivita’ fino alla entrata in vigore del decreto ministeriale attuativo e comunque non oltre 120 giorni dalla conversione del decreto legge stesso.
Nonostante la non corretta affermazione in punto di diritto, la Corte d’appello ha fatto comunque applicazione delle tabelle sotto un duplice profilo: da un lato ha ritenuto di considerare, ai sensi dell’articolo 2333 c.c., le tariffe come rientranti nel novero degli usi e, quindi, applicabili come criterio equitativo; dall’altro, ha considerato le stesse applicabili sempre sotto il profilo equitativo in ragione del fatto che il collegio arbitrale era a composizione mista (due avvocati ed un dottore commercialista) onde non sussisteva comunque l’obbligo di fare applicazione della tariffa forense ma questa ben poteva essere applicata in via equitativa.
In sostanza, la decisione di pervenire ad una applicazione in via equitativa appare basata su due rationes decidendi: la prima erronea relativa alla ritenuta non applicabilita’ del Decreto Ministeriale n. 127 del 2004 e la seconda sulla composizione mista del collegio arbitrale.
Tale seconda ratio, conforme all’orientamento gia’ espresso da questa Corte (v. Cass. 53/03), appare di per se’ sufficiente a sostenere la decisione di far ricorso ad un criterio equitativo basato sul riferimento alle tabelle del citato decreto ministeriale.
Ne consegue che le censure circa il ricorso ai criteri equitativi appaiono infondati.
Resta peraltro da valutare la corretta applicazione dei predetti criteri al caso di specie in cui la determinazione degli onorari e’ avvenuta sulla base del valore della domanda (620 milioni di Euro) e non su quello della somma attribuita con il lodo (10 milioni di Euro) con l’attribuzione da parte del decreto impugnato agli arbitri della somma di euro due milioni e mezzo di Euro.
Cio’ posto, la censura rivolta dal ricorso principale avverso il provvedimento impugnato investe la mancata applicazione del Decreto Ministeriale n. 127 del 2004, articolo 6, comma 1, in ragione del quale: “nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, il valore della causa e’ determinato a norma del codice di procedura civile… (omissis) nei giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni, alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata”.
Il ricorso incidentale prospetta la medesima questione sotto un profilo piu’ generale sostenendo che il criterio equitativo doveva essere applicato anche nella determinazione del valore reale della controversia derivante dal suo esito anziche’ su quello formale della domanda.
Tali censure appaiono fondate.
L’ordinanza impugnata,dopo avere deciso di far ricorso all’equita’ sulla base delle tabelle di liquidazione di cui al piu’ volte citato Decreto Ministeriale n. 127 del 2004, ha poi fatto applicazione, citando giurisprudenza di questa Corte, del principio di cui all’articolo 12 c.p.c. secondo cui il valore della controversia si determina in base al valore della domanda.
Invero la Corte d’appello, una volta fatta applicazione del criterio equitativo in riferimento alle tabelle del Decreto Ministeriale n. 147 del 2004, avrebbe dovuto attenersi alle prescrizioni di quest’ultimo non solo in riferimento alle tabelle di liquidazione ma anche ai criteri generali per la determinazione del compenso in virtu’ dei quali avrebbe dovuto determinare il valore della controversia in base al disposto dal Decreto Ministeriale 127 del 2004 e, cioe’, non sulla base di quanto richiesto dalla parte ma di quanto liquidato con la decisione.
Le tabelle di liquidazione degli importi sono infatti strettamente collegate ai criteri generali di liquidazione onde non e’ possibile applicare in via equitativa le une prescindendo dagli altri.
In ogni caso, comunque, l’applicazione al caso di specie dell’articolo 12 c.p.c., in quanto principio di diritto al di fuori del contesto di valutazione equitativa, risulta erronea perche’, una volta applicati i criteri di legge alla determinazione del valore della causa, dovevano trovare necessariamente attuazione quelli di cui all’articolo 6 Decreto Ministeriale citato risultando esso, in ragione di quanto in precedenza detto, ancora in vigore.
6. I ricorsi vanno dunque accolti.
L’ordinanza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione che provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale e quello incidentale nei sensi di cui in motivazione, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma
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