Corte di Cassazione, sezione VI tributaria, ordinanza 21 giugno 2017, n. 15439

Ai fini della corretta imputazione dei redditi da lavoro autonomo, il fatto che la dazione dell’assegno bancario sia “salvo buon fine” non impedisce di commisurare alla data della percezione del titolo la disponibilità della somma, laddove non sia in contestazione l’esistenza della provvista sufficiente al regolare pagamento del titolo

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI tributaria

ordinanza 21 giugno 2017, n. 15439

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente

Dott. MANZON Enrico – Consigliere

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19213/2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE E DEL TERRITORIO, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 229/18/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI PALERMO – SEZIONE DISTACCATA DI CATANIA, depositata il 22/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 15/03/2017 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito del Decreto Legge n. 168 del 2016, articolo 1 bis, comma 1, lettera e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016;

dato atto che il collegio ha autorizzato, come da Decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata, osserva quanto segue:

Con sentenza n. 229/18/2015, depositata il 22 gennaio 2015, non notificata, la CTR della Sicilia – sezione staccata di Catania – ha parzialmente accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti dell’ing. (OMISSIS) per la riforma della sentenza di primo grado della CTP di Ragusa, che aveva accolto in toto il ricorso del contribuente avverso avviso di accertamento per Iva ed IRPEF.

La CTR, ritenuta legittima la ripresa a tassazione per l’anno 2004 con riferimento a compensi percepiti dal professionista il 30 dicembre 2004, ma fatturati l’anno successivo, ritenne tuttavia di non dover applicare le sanzioni, in quanto il professionista, in perfetta buona fede, aveva regolarmente fatturato il compenso e corrisposto le imposte dovute.

Avverso detta pronuncia l’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione in forza di un solo motivo.

Il contribuente resiste con controricorso e ricorso incidentale, affidato a sua volta ad un motivo.

Va esaminato prioritariamente in ordine logico il motivo con il quale, a sostegno del ricorso incidentale proposto, avente natura di ricorso autonomo, il contribuente denuncia violazione e/o falsa applicazione ed errata interpretazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 54 (T.U.I.R.) in combinato disposto al Regio Decreto 21 dicembre 1933, n. 1736 ed in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il contribuente insiste nell’affermazione della legittimita’ del proprio comportamento circa l’imputazione dell’anzidetto compenso all’anno 2005, in ragione del fatto che il compenso, corrisposto a mezzo di assegno bancario, versato sul c/c di pertinenza del contribuente, e’ stato reso disponibile come valuta in data 10 gennaio 2005.

Il motivo e’ manifestamente infondato.

Premesso che lo stesso contribuente non contesta l’imputazione dei redditi da lavoro autonomo, giusta il disposto dell’articolo 54 T.U.I.R., secondo il principio di cassa, egli insiste nel prospettare, nella fattispecie in esame, l’effettiva disponibilita’ della somma oggetto di contestazione solo nel 2005, essendo stato l’assegno, ricevuto pacificamente nel 2004 e versato entro lo stesso anno solare sul conto corrente bancario del contribuente, reso disponibile con valuta 10 gennaio 2005.

Sennonche’ e’ corretto il rilievo dell’Amministrazione finanziaria secondo cui detto momento individua solo quello della decorrenza degli interessi e non gia’ la disponibilita’ della somma che, in caso di pagamento a mezzo di assegno bancario, va fissata al momento della percezione del titolo di credito da parte del prenditore dell’assegno, cio’ che e’ avvenuto pacificamente il 30 dicembre 2004, in tal senso essendo del tutto ragionevole il richiamo all’analoga indicazione di cui alla circolare n. 38 del 23 giugno 2010 dell’Agenzia delle Entrate.

Il fatto che la dazione dell’assegno bancario sia “salvo buon fine” non impedisce di commisurare alla data della percezione del titolo la disponibilita’ della somma, laddove, come nella fattispecie in esame, non sia in contestazione l’esistenza della provvista sufficiente al regolare pagamento del titolo.

E’ appena il caso poi di rilevare come l’insistito riferimento del contribuente alla pronuncia di questa Corte Cass. sez. 5, 15 aprile 2011, n. 8626 non sia affatto idoneo a supportare le conclusioni rese sul punto dal contribuente, atteso che detta pronuncia (cosi’ come la giurisprudenza costante della Corte in materia: cfr. tra le altre Cass. sez. 5, 30 luglio 2014, n. 17306), si limita a riaffermare il criterio dell’applicabilita’ del principio di cassa ai compensi percepiti, laddove il professionista aveva invece erroneamente applicato il principio di competenza.

Il ricorso incidentale va pertanto rigettato.

Deve invece ritenersi fondato il ricorso principale dell’Amministrazione finanziaria, con il quale l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e/o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 472 del 1997, articolo 5, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, osservando come l’esclusione dell’applicazione delle sanzioni nella fattispecie in esame da parte del giudice tributario d’appello si ponga in contrasto col fondamento del regime sanzionatorio, basato sulla colpa.

La statuizione della CTR, con la quale si e’ riconosciuta la “perfetta buona fede” del professionista, che “ha regolarmente fatturato il compenso e corrisposto le imposte dovute”, e’ contraddetta dalla violazione da parte del contribuente del principio di cassa rispetto al disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 6, circa la fatturazione, in relazione al quale non e’ configurabile alcun margine d’incertezza normativa.

D’altronde e’ corretta l’argomentazione dell’Amministrazione ricorrente in punto della sussistenza di una presunzione di colpa a carico di chi sia incorso nella violazione contestata, spettando quindi al contribuente l’onere di provare di avere agito senza colpa (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, 27 marzo 2009, n. 7502; Cass. sez. 5, 20 febbraio 2009, n. 4171; Cass. sez. 5, 25 ottobre 2006, n. 22890), onere che, alla stregua delle sopra esposte considerazioni, non puo’ ritenersi adempiuto dal contribuente.

Il ricorso principale va dunque accolto.

La sentenza impugnata va dunque cassata in accoglimento del ricorso principale.

Non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ dunque essere decisa nel merito con rigetto integrale dell’originario ricorso del contribuente.

Avuto riguardo all’andamento del giudizio, possono essere compensate interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio di merito, ponendosi, secondo il criterio della soccombenza, a carico del controricorrente, nonche’ ricorrente incidentale, le spese del giudizio di legittimita’, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso principale accolto e, decidendo nel merito, rigetta integralmente il ricorso originario del contribuente.

Dichiara compensate tra le parti le spese del doppio grado di merito e condanna il controricorrente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 4100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

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