Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza del 9 giugno 2014, n.12936
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE CIVILE – 3
ORDINANZA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARIO FINOCCFIIARO – Presidente –
Dott. ADELAIDE AMENDOLA Consigliere
Dott. ANNAMARIA AMBROSIO – Rel. Consigliere
Dott. RAFFAELE FRASCA – Consigliere –
Dott. FRANCO DE
STEFANO Vre –
ha pronunciato la seguente
sul ricorso 14428-2013 proposto da:
—- , elettivamente
– ricorrente –
contro
BANCA SPA
Svolgimento del processo e motivi della decisione
E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 870/2012 del TRIBUNALE di BERGAMO,
depositata il 27/04/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/04/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ANNAMARIA AMBROSI
1. RG ha impugnato con ricorso ex art. 360 cod.proc. civ., in relazione all’art. 348 ter co. 3 cod. proc. civ., la sentenza del Tribunale di Bergamo n. 870 in data 27.04.2012 di rigetto dell’opposizione da esso ricorrente proposta avverso il decreto ingiuntivo, emesso dallo stesso Tribunale in data 01.07.2009, ad istanza dell U Banca s.p.a., per il pagamento di € 211.084,55 oltre interessi e spese, in forza di fideiussione prestata dal ricorrente nell’interesse della P s.r.l.
La U Banca s.p.a. ha resistito con controricorso.
3. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., in quanto appare destinato ad essere dichiarato inammissibile.
4. Con i motivi di ricorso si denuncia: I) ai sensi dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ. violazione dell’art. 2697 cod. civ. sugli oneri probatori delle parti, nonché degli artt. 113 e 112 cod. proc. civ.; II) ai sensi dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ. violazione dell’art. 1956 cod. civ. e dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione alla dedotta exceptio doli e alle domande riconvenzionali proposte.
4.1. Il ricorso non appare suscettibile di superare il preventivo vaglio di ammissibilità per inosservanza dell’art. 366 n. 3 cod. proc. Ric. 2013 n. 14428 sez. M3 – ud. 15-04-2014
civ.; e ciò in quanto parte ricorrente — dopo avere riferito nella premessa del ricorso, in termini estremamente succinti, al limite della genericità, in ordine all’oggetto del giudizio e al primo grado — ha non solo omesso di riassumere i contenuti della decisione di prime cure (peraltro sostanzialmente ignorati anche nell’esposizione dei motivi), ma ha, altresì, tralasciato qualsivoglia indicazione in ordine al giudizio di appello, limitandosi a riferire che avverso la sentenza di primo grado «veniva proposto appello avanti alla Corte di Brescia la quale ne dichiarava l’inammissibilità ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., ordinanza comunicata in data 26/03/2013» (pag. 3 del ricorso).
Siffatta esposizione appare assolutamente insufficiente e inidonea ad assolvere alla funzione riassuntiva sottesa alla previsione di cui al n. 3 dell’art. 366 cod. proc. civ..
4.2. Si rammenta che il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 n. 3 cit., è volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio (così Cass. civ., Sez. Unite, 18 maggio 2006, n. 11653); ed è in ragione di tale funzione, che detto requisito, in tanto può ritenersi soddisfatto, in quanto il contenuto del ricorso consenta alla Corte di cassazione, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalla parti, senza dover ricorrere ad altre fonti od atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, così da acquisire un quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione censurata e i motivi delle doglianze prospettate (cfr. ex plurimis,Cass. 27 marzo 2009, n. 7460; Cass. 12 giugno 2008, n. 15808).
Ne consegue che, allorquando, come nella specie, la causa ha avuto corso con il giudizio di primo grado e con quello di appello, sia pure concluso con l’ordinanza ex art. 348 bis cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, esercitando il diritto di impugnazione avverso la sentenza di primo grado, per adempiere all’onere di cui all’art. 366 n. 3 cit., deve necessariamente fornire una sommaria esposizione dello svolgimento del processo con riferimento ad entrambi i gradi del giudizio, segnatamente evidenziando la tempestiva proposizione dell’impugnazione e l’oggetto dei motivi di appello, trattandosi di requisiti che — per quanto si dirà di seguito — condizionano la stessa ammissibilità del ricorso per cassazione ex artt. 348 ter e 360 cod. proc. civ..
4.3. E’ ben vero che il ricorso ex art. 360 cod. proc. civ., di cui al comma 3 dell’art. 348 ter del codice, ha per oggetto la sola sentenza di primo grado, dovendosi escludere – come appare chiaro dalla lettera della legge – che esso possa attingere anche l’ordinanza di cui al primo comma della stessa norma (e dovendosi, altresì, escludere che detta ordinanza possa essere oggetto di autonoma impugnazione con ricorso straordinario ex art. 111 Cost, in aderenza a principi acquisiti nella giurisprudenza di legittimità che riconoscono siffatto rimedio esclusivamente avverso provvedimenti che abbiano il duplice requisito della decisorietà e definitività, nella specie insussistente).
E tuttavia è altrettanto vero che lo svolgimento dell’impugnazione in appello, ancorchè definita con ordinanza di inammissibilità per assenza di “ragionevole probabilità di successo” ex art. 348 bis cod. proc. civ., non può ritenersi tamquam non esse, ; il che emerge, con particolare evidenza, dalla previsione, contenuta nel comma 4 dell’art. 348 ter, di inammissibilità del motivo di ricorso di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. avverso la sentenza di primo grado, qualora l’inammissibilità dell’appello sia stata «fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata» (secondo il Ric. 2013 n. 14428 sez. M3 – ud. 15-04- 2014 medesimo regime previsto dall’ultimo comma dello stesso articolo, per il caso di “doppia sentenza conforme di merito sulla medesima questione”); ma, soprattutto, risulta chiaro dalla considerazione che soltanto le parti della decisione di primo grado, già (tempestivamente) impugnate in appello, potranno essere attinte dal ricorso per cassazione, essendo sulle altre parti (autonome) intervenuto il giudicato.
4.4. Valga considerare che l’art. 348 ter, co.3 cod. proc. civ. — assoggettando a ricorso per cassazione la sentenza inutilmente appellata e, correlativamente, individuando il dies a quo del termine per la sua proposizione nella comunicazione o notificazione dell’ordinanza di inammissibilità ex art. 348 bis cod. proc. civ. o, in mancanza, nella sua pubblicazione — non deroga alla regola generale di cui all’art. 329 cod. proc. civ. che prevede la formazione del giudicato formale in ragione dell’acquiescenza totale o parziale.
Né depone in senso contrario la soppressione dell’inciso «nei limiti dei motivi specifici esposti con l’atto di appello», contenuto nel testo originario del d.l. n. 83 del 2012 come limite alle censure deducibili in sede di legittimità ex art. 348 ter e 360 cod. proc. civ. avverso la sentenza di primo grado. Piuttosto siffatta soppressione, operata dalla legge di conversione, convalida il convincimento della non impugnabilità, in via autonoma, dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello, risultando, esclusivamente, funzionale a chiarire — come si legge nella relazione accompagnatoria — che i motivi di cassazione restano «logicamente distinti» da quelli di appello «fermo restando che ogni parte autonoma della decisione di primo grado non impugnata con l’appello, dichiarato poi inammissibile, sarà passata in giudicato interno».
4.5. Merita altresì osservare che — per quanto l’inammissibilità dell’appello risulti pronunciata ex art. 348 bis cod. proc. civ. in ragione Ric. 2013 n. 14428 sez. M3 – ud. 15-04-2014 -5- del “merito” dell’impugnazione, sulla base del giudizio prognostico sul suo esito infausto (restando escluse dall’ambito della norma, secondo quanto esplicitato dalla prima parte dello stesso art. 348 bis cod. proc. civ., le ipotesi tipiche di inammissibilità o improcedibilità da definirsi con sentenza) — non per questo viene meno il potere-dovere della Corte di cassazione di rilevare il passaggio in giudicato formale della decisione di primo grado, in considerazione della tardività dell’appello o anche di altre ragioni in rito (“a monte” rispetto all’ordinanza di inammissibilità dell’appello per assenza di ragionevoli probabilità di successo ex art. 348 bis cod. proc. civ.) rilevabili, al pari della tardività, sulla base di un riscontro esterno dell’atto di impugnazione; traducendosi siffatto rilievo, siccome comportante l’accertamento della definitività della sentenza di primo grado, nella dichiarazione di inammissibilità del proposto ricorso per cassazione. E tanto, sull’abbrivio, mutatis mutandis, del principio acquisito nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui la Suprema Corte può rilevare anche d’ufficio una causa di inammissibilità dell’appello, che il giudice del merito non abbia provveduto a riscontrare, disponendo la cassazione senza rinvio della sentenza di secondo grado (tra le più recenti: Cass. 28 giugno 2010, n. 15405), fermo restando, in ragione della non impugnabilità dell’ordinanza di inammissibilità, la preclusione, in sede di legittimità, ad ogni revisione critica della valutazione operata dal giudice di appello in ordine non solo al merito dell’impugnazione, ma anche con riguardo ai requisiti di ammissibilità di cui all’art. 342 cod. proc. civ., siccome afferenti al contenuto dell’atto di appello.
4.6. Se tutto ciò è vero — se, cioè, l’esercizio del diritto di impugnazione contro la sentenza di primo grado, in tanto potrà essere consentito, in quanto l’appello non sia stato tardivo e in quanto i Ric. 2013 n. 14428 sez. M3 – ud. 15-04-2014 motivi di ricorso per cassazione riguardino punti della decisione di primo grado, che erano stati attinti dall’impugnazione in appello — • appare evidente che rientra tra i requisiti “minimi” dell’esposizione del fatto l’indicazione sia della tempestiva proposizione dell’appello, sia dell’oggetto dei motivi peri quali esso venne proposto. Inoltre siffatti requisiti “minimi” andranno integrati anche dall’esposizione dei contenuti dell’ordinanza di inammissibilità, in funzione dell’ammissibilità del motivo di ricorso di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., stante la limitazione del sindacato di legittimità ai motivi di cui ai nn.1, 2, 3 e 4 della stessa norma, nell’ipotesi in cui «l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata».
Il che, agli effetti della procedibilità del ricorso per cassazione ai sensi del n. 4 dell’art. 369 cod. proc. civ., si traduce anche nell’onere di depositare sia l’atto di appello, sia l’ordinanza di inammissibilità dell’appello.
4.7. Orbene, nel ricorso all’esame manca, come si è detto — oltre a una sintesi della motivazione della decisione di primo grado (il che ridonda anche nell’aspecificità dei motivi) — qualsivoglia indicazione non solo sul tenore dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello, ma anche e soprattutto in ordine alla data di proposizione dell’appello e all’oggetto dei motivi proposti; risolvendosi siffatte mancanze nell’inammissibilità del ricorso ex art. 3 dell’art. 366 cod. proc. civ.. Inoltre neppure risulta depositato, unitamente al ricorso, l’atto di appello.
4.8. E’ appena il caso di aggiungere che la funzione riassuntiva sottesa alla previsione della sommarietà dell’esposizione del fatto — riferendosi ad un requisito di ammissibilità del ricorso — non può ritenersi assolta da elementi estranei allo stesso ricorso, dovendosi segnatamente escludere che le ridette indicazioni, rilevanti per quanto sin qui detto, ai fini della stessa ammissibilità del ricorso ex artt. 348 ter e 360 cod. proc. civ. avverso la sentenza di primo grado, possano essere desunte aliunde e, cioè, dalle difese del controricorrente o anche dall’ordinanza di inammissibilità.
5. In definitiva si propone la declaratoria di inammissibilità del ricorso.»
A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della novità della questione, il Collegio ravvisa i presupposti di cui all’art. 92 co.2 cod. proc. civ. per la compensazione integrale tra le parti delle spese del giudizio di legittimità. La circostanza che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, leze 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo — ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione — del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità; ai sensi dell’art.13 co. 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo , di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso
Roma 15 aprile 2014
IL PRESIDENTE
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