Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza del 9 gennaio 2013, n. 1038
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
D.G. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la sentenza 19 dicembre 2011 della Corte di appello di Roma che, in riforma della sentenza 5 aprile 2007 del Tribunale di Roma, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato per essere il reato di cui all’art. 388 cod. pen. estinto per prescrizione, confermando le statuizioni civili della gravata sentenza.
1.) il capo di imputazione.
D. è accusato, al capo sub C), del reato di cui all’art. 388 comma secondo cod. pen., perché, non ottemperando al provvedimento del Tribunale di Roma del 15/18 febbraio 1999 che lo obbligava ad allontanarsi dalla casa coniugale sita in (…) , provvedimento confermato da quello della Corte d’ Appello di Roma in data 27 maggio 1999, con il quale quest’ ultimo Giudice affidava in via esclusiva, sul presupposto che la grave conflittualità fra i genitori nuocesse loro, le due minori D.G. e Gi. alla madre G.C. , di fatto disattendeva la predetta statuizione adottata nell’interesse delle due bambine. In (…) .
1.) i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte.
Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge in quanto la condotta omissiva contestata (ordine di rilascio della casa coniugale da parte del marito-padre) non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante ex art. 388 comma 2 cod. pen.
Con un secondo motivo si lamenta vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità considerato: a) che l’imputato non è stato oggetto di esecuzione coattiva ma ha volontariamente lasciato l’immobile il 22 novembre 1999 in presenza dell’Ufficiale giudiziario; b) che, contrariamente all’assunto della corte distrettuale, le due minori erano destinatane di un provvedimento di affido congiunto (decreto 18 febbraio 1999 del Tribunale di Roma).
Con un terzo motivo si prospetta violazione di legge, dovendo il reato considerarsi prescritto prima della pronuncia di primo grado, assumendosi quale data di consumazione del reato (non già il 22 novembre 1999, ma il 27 maggio 1999.
Ritiene la corte che il primo motivo sia fondato con conseguente assorbimento delle altre doglianze.
Va infatti premesso, come regola generale per la vantazione delle condotte, sussumibili nello schema dogmatico e nella violazione dei disposti dell’art. 388 comma 2 cod. pen., che non tutti i provvedimenti decisi dal giudice civile nell’interesse del minore trovano sanzione nella detta norma, ma esclusivamente quelli che concernono “l’affidamento” del minore stesso.
In altri termini, il contenuto offensivo sanzionato risulta usualmente espresso dal rifiuto di consegna del figlio al coniuge non affidatario, o dall’inottemperanza dell’obbligo di favorirne gli incontri con le persone stabilite dal giudice (Cass. pen. sez. 6, 37118/2004, r.v. 23024; sezione feriale 34024/2010, r.v. 248182), oppure dalla inosservanza di prescrizioni concernenti i rapporti del figlio con persone diverse da quelle indicate; oppure ancora dalla elusione sostanziale degli obblighi dianzi precisati, mediante comportamenti di carattere omissivo (Cass. pen. sez. 6, 33719/2010, r.v. 248157).
Orbene, siffatto tipico contenuto, attinente alla mancata esecuzione dolosa concernente persone minori, non può dilatarsi, come fatto dalla gravata sentenza, sino a comprendere provvedimenti di ricaduta ed interesse patrimoniale (quali la disponibilità della casa di comune abitazione) che siano, come nella specie, consequenziali alla pronuncia di affidamento della prole (Cass. pen. sez. 6, 20 ottobre 1995, Liserra).
Da ciò l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non è previsto come reato.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto come reato.
Depositata in Cancelleria il 09.01.2013
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