Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza del 30 ottobre 2012, n. 42182
Ragioni della decisione
1. S.F. , L.U. , M.E. e N.M. , tutti appartenenti alla polizia di Stato ed in servizio di volante nella serata del …, erano imputati dei reati di cui agli artt. 40.2, 110, 323 c.p. (capo A), 110, 81.2, 40.2, 582, 61 n. 9 c.p. (capo B), 110, 594, 61 n. 9 c.p. (capo C), in relazione alle modalità del controllo cui avevano sottoposto Mo. Am. nella piazza (…) e poi in questura.
Con sentenza in data 28.11.2008 – 27.7.2009 il Tribunale felsineo condannava gli imputati alla pena di giustizia per tutti i reati loro ascritti, con le pertinenti statuizioni accessorie, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile Mo. , che liquidava contestualmente.
Il 15.4.2011 la Corte d’appello di Bologna ha confermato le statuizioni penali e ridotto la quantificazione del danno.
2. I ricorsi in favore dei quattro imputati sono proposti con unico atto del comune difensore, che enuncia sei motivi:
1-. Violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e pronuncia, ex artt. 521 e 522 c.p.p., in relazione al reato sub A) ed alla modifica della contestazione, avvenuta in udienza, che aveva aggiunto all’originario e solo concorso ex art. 110 c.p. il riferimento anche all’art. 40.2 c.p., con l’inciso “e comunque non ne impedivano la verificazione pur avendo l’obbligo giuridico di impedire l’evento”. Secondo i ricorrenti tale modificazione era stata originata dall’impossibilità di provare il soggetto cui attribuire le condotte contestate e né il Tribunale né la Corte distrettuale avevano argomentato sull’attribuzione, ai singoli, di condotta attiva piuttosto che omissiva, in un contesto dove si doveva ritenere che l’aver agito secondo la condotta tipica ovvero il non essersi attivato in adempimento degli obblighi connessi ad una posizione di garanzia costituivano fatti diversi e opposti, all’esito delle sentenze invece entrambi contestati e ritenuti;
2-. “Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione” sul punto delle singole condotte e della consapevolezza di tutti in ordine alla pretesa arbitrarietà del prelevamento, tenuto conto delle sue modalità e del contesto di confusione;
3-. Violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alla ritenuta arbitrarietà del prelevamento in piazza, per violazione dell’art. 6.4 d lgs 296/98, essendo invece irrilevante lo “sviamento di potere”.
In particolare la Corte d’appello non avrebbe risposto ai rilievi difensivi sul fatto della legittimità del controllo, perché il fermato sarebbe stato in possesso solo di una copia del permesso di soggiorno il che per sé legittimava gli accertamenti in questura (dove suoi amici portarono nella notte il passaporto statunitense), secondo le prassi d’ufficio e le interpretazioni dei commi 3 e 4 dell’art. 6 d lgs 286/1998 vigenti, e venne denunciato per resistenza (sul punto la valutazione della Corte distrettuale, relativa al suo mancato arresto, trovando diversa congrua spiegazione proprio nell’esito degli accertamenti su identità e precedenti), in un contesto dove il sostituto di turno era stato avvisato della procedura in corso (secondo i ricorrenti, a conferma della trasparenza del loro operato);
4-. Inosservanza o erronea applicazione di legge in relazione al mancato assorbimento dell’art. 323 nei due reati di cui ai capi B e C, per ciascuno dei quali risultava contestata la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 9 c.p.: il ricorrente riconosce la novità del motivo, richiamando tuttavia l’applicabilità dell’art. 609.2 c.p.p. La sussunzione dovrebbe operare per la seconda parte dell’episodio, quella che avvenne in questura, cui si riferiscono i capi B e C, che qualificherebbero di autonoma ed assorbente rilevanza penale le condotte riconsiderate come elemento costitutivo del delitto di abuso d’ufficio sub A);
5-. Violazione dell’art. 495 c.p.p., per l’omessa escussione del teste I.M. (agente di turno quella notte nella sala fermati), decisivo per il contributo nella ricostruzione del fatto. Il teste era stato ammesso, ma poi non escusso senza contraddittorio sul punto e senza provvedimenti formali di revoca. Erroneamente la Corte d’appello avrebbe valorizzato la non opposizione della difesa alla dichiarazione di utilizzabilità degli atti e di chiusura del dibattimento, interpretando tale condotta come assenso alla revoca. L’eccezione sarebbe stata tempestivamente proposta con motivo d’appello, risultando inapplicabile l’art. 182 c.p.p. proprio per l’assenza di un provvedimento formale di revoca, come tale non eccepibile “immediatamente dopo” e, comunque, prima della decisione del primo grado;
6-. Difetto, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto dell’inattendibilità della persona offesa, avendo la Corte bolognese diversamente valutato il contenuto delle sue dichiarazioni relativamente all’entità delle lesioni subite, parlando, nel trattare la quantificazione del danno, di un’amplificazione delle condotte, e tuttavia non considerando tale aspetto relativamente al punto dell’attendibilità sulla ricostruzione rilevante ai fini penali, e, ciò, nonostante che la costituzione di parte civile, la qualità di soggetto sottoposto ad indagini per reato collegato (stante la denuncia per resistenza) e l’assenza di riscontri rendessero quella prova dichiarativa determinante.
3. Il primo motivo è infondato. Questa Corte ha già insegnato che in tema di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza, qualora la contestazione comprenda tanto l’ipotesi omissiva quanto quella commissiva nessuna violazione del principio di cui all’art. 521 c.p.p. è configurabile quando le ricostruzioni, in primo e secondo grado, si mantengono nei limiti della contestazione; ciò, in ragione del criterio sostanzialistico con il quale il principio di correlazione va valutato, con attenzione alla verifica della sussistenza del pregiudizio dei diritti di difesa in concreto (Sez. 4, sent. 24058/2004), posto che ciò che va garantita è la appunto concreta possibilità di un efficace contraddittorio sul contenuto dell’accusa, in relazione alla natura dell’addebito come specificamente formulato nell’imputazione (Sez.5, sent 46203/2004). Nel nostro caso, la contestazione specifica rivolta ai quattro imputati è stata quella o di avere materialmente operato il “prelievo” nelle forme violente descritte dalla persona offesa e richiamate dettagliatamente dalla sentenza di primo grado o di avervi assistito nella consapevolezza dell’illiceità del “prelievo”, senza doverosamente attivarsi per impedirlo, con ciò agevolandone consapevolmente la consumazione. Si tratta di una contestazione alternativa per sé legittima e chiara, caratterizzata dal fatto che entrambe le condotte realizzano il reato ascritto, ed idonea a consentire difesa efficace sulle due alternative inequivoche. Sul punto, entrambi i Giudici del merito hanno evidenziato, proprio ad attestare come la difesa si sia esplicata in concreto ed in relazione alla contestazione alternativa, la scelta specifica degli imputati – ovviamente del tutto legittima in quanto afferente la libertà piena di determinazione difensiva – di non riferire in alcun modo le distinte condotte, quella propria (almeno) e quella degli altri, pur essendo tale distinzione certamente una componente essenziale anche della versione difensiva alternativa, poi disattesa con motivazione articolata da entrambi i Giudici del merito (così Trib. p. 5 e 9, Corte d’appello p. 2 e 3). Del resto, il motivo rasenta anche la stessa inammissibilità, laddove i ricorrenti in realtà non formulano deduzioni specifiche sulle prospettabili conseguenze positive rispetto all’affermazione di responsabilità, per ciascuno di essi, che la riconduzione della propria posizione all’una o all’altra delle condotte (omissiva, commissiva) determinerebbe.
3.2 Il secondo motivo è infondato.
Va innanzitutto rilevato che la Corte di Bologna si è attenuta all’insegnamento che le Sezioni Unite di questa Corte hanno in tempi successivi fatto proprio. Infatti, SU sent. 155/2012 ha chiarito e confermato che, ai fini della configurabilità del reato di abuso d’ufficio, sussiste il requisito della violazione di legge non solo quando la condotta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l’esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito, configurandosi in tale ipotesi il vizio dello sviamento di potere, che integra la violazione di legge poiché lo stesso non viene esercitato secondo lo schema normativo che ne legittima l’attribuzione. In questo caso, con specifica motivazione, immune dai vizi logici soli rilevanti ai sensi dell’art. 606.1 lett. E c.p.p., la Corte distrettuale ha sussunto nella nozione di sviamento del potere le condotte indicate poi trattando del quarto motivo.
In secondo luogo, la doglianza difensiva sull’omessa o irrituale motivazione in ordine alla consapevolezza di tutti gli imputati muove da una ricostruzione dei fatti diversa da quella fatta propria dai Giudici del merito. Lo schema logico del motivo, pare infatti essere il seguente, relativamente alla prima fase (quella nella piazza e afferente il “prelievo”): vi è uno dei quattro che ordina il prelievo e, pur ipotizzandone l’illiceità, non vi è prova, e comunque non vi è argomentazione, sulla consapevolezza di chi, ricevuto l’ordine, vi aveva dato esecuzione e degli altri due, componenti di diversa pattuglia pur presente ed operante nella piazza. Ma, come si esporrà trattando del successivo motivo, la ricostruzione dei Giudici del merito vede i quattro consapevoli dei due “prelievi” (quello della nostra persona offesa e quello del N.M.S.J. ) eseguiti senza richiedere i documenti e con condotte “violente” (p. 1 e 2, 6, 7, 8 sent. Trib.), che si inseriscono in un contesto assolutamente unitario e caratterizzato da modalità del tutto sovrapponibili per entrambi gli “accompagnati”.
Va poi rilevato che la Corte d’appello ha evidenziato nella sua risposta il fatto che secondo le deposizioni cui ha dato credito (con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede di legittimità perché sorretto da motivazione né apparente né intrinsecamente contraddittoria, né manifestamente illogica) in questura certamente la persona offesa fu colpita e vessata da tutti e quattro gli agenti. Il che finisce con il rendere il motivo sostanzialmente inammissibile perché, stante l’infondatezza della sollecitazione difensiva alla sussunzione nelle condotte di lesioni e ingiurie contestate sub B e C dell’abuso d’ufficio (relativamente alla seconda parte della vicenda, quella in questura: si veda poi la trattazione del quarto motivo), l’ipotetica estraneità alle vicende nella piazza sarebbe irrilevante rispetto all’affermazione di responsabilità anche per il reato di abuso.
3.3 Anche il terzo motivo è infondato ed ai limiti della stessa inammissibilità. Le pur apprezzabili deduzioni in esso contenute, infatti, muovono da un presupposto di fatto che è stato espressamente escluso dai Giudici di merito. Questi hanno entrambi ricostruito la vicenda escludendo che in piazza siano stati chiesti i documenti, in particolare al Mo. , descrivendo un “prelievo a campione” occasionale (sent. Tribunale, pagine 2 secondo paragrafo, 7 ultimo paragrafo, 8, 11; sent. Corte d’appello p. 5, 10 e 12), sicché la questione se la fotocopia del permesso di soggiorno (posto che il passaporto certamente non era nel possesso attuale della persona offesa, essendo stato portato in questura nella notte da suoi conoscenti) fosse idonea ad attestarne con ragionevole certezza l’identità è del tutto irrilevante. In sostanza, l’illegittimità della condotta degli imputati consiste nel fatto che il “prelievo” sia avvenuto per ragioni diverse da quelle consentite ed il fatto che, ex post, sia stata accertata una situazione rispetto alla quale poteva in ipotesi giustificarsi l’accompagnamento già effettuato per altro motivo è inidoneo a scriminare la loro condotta.
Del resto, il ricorso non “attacca” questa ricostruzione ma pone solo la, appunto differente e successiva, questione se la fotocopia del permesso di soggiorno fosse o meno idonea ad escludere l’accompagnamento.
3.4 La questione dedotta con il quarto motivo, pur essendo nuova, come lealmente subito “dichiarato” dai ricorrenti, è ammissibile, afferendo alla qualificazione giuridica dei fatti. Il motivo è però infondato.
La mera lettura del terzo e del quarto paragrafo del capo di imputazione sub A attesta inequivocamente che la condotta di abuso d’ufficio contestata per la parte di episodio che si è svolta in questura non si esaurisce nelle condotte vessatorie di cui ai capi “seguenti” (B e C), ma è integrata anche da condotte autonome e del tutto diverse (”altresì” “atti di umiliazione quali costringerlo a spogliarsi completamente e sbattere il suo cellulare contro il muro” e il proseguire nel trattenimento anche dopo il completamento della procedura per l’identificazione AFIS e l’acquisizione del passaporto). E l’affermazione di responsabilità per questo capo di imputazione A è stata argomentata dai Giudici del merito anche con specifico riferimento a tali ulteriori ed autonome condotte.
3.5 Il quinto motivo è infondato. Correttamente la Corte distrettuale ha ritenuto assorbente, in rito, che la difesa non abbia eccepito il mancato esame del teste I. subito dopo la dichiarazione di chiusura dell’istruttoria dibattimentale, provvedimento, questo, inequivocamente incompatibile con ogni ulteriore attività istruttoria e quindi necessariamente comportante la revoca di ogni precedente ammissione di prove fino a quel momento non assunte.
In particolare, è infondato l’assunto difensivo per cui, chiusa l’istruttoria senza un formale autonomo provvedimento di revoca di tale deposizione, solo con l’atto d’appello l’imputato avrebbe potuto introdurre la questione. Infatti, indiscussa la presenza della parte al momento della deliberazione di chiusura dell’istruttoria e, quindi, certa la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 182.2 c.p.p., va evidenziato come tra la dichiarazione di chiusura dell’istruttoria dibattimentale e la deliberazione della sentenza vi sia la fase della discussione e della precisazione delle conclusioni. E tale fase è certamente idonea a consentire la proposizione dell’eccezione, in sede di formulazione e illustrazione delle conclusioni, ex art. 523.1 c.p.p..
Pertanto, in applicazione del principio di diritto per cui, quando la parte vi assiste, le nullità di cui agli artt. 180 e 181 c.p.p. concernenti la deliberazione di esaurimento dell’assunzione delle prove debbono essere eccepite, a pena di decadenza, in sede di formulazione e precisazione delle conclusioni, l’eccezione è, come giudicato dalla Corte d’appello, tardiva.
3.6 Il sesto motivo è infondato.
Come osservato dal procuratore generale di udienza, il Giudice d’appello ha commentato l’enfasi dalla persona offesa, data a fatti oggettivamente veri, in termini che ne confermano la buona fede, evidenziando in particolare le ragioni per le quali la persona offesa era ragionevolmente in stato di stress emotivo. Sì aggiunga che la fonte della responsabilità degli imputati, per entrambe le fasi (piazza e questura) non è mai solo ancorata alle esclusive dichiarazioni del Mo.
4. Consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Depositata in Cancelleria il 30.10.2012
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