www.studiodisa.itLa massima

In tema di omissione di atti d’ufficio, per un verso il dovere di risposta del pubblico ufficiale presuppone che sia stato avviato un procedimento amministrativo, rimanendo al di fuori della tutela penale quelle richieste che sollecitano alla P.A. un’attività che la stessa ritenga ragionevolmente superflua e non doverosa.

 

Suprema Corte di Cassazione 

sezione VI

sentenza del 3 dicembre 2012, n. 46758

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Potenza confermava la pronuncia di primo grado del 13.12.2010 con la quale il Tribunale della stessa città aveva assolto D.R.P. e R.R. dal reato di cui all’art. 323 cod. pen. per avere, il primo, come responsabile dell’ufficio tecnico del comune di Campomaggiore, omesso di provvedere ovvero di rispondere alla istanza del 09/12/2004 con la quale P.R., dipendente di quell’ente, aveva chiesto all’amministrazione comunale la liquidazione di somme di denaro a titolo di liquidazione di incentivi ai sensi della L. n. 104 del 1994; ed il secondo, come responsabile dell’ufficio personale dello stesso comune, omesso di provvedere ovvero di rispondere alle missive del 6/12/2004, del 09/12/2004 e del 13/12/2004 con le quali il P. aveva chiesto all’amministrazione comunale la liquidazione di somme a titolo di progressione economica e di ricongiunzione retributiva, ovvero delle spese legali da lui sostenute in un procedimento penale definitosi con la sua assoluzione.

Rilevava la Corte di appello come, benchè i fatti contestati potessero astrattamente configurare il delitto di cui all’art. 328 c.p., comma 2, anzichè quello di abuso di ufficio contestato, nel caso di specie dovesse essere confermata la decisione assolutoria di primo grado in quanto le missive inviate dalla parte civile non avevano avuto ad oggetto una diffida ad adempiere, bensì semplici richieste di liquidazioni o mere sollecitazioni.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso la parte civile P.R., a mezzo del suo procuratore speciale e difensore avv. Gaetano Basile, il quale, formalmente con due distinti motivi, ha dedotto la violazione di legge, in relazione all’art. 328 c.p., comma 2, ed il vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale omesso di considerare che le missive indicate nei capi d’imputazione contenevano delle esplicite diffide ad adempiere e per avere la stessa Corte operato un mero rinvio per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado nella quale erroneamente si era sostenuto che una di quelle richieste concerneva una richiesta di rimborso di spese legali alla quale era stata allegata una sentenza del Tribunale civile di Potenza inerente ad altra istanza.
Motivi della decisione

1. Ritiene la Corte che il ricorso vada rigettato.

2. Premesso che è del tutto priva di pregio la doglianza difensiva relativa ad un erroneo riferimento documentale che, asserita mente, sarebbe presente nella motivazione della sentenza emessa dal Giudice di prime cure, in quanto la Corte di appello, con la seconda sentenza, pur operando un rinvio alla prima decisione, non aveva affatto valorizzato l’indicazione sulla quale si sono concentrate le attenzioni critiche del ricorrente, va osservato come la Corte territoriale abbia fatto corretta applicazione del principio desumibile dalla consolidata giurisprudenza di legittimità secondo il quale, in tema di omissione di atti d’ufficio, per un verso il dovere di risposta del pubblico ufficiale presuppone che sia stato avviato un procedimento amministrativo, rimanendo al di fuori della tutela penale quelle richieste che sollecitano alla P.A. un’attività che la stessa ritenga ragionevolmente superflua e non doverosa (così, tra le tante, Sez. 6, n. 79/12 del 19/10/2011, Cerruti, Rv.

251781); per altro verso, la richiesta scritta di cui all’art. 328 c.p., comma 2 deve assumere la natura e la funzione tipica della diffida ad adempiere, dovendo la stessa essere rivolta a sollecitare il compimento dell’atto o l’esposizione delle ragioni che lo impediscono (così, da ultimo, Sez. 6, n. 40008 del 27/10/2010, Iorio, Rv. 248531).

Ed infatti, i Giudici potentini, con motivazione adeguata e priva di vizi di manifesta illogicità, hanno rilevato come le missive che il P. aveva inviato all’amministrazione comunale di cui era dipendente, difettassero di una perentoria intimazione ad adempiere e mancassero dell’elemento proprio qualificante una diffida, e cioè della prospettazione, in caso di inerzia, dell’impiego “dello strumentario legale a tutela dei diritti e degli interessi lesi o esposti a pericolo” (v. pagg. 2-3 della sentenza impugnata).

Nè conduce a differenti conclusioni l’esame degli atti allegati dal ricorrente all’atto di impugnazione, e ciò sia perchè tale controllo diretto sarebbe consentito in questa sede di legittimità esclusivamente laddove fosse stato denunciato un travisamento della prova, cosa che nella fattispecie non è accaduto; sia anche perchè si tratta di lettere contenenti effettivamente mere richieste o sollecitazioni, ad eccezione di una, datata 10/12/2004, che non è affatto sicuro costituisca specifico oggetto di addebito nei capi d’imputazione.

3. Alla declaratoria di rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario delle spese del presente procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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