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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza del 23 giugno 2014, n. 27185

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MILO Nicola – Presidente –
Dott. LANZA Luigi – Consigliere –
Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere –
Dott. DE AMICIS Gaetano – rel. Consigliere –
Dott. BASSI Alessandra – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI GENOVA;
IL QUADRIFOGLIO SOC. COOP. SOC. A R.L. ONLUS LEG. RAP. C. N., F. J., P. S.;
nei confronti di:
PU.FE. N. IL (OMISSIS);
CA.IR. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 2352/2012 CORTE APPELLO di GENOVA, del 08/02/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/03/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Giovanni D’Angelo, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
Udito, per la parte civile, l’Avv. Mara Tagliero, per il “Il Quadrifoglio s.c.a.r.l.”, che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi;
Uditi i difensori Avv. Marco Piccardo, per Pu.Fe., e l’Avv. Simonetta Salvini, per Ca.Ir., che hanno concluso per il rigetto dei ricorsi.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza dell’8 febbraio 2013 la Corte d’appello di Genova, in riforma della sentenza pronunciata in data 4 novembre 2010 dal Tribunale di Savona – Sezione distaccata di Albenga, ha assolto Pu.Fe. e Ca.Ir. dal reato di maltrattamenti loro in concorso ascritto, con formula pronunciata ex art. 530 c.p.p., comma 2, perchè il fatto non sussiste, ritenendola prevalente sulla ormai maturata (ad agosto 2012) prescrizione.

2. All’esito del giudizio di primo grado le imputate erano state condannate alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione, oltre al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili costituite ed al pagamento di una provvisionale di Euro ventimila, per avere, dall’anno 2003 al febbraio 2005, nella qualità di educatrici presso l’asilo nido della Fondazione “Simone Stella – Leone Grossi”, maltrattato i minori alle stesse affidati, usando abitualmente nei loro confronti metodi correttivi di estremo rigore, urlando e rimproverandoli di frequente, segregandoli in un bagno della struttura per punizione, scaraventandoli a terra con violenza, tanto da far battere loro la testa contro il muro in diverse occasioni, usando sempre maniere brusche, colpendoli con schiaffi ed ingiuriandoli con epiteti vari, quali “sfigata” o “sfigato”, ed altri di analogo tenore.

3. Avverso la su indicata sentenza della Corte d’appello di Genova ha proposto ricorso per cassazione il P.G. presso la medesima Corte, deducendo vizi motivazionali e di erronea valutazione delle prove acquisite, per avere assolto nel merito, con formula piena, le imputate, pur evidenziando in sentenza la mancanza dell’evidenza della prova dell’insussistenza del fatto. La Corte di merito muove, infatti, da una premessa del tutto immotivata rispetto alle risultanze processuali, quando mostra di ritenere scarsamente credibile che episodi di inaudita, indubbia, gravità quali quelli indicati in rubrica si siano potuti verificare senza che nulla trapelasse all’esterno della struttura, dimenticando tuttavia di considerare quali fossero i rapporti tra la fondazione appaltante il servizio all’interno dell’asilo nido e la cooperativa “Il Quadrifoglio”, nonchè quelli tra il vecchio ed il nuovo presidente che aveva denunciato i fatti, oltre alla frattura creatasi tra le nuove e le precedenti insegnanti.

Sono state privilegiate le versioni dei testi a difesa, mentre si è omesso di valutare in modo globale le dichiarazioni dei testi d’accusa, atteso che l’una dichiarazione è riscontrata dalle altre, quanto meno sul complesso delle circostanze che consentono di ritenere integrati gli estremi del delitto contestato.

Si è inoltre omesso di considerare adeguatamente alcune testimonianze, come quelle dei genitori, della B., entrata nell’asilo nido negli ultimi mesi del 2004 e non collocabile in alcuno degli “schieramenti” ipotizzati in sentenza, ovvero di P. S., che il Tribunale aveva invece ritenuto decisamente attendibile.

E’ stata, infine, erroneamente messa in dubbio la credibilità di alcune testimonianze (ad es., del c.e., nuovo presidente della fondazione all’epoca dell’emersione dei fatti).

4. Ha proposto altresì ricorso il difensore e procuratore speciale della parte civile “Il Quadrifoglio società cooperativa sociale a r.l. onlus”, quale precedente società appaitatrice per la gestione dell’asilo nido, deducendo sette motivi di doglianza, il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente riassunto.

4.1. Vizi di violazione di legge e carenze motivazionali nella valutazione delle risultanze delle deposizioni testimoniali, per avere la Corte d’appello erroneamente escluso la piena attendibilità di testimoni oculari di specifici episodi ( P., G., F., B., c. e S.) e di testimoni de relato ( N., B. e Z.), che avevano comunque fornito elementi di riscontro ai testi precedentemente indicati, oltre che delle dichiarazioni di alcuni genitori, omettendo una valutazione complessiva del materiale probatorio ai fini di un adeguato apprezzamento dei comportamenti e delle dichiarazioni rese dai testimoni ascoltati nel corso dell’istruttoria dibattimentale.

Non sono state correttamente considerate, in particolare, le deposizioni rese da alcune insegnanti che avevano personalmente assistito agli episodi contestati nell’imputazione, come le testimoni P.S. e B.P. (la prima, peraltro, ritenuta estremamente attendibile dal primo Giudice).

La Corte d’appello, inoltre, ha travisato i fatti allorquando ha messo in dubbio l’attendibilità della deposizione del testimone oculare c. riguardo ad un episodio attribuibile alla Pu., avvenuto il (OMISSIS) e da lui segnalato con una lettera alla cooperativa, testimonianza che è stata erroneamente ritenuta smentita sulla base delle dichiarazioni rese da due educatrici presenti nella mensa, ossia da P.S. e S. S..

4.2. Vizi motivazionali in relazione alla ritenuta piena attendibilità delle testimonianze a difesa ed all’omessa valutazione delle risultanze istruttorie che, invece, ne mettevano in discussione l’attendibilità, contravvenendo anche al dettato dell’art. 194 c.p.p., nel non tenere in alcuna considerazione le diffuse argomentazioni già esposte sul punto dal primo Giudice.

4.3. Vizi motivazionali in relazione alla valutazione delle deposizioni dei genitori dei minori coinvolti nella vicenda e dell’elaborato del consulente tecnico, laddove si è ritenuto poco credibile che bambini in tenerissima età non avessero immediate reazioni a quanto subivano e presentassero, invece, tempi di reazione e manifestazione del trauma a lunga distanza dai fatti.

4.4. Vizi motivazionali in relazione alla valutazione parziale e segmentata del materiale probatorio, non avendo la Corte d’appello analizzato il complesso delle emergenze istruttorie, nè ricostruito unitariamente l’intera vicenda (tenuto conto delle deposizioni in senso “accusatorio”, delle risultanze della consulenza tecnica, delle parziali ammissioni delle imputate in sede di esame e delle dichiarazioni rese da due genitori sul metodo educativo seguito dalla Pu.).

4.5. – 4.6. – 4.7. Erronea valutazione delle deposizioni dell’operatrice scolastica Sc.Gi. – circa il possibile riscontro di quanto affermato dal teste c. in merito all’episodio del (OMISSIS) – nonchè del padre di G.L. – circa le reazioni che aveva potuto osservare nella figlia all’epoca in cui la stessa aveva assistito, alla fine del 2003, a gravi episodi posti in essere dalla collega Pu. ai danni di una bambina – e infine della inattendibilità della testimonianza di F.S..

5. Con memorie pervenute in Cancelleria, rispettivamente, nelle date 3 e 6 marzo 2014, i difensori di Pu.Fe. e C. I. hanno svolto ampie argomentazioni a sostegno della correttezza delle vantazioni espresse nella impugnata sentenza e della conseguente richiesta di rigetto dei ricorsi presentati dal P.G. e dalla parte civile.

Motivi della decisione

6. Preliminarmente, deve rilevarsi che il reato è estinto per intervenuto decorso del termine prescrizionale, poichè la condotta individuata nel tema d’accusa risulta consumata dal 2003 al febbraio del 2005, con il logico corollario che, in base al termine massimo di sette anni e sei mesi applicabile al reato in questione, secondo quanto previsto dal combinato disposto di cui agli artt. 157 – 161 c.p., la prescrizione si è verificata, ancor prima della pronuncia della sentenza di secondo grado, alla data del 31 agosto 2012.

7. Nel merito, i ricorsi sono fondati e vanno accolti per le ragioni di seguito esposte e precisate.

8. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, la motivazione della sentenza d’appello che riformi in senso radicale la decisione di primo grado si caratterizza per un obbligo peculiare e “rafforzato” di tenuta logico-argomentativa, che si aggiunge a quello generale della non apparenza, non manifesta illogicità e non contraddittorietà, desumibile dalla formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) (Sez. 6, n. 46847 del 10/07/2012, dep. 04/12/2012, Rv. 253718; Sez. 6, n. 1266 del 10/10/2012, dep. 10/01/2013, Rv. 254024; Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, dep. 21/02/2013, Rv. 254113).

In particolare, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le strutture portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti contenuti nella motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, e non può, invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perchè ritenuta preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, dep. 20/02/2013, Rv. 254638).

9. Considerando, ora, le implicazioni di tale quadro di principii in relazione alla disamina della vicenda storico-fattuale oggetto della regiudicanda, deve rilevarsi come la Corte territoriale abbia escluso la penale responsabilità delle imputate sulla base di una rivalutazione sommaria del compendio probatorio specificamente analizzato dal primo Giudice, omettendo di sviluppare il necessario confronto critico-argomentativo con le numerose risultanze emergenti dal complesso degli elementi fattuali puntualmente valorizzati dal Giudice di primo grado ai fini della ritenuta configurabilità del reato.

In relazione al contenuto di ciascuna delle censure sopra analiticamente illustrate, invero, la motivazione offerta dalla Corte di merito è assolutamente carente nel trascurare l’esigenza di una compiuta disamina dei su evidenziati profili critici oggetto delle articolate doglianze dai ricorrenti prospettate, ancor più ove si consideri che le stesse sono volte ad avallare – sulla stregua di puntuali osservazioni tratte proprio dalla dettagliata disamina svolta dal Giudice di primae curae – una, radicalmente, diversa valutazione dei correlativi risultati dell’istruzione dibattimentale.

Siffatto, necessario, apprezzamento di merito non è stato operato con riguardo ad alcuno dei – potenzialmente decisivi – profili critici dai ricorrenti delineati, sostituendolo, di contro, o attraverso una valutazione parcellizzata delle risultanze probatorie poste a fondamento delle conclusioni cui era pervenuta la prima sentenza, oppure attraverso un erroneo utilizzo dei criteri di valutazione delle diverse prove testimoniali, il cui contenuto narrativo è stato isolatamente considerato e di volta in volta ritenuto, con affermazioni apodittiche, contraddetto o non confermato dai risultati di altre prove orali, senza dar conto, tuttavia, delle parti ovvero degli specifici passaggi narrativi, considerati idonei a giustificare la diversa rilevanza del peso probatorio ad esse attribuito.

Non supportata da congrue argomentazioni, nè sufficientemente dimostrata ai fini della valutazione della credibilità intrinseca del contributo narrativo oggetto del correlativo apprezzamento appare, peraltro, l’affermazione secondo cui vi sarebbe “ineliminabile dubbio” che i fatti riferiti dalle testimoni d’accusa ( G., N. e F.) “non fossero della gravità loro attribuita e che la valenza negativa dei comportamenti addebitati alle odierne imputate sia stata dalle nuove educatrici caricata (consapevolmente o meno), nell’ottica sopra adombrata dei contrasti di interesse e metodologici”, tra il precedente ed il nuovo personale educativo.

Al riguardo, invero, deve ribadirsi il principio, costantemente affermato da questa Suprema Corte, secondo cui, esclusa la necessità che la testimonianza debba essere corroborata dai cosiddetti “elementi di riscontro” richiesti invece per le dichiarazioni accusatorie provenienti dai soggetti indicati nel comma terzo dell’art. 192 c.p.p., il giudice deve limitarsi a verificare l’intrinseca attendibilità della testimonianza stessa, partendo però dal presupposto che, fino a prova contraria, il teste riferisce fatti obiettivamente veri, o da lui ragionevolmente ritenuti tali.

Sotto altro, ma connesso profilo, l’espressione “fino a prova contraria” non significa che la deposizione testimoniale non possa essere disattesa se non quando risulti positivamente dimostrato il mendacio, ovvero il vizio di percezione o di ricordo del teste, ma solo che devono esistere elementi positivi atti a rendere obiettivamente plausibile l’una o l’altra di dette ipotesi (Sez. 1, n. 7568 del 02/06/1993, dep. 03/08/1993, Rv. 194774).

Ne discende, inoltre, che le dichiarazioni di un testimone (anche se si tratti della persona offesa), per essere positivamente utilizzate dal giudice, devono risultare credibili, oltrechè avere ad oggetto fatti di diretta cognizione e specificamente indicati, con il logico corollario che, contrariamente ad altre fonti di conoscenza, come le dichiarazioni rese da coimputati o da imputati in reati connessi, esse non abbisognano di riscontri esterni, il ricorso eventuale ai quali è funzionale soltanto al vaglio di credibilità del testimone (Sez. 3, n. 11829 del 26/08/1999, dep. 15/10/1999, Rv. 215247).

Nella pronuncia di primo grado, in particolare, dopo avere dettagliatamente riportato il contenuto delle prove orali valutate ai fini del giudizio di penale responsabilità, il Giudice ha posto l’accento sui risultati della consulenza tecnica del P.M., che aveva motivatamente rilevato nei minori oggetto di osservazione la presenza di “segni importanti di un quadro post-traumatico da stress associato presumibilmente all’asilo nido (OMISSIS)”, escludendo in sede dibattimentale la rilevanza di ipotesi alternative legate a forme di “condizionamento genitoriale”.

Specifici passaggi motivazionali, dalla Corte d’appello non adeguatamente considerati, sono stati dedicati, inoltre, alle dichiarazioni testimoniali rese dai genitori dei minori, dal primo Giudice ritenuti “particolarmente credibili, senza alcuna prevenzione nei confronti delle imputate”, nonchè alla dimostrazione della piena attendibilità della deposizione del teste c., motivatamente ritenuta “….la più chiara, coerente, precisa, disinteressata e, soprattutto, avulsa dagli schieramenti che – innegabilmente – si erano formati tra le lavoratrici della Cooperativa;…”.

Sui punti or ora evidenziati, ed in relazione ai numerosi aspetti e profili ad essi fattualmente correlati e, come tali, investiti dal motivato convincimento espresso nella pronunzia del Giudice di primo grado, nonchè riguardo ai diversi temi di prova oggetto di insufficiente vaglio delibativo per effetto delle incongruenze motivazionali partitamente evidenziate in narrativa (v., supra, in particolare, i parr. 4.1 – 4.7.), la Corte territoriale ha omesso di confutare appieno la consistenza e la linearità del ragionamento probatorio sviluppato dal primo Giudice, trascurando la necessaria valutazione critica di tutti gli elementi su cui è stata fondata la precedente decisione di condanna.

10. Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente l’impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, che nella piena libertà delle valutazioni di merito di sua competenza dovrà porre rimedio alle rilevate carenze motivazionali, uniformandosi al quadro dei principii di diritto sopra indicati.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al reato ascritto alle imputate, perchè estinto per prescrizione. Annulla la medesima sentenza in relazione alla responsabilità civile e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2014

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