Suprema Corte di Cassazione
Sezione VI
Sentenza 9 giugno 2014, n. 12928
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere
Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere
Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15703/2013 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI MESSINA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 821/13 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 23/04/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/04/2014 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCO DE STEFANO;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore dei ricorrenti, che si riporta agli scritti;
udito l’Avvocato (OMISSIS) (delega (OMISSIS)), difensore del controricorrente, che si riporta agli scritti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS) ricorrono, affidandosi a quattro motivi, per la cassazione tanto dell’ordinanza – loro comunicata il 23.4.13 – con cui la corte di appello di Messina, ai sensi dell’articolo 348 bis c.p.c., ha dichiarato inammissibile il loro appello avverso la sentenza 30.12.11 del tribunale di Messina, quanto di quest’ultima, con la quale e’ stata rigettata la domanda proposta di (OMISSIS) e della (OMISSIS), in proprio e quali genitori esercenti la potesta’ genitoriale su (OMISSIS) (all’epoca minorenne), volta a conseguire la condanna del Comune di Messina al risarcimento dei danni per il sinistro stradale causato a quest’ultimo da una caduta dal motoveicolo sulla sede stradale in un punto in cui dal piano di essa sporgeva un tombino, non segnalato, della rete fognaria. L’intimato Comune di Messina notifica e deposita controricorso; ed i ricorrenti depositano altresi’ memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c., in relazione all’udienza pubblica del 15.4.14.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. – I ricorrenti si dolgono:
a) con un primo motivo, proposto avverso l’ordinanza della corte di appello, di “violazione e falsa applicazione dell’articolo 101 c.p.c., e articolo 348 ter c.p.c., comma 1, con riferimento all’articolo 111 Cost., comma 7, nonche’ all’articolo 360 c.p.c., u.c.”: lamentando, al riguardo ed una volta esposta la tesi dell’autonoma impugnabilita’ dell’ordinanza in parola per vizi processuali suoi propri, la mancata previa instaurazione del contraddittorio circa la possibilita’ di definire il giudizio di appello in applicazione della novella del 2012;
b) con un secondo motivo, proposto contro la sentenza di primo grado, di “violazione ed erronea applicazione dell’articolo 2043 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”: lamentando l’erroneita’ dell’esclusione di un’anomalia della strada, malamente individuandola non nell’esistenza di per se’ sola sulla sede stradale del tombino, anziche’ nell’insidia che lo caratterizzava;
c) con un terzo motivo, proposto sempre contro la sentenza di primo grado, di “violazione ed erronea applicazione dell’articolo 2697 c.c., dell’articolo 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”: lamentando l’erroneita’ della valutazione di non assolvimento dell’onere della prova sulla percepibilita’ dell’insidia ed analizzando al riguardo le risultanze dell’istruttoria di primo grado;
d) con un quarto motivo, proposto sempre contro la sentenza di primo grado, di “violazione ed erronea applicazione degli articoli 1227 e 2697 c.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 3, comma 1”: lamentando la scorrettezza dell’esclusione del nesso di causalita’ e, prima ancora, dell’applicazione – per di piu’ ufficiosa – dell’articolo 1227 c.c., comma 1, anche in tal caso censurando l’iter motivazionale del giudice di primo grado alla stregua della loro lettura delle risultanze istruttorie.
3. – Dal canto suo, il controricorrente Comune di Messina contesta l’ammissibilita’ di un’autonoma impugnazione avverso l’ordinanza ex articolo 348 ter c.p.c., per poi confutare gli altri motivi in rito e nel merito.
4. – Va esaminato dapprima il motivo dispiegato avverso l’ordinanza ex articolo 348 ter c.p.c.; ma esso e’ inammissibile.
E’ noto, al riguardo, che, con i nuovi articoli 348 bis e 348 ter c.p.c., (di cui al Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera a), conv. con mod. in Legge 7 agosto 2012, n. 134, in S.O. n. 171 alla G.U. 11.8.12), il giudice dell’appello, che riconosca non avere l’impugnazione una ragionevole probabilita’ di essere accolta, la dichiara inammissibile con ordinanza. La pronuncia di tale ordinanza comporta che, entro l’ordinario termine di sessanta giorni dalla comunicazione o – se anteriore – dalla notificazione di essa (o, comunque, entro il termine previsto dall’articolo 327 c.p.c., e quindi entro un anno – maggiorato della sospensione feriale, se applicabile – dal suo deposito, se trattasi di giudizio intrapreso in primo grado prima del 4.7.09, o, per quelli intrapresi dopo, entro sei mesi dal deposito, maggiorati della sospensione feriale se applicabile), sia proponibile ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado; ove poi la pronuncia di inammissibilita’ sia fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione puo’ essere proposto soltanto per i motivi di cui all’articolo 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4).
5. – E tuttavia l’ordinanza di inammissibilita’ in parola non e’ mai autonomamente impugnabile.
Invero, affinche’ sia coerente con le finalita’ della novella, la valutazione, per quanto necessariamente completa se non altro con riferimento alle questioni piu’ liquide, deve essere davvero sommaria e risolversi in una schematica conferma della validita’ delle ricostruzioni in fatto e delle decisioni in diritto operati dal primo giudice. In ogni caso, essa non e’ mai definitiva, visto che e’ sempre possibile impugnare ulteriormente il provvedimento di primo grado, sia pure coi termini e nelle forme previste dal nuovo articolo 348 ter c.p.c.: non essendo garantito dalla Carta fondamentale il doppio grado di giurisdizione nel merito e potendo allora il legislatore modularne l’estrinsecazione in ragione anche dei principi di economia processuale e di contenimento dei tempi dei processi entro termini ragionevoli.
Proprio tale spiccata sommarieta’ – e comunque la vista carenza di definitivita’ – della valutazione di non accoglibilita’ dell’appello impedisce che se ne possa operare, nel successivo grado di legittimita’, alcuna riconsiderazione:
– se riferita all’intensita’ od entita’ della probabilita’ di non accoglimento, perche’ allora una tale rivalutazione implicherebbe ictu oculi un mero apprezzamento di fatto, sostituendo una valutazione di probabilita’ ad altra;
– se riferita alla completezza dell’esposizione delle ragioni su cui la non ragionevole accoglibilita’ e’ stata predicata, perche’ una motivazione concisa e’ per definizione non del tutto esauriente;
– se riferita al merito della fondatezza dell’appello, perche’ si risolverebbe nella necessita’ di riconsiderare i relativi motivi, ma appunto mediante la proposizione delle contestazioni del loro rigetto ad un giudice sovraordinato rispetto a quello che pur sempre li ha disattesi.
6. – Quanto agli altri tre motivi, unitariamente considerati ed incentrati sulla valutazione degli elementi di fatto in punto di inesistenza e qualificazione di una “insidia” od anomalia della strada, come operata dal giudice di primo grado (e confermata da quello di appello), essi sono inammissibili o infondati.
Infatti, il giudice di primo grado – solo la pronunzia del quale puo’ essere presa in considerazione, per quanto sviluppato al paragrafo precedente – identifica nella sola condotta di guida del danneggiato, in relazione alle condizioni di avvistabilita’ dell’anomalia della strada, la causa esclusiva del fatto dannoso (pag. 8 sentenza di primo grado, poi ripetuta a pie di pag. 9 e seg. del ricorso)
e cosi’ ritiene efficacemente eliso in radice il nesso di causalita’ e quindi la responsabilita’ della convenuta P.A. proprietaria della strada.
La pronuncia e’ conforme al principio di diritto per il quale e’ sempre necessario, quale presupposto di qualunque tipologia di responsabilita’, anche l’accertamento del nesso causale tra condotta o situazione dannosa e danno stesso: sicche’ l’oggetto della verifica della correttezza della decisione del giudice di merito diviene la sussistenza di tale nesso; il quale pero’ e’ in concreto escluso.
7. – Ora, tale ricostruzione si sottrae alle censure mossele.
7.1. Anche prima della riformulazione del n. 5 dell’articolo 360 cod. proc. civ. (di cui al Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), conv. con mod. in Legge 7 agosto 2012, n. 134: norma applicabile per essere la sentenza gravata stata pubblicata dopo il di’ 11.9.12, secondo quanto previsto dall’articolo 54, comma 3, della stessa legge), a mente della quale disposizione e’ motivo di ricorso per cassazione un “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”, costituiva consolidato insegnamento essere sempre vietato invocare in sede di legittimita’ un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perche’ non ha la corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, essendo invero la valutazione degli elementi probatori attivita’ istituzionalmente riservata al giudice di merito (tra le molte, v. Cass. 17 novembre 2005, n. 23286, oppure Cass. 18 maggio 2006, n. 11670, oppure Cass. 9 agosto 2007, n. 17477; Cass. 23 dicembre 2009, n. 27162; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. sez. un., 21 dicembre 2009, n. 26825; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197).
7.2. Pertanto, neppure sotto il profilo della violazione dell’articolo 2697 c.c., (del resto, in astratto configurabile solo se invocata un’erronea specifica individuazione del soggetto onerato della prova di un altrettanto specifico fatto: cio’ che non accade nella fattispecie, se non altro in termini chiari) puo’ essere invocata una lettura delle risultanze probatorie difforme da quella operata dalla corte territoriale, essendo la valutazione di quelle – al pari della scelta di quelle, tra esse, ritenute piu’ idonee a sorreggere la motivazione – un tipico apprezzamento di fatto, riservato in via esclusiva al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza peraltro essere tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (Cass. 20 aprile 2012, n. 6260).
7.3. Nel sistema l’intervento di modifica dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimita’, del controllo sulla motivazione di fatto.
Invero, si e’ affermato (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) essersi avuta, con la riforma dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimita’, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede e’ solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in se’, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.
7.4. Per di piu’, dopo la ricordata riforma e’ impossibile ogni rivalutazione delle questioni di fatto in ipotesi di c.d. doppia conforme sul punto, come stabilisce l’articolo 348 ter c.p.c., comma 4: a mente del quale, “quando l’inammissibilita’ e’ fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione di cui al comma precedente puo’ essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’articolo 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4)”.
7.5. Ne consegue che la ricostruzione del fatto operata dai giudici del merito – fermi gli ulteriori e preliminari limiti gia’ esposti e ricordati sopra ai punti 7.1 e 7.2 – e’ ormai sindacabile in sede di legittimita’ soltanto ove la motivazione al riguardo sia viziata da vizi giuridici, oppure se manchi del tutto, oppure se sia articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi, oppure obiettivamente incomprensibili.
7.6. Ma e’ evidente che, nella specie, la valutazione di esclusione del nesso causale non e’ affetta da alcuna di queste ultime anomalie: avendo il primo giudice espresso in modo chiaro e comprensibile i motivi a sostegno della sua ricostruzione in punto di esclusione dello stesso nesso causale.
Anche i potenziali profili di erronea lettura (nel travisamento di una deposizione in ordine alla stato di illuminazione o meno del tratto di strada) si risolvono nella complessiva valutazione (che assorbe anche le deposizioni degli altri testi) di possibilita’ di idoneo avvistamento, da parte della vittima del sinistro, dello stato dei luoghi: ma in tal modo si perviene comunque ad un giudizio sul complesso dei fatti, non affetto da quegli specifici vizi soli deducibili in questa sede di legittimita’, anche – se non soprattutto – alla stregua della riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
8. – In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile. Tuttavia, l’assoluta novita’ delle questioni processuali in base alle
quali e’ stato sostanzialmente definito il ricorso, non constando ad oggi altri arresti di questa corte, rende di giustizia – ad avviso del Collegio – la compensazione delle spese del giudizio di legittimita’.
9. – Nondimeno, nonostante la disposta compensazione (Cass. 14 marzo 2014, n. 5955), deve trovare applicazi
one il Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: ai sensi di tale disposizione, il giudice dell’impugnazione e’ vincolato, pronunziando il provvedimento che la definisce, a dare atto – senza ulteriori valutazioni discrezionali – della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilita’ o improcedibilita’ dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, a norma del medesimo articolo 13, comma 1 bis.
Non vi e’ altra scelta, pertanto ed anche nel presente caso, che dare atto della dichiarazione d’inammissibilita’ del ricorso, quale presupposto per il versamento, da parte dei ricorrenti principali ed ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, come modif. dalla Legge n. 228 del 2012, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso principale.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; compensa le spese del giudizio di legittimita’; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, come modif. dalla Legge n. 228 del 2012, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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