SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI PENALE

Sentenza 8 novembre 2011, n. 40520


Svolgimento del processo – Motivi della decisione

 

1. Il Tribunale di Caltanissetta in data 27.4-20.5.2011 ha confermato l’ordinanza custodiale carceraria emessa dal locale GIP il 29.3.2011 nei confronti di F.G. per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa Cosa nostra, in particolare alla famiglia di Montedoro, dal gennaio 96 sino alla data odierna. Il Riesame argomentava che, assolto il F. nel 1995 da analoga imputazione, gli elementi di prova acquisiti per il periodo successivo, e costituiti dalle dichiarazioni – giudicate attendibili – dei collaboratori M.L., D.G., FE., R., RI. e S., ne attestavano invece la partecipazione consapevole ed attuale, ancorchè con ruolo marginale rispetto a quello dei fratelli N. e P..

2. Il ricorso propone due motivi, di violazione di legge e vizi di motivazione in ordine agli artt. 273, 274 e 275 c.p.p., perchè il Tribunale non avrebbe indicato alcuna condotta o alcun fatto specifici attribuibili al F.G., diversi dai meri rapporti familiari, richiamando solo dichiarazioni dei collaboratori che attestavano in modo del tutto generico l’appartenenza al sodalizio criminoso.

3. Il ricorso è fondato, nei termini che seguono.

Dalla lettura dell’ordinanza impugnata risulta che il Riesame ha giudicato sussistere la gravità indiziaria dell’appartenenza del F.G. alla famiglia di Montedoro della consorteria mafiosa di Cosa Nostra, “con un ruolo sicuramente marginale rispetto al protagonismo assunto dai fratelli N. e P.” coindagati nel medesimo procedimento, sulla base delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. In particolare sono richiamati, oltre al “collaboratore V.” (p.4, ultima riga, con riferimento che parrebbe più esito di refuso da altri provvedimenti che indicazione pertinente al ricorrente), D.G. – che lo riconosceva in fotografia e lo indicava quale uomo d’onore della famiglia di Montedoro riferendo di averlo incontrato una volta e di sapere che faceva il pastore -, FE. – che lo riconosceva in fotografia, lo indicava come uomo d’onore operativo almeno fino al 2004 e conosciuto personalmente -, R. – che lo aveva personalmente riconosciuto e lo riconosceva in sede di individuazione, e lo sapeva appartenente alla famiglia di Montedoro, venendogli presentato anche per tale appartenenza da altri due in occasione di un transito occasionale per Montedoro -, RI. – che ne aveva sentito parlare come di appartenente a quella famiglia ancorchè negli ultimi tempi un po’ defilato.

In definitiva, vi sono più dichiarazioni di conoscenza, riferita da alcuni come personale e da altri come narrata da terzi, dell’appartenenza alla famiglia mafiosa di Montedoro, senza tuttavia alcuna indicazione di condotta specifica o di fatto, di comportamento o evento o dialogo o conversazione concreti e inseribili in un contesto di coinvolgimento nella gestione o adesione o partecipazione o conoscenza interessata ad una specifica attività o interesse riconducibile alla vita ed all’evoluzione del sodalizio mafioso di Cosa Nostra in genere o della famiglia di Montedoro in particolare.

Alcuna concretezza in grado di indirizzare, ad esempio, verso la consapevole ed efficace partecipazione associativa piuttosto che verso il concorso esterno in tale partecipazione ovvero verso il favoreggiamento o la mera connivenza con i familiari meno marginali.

La questione giuridica che si pone è pertanto se possa dirsi sussistere la gravità indiziaria del delitto di partecipazione mafiosa idonea ai sensi dell’art. 273 c.p.p. a giustificare una misura cautelare personale sulla base di una pluralità di affermazioni – pur provenienti da soggetti ritenuti attendibili – che si limitino alla obiettivamente generica attestazione di appartenenza al sodalizio. La risposta deve essere negativa, osservando questa Corte suprema come un tale tipo di contesto probatorio costituisca sicuramente un quadro indiziario serio, ma non assuma i caratteri di gravità indispensabili per l’adozione della misura, perchè proprio la pluralità di fattispecie giuridiche ipotizzabili rispetto alla contiguità al contesto mafioso (sopra richiamate) fa sì che non possa essere appaltata al collaboratore – pur attendibile – la valutazione giuridica dei fatti conosciuti o di cui ha diretta o indiretta informazione (Sez. 6, sent. 24469 del 5.5-12.6.2009; Sez. 1, sent. 1470 dell’11.12.2007 – 11.1.2008).

In altri termini, è solo il riferimento a condotte/comportamenti/fatti specifici (sia evidente, condotte/comportamenti/fatti che certo non necessariamente debbono avere autonoma rilevanza penale, ma tuttavia debbono significare appunto una forma, o un indizio logico, di consapevole intento di contribuire al perseguimento degli interessi del sodalizio) che permette di sciogliere – anche sul mero piano della gravità indiziaria – il quesito necessario sulla rilevanza penale del ruolo svolto e, quindi, sulla qualificazione giuridica adeguata di un tale accertato ruolo.

Si osservi ancora come proprio dal resoconto delle dichiarazioni contenute nell’ordinanza impugnata si evinca che non risulterebbe fatta domanda alcuna, ad alcuno dei dichiaranti, di precisare o spiegare le ragioni di tale affermata intraneità, ovvero di indicare esempi tratti dai riferiti contatti diretti o dalle conoscenze acquisite indirettamente: approfondimento quindi ancora ben possibile e sicuramente idoneo ad innalzare la qualità indiziaria allo stato attribuibile a quelle generiche affermazioni ovvero ad escluderne ogni valenza, e quindi necessario ai fini dell’emissione/mantenimento della misura cautelare. Ed approfondimento in concreto tanto più indispensabile in un contesto – quale quello relativo al F. G. – nel quale altri familiari risultino essi direttamente collegati alla partecipazione associativa, sicchè il tema probatorio della responsabilità individuale presenti connotati di ulteriore specificità.

In definitiva, va affermato il principio di diritto per il quale la convergenza di plurime attendibili dichiarazioni che si limitino ad affermare la conosciuta appartenenza ad un sodalizio criminoso configura meri indizi di colpevolezza non idonei all’adozione di misura cautelare personale ai sensi dell’art. 273 c.p.p.. La convergenza di plurime attendibili dichiarazioni che attestino la conosciuta appartenenza al sodalizio criminoso configura la gravità indiziaria imposta dall’art. 273 c.p.p. solo quando almeno una di tali attendibili dichiarazioni indichi specifici comportamenti/fatti che possano ritenersi, sul piano logico, significativi di un consapevole apporto al perseguimento degli interessi del sodalizio, e che debbono essere oggetto di specifica motivazione proprio in ordine a tale loro significatività.

Va ancora, infine, osservato che la diversa soluzione del diverso ricorso – pure trattato nell’odierna udienza relativamente alla posizione di F.P. trova spiegazione proprio nel diverso contenuto delle dichiarazioni di alcuni dei collaboratori a lui relative, costituendo applicazione conforme del principio di diritto appena precisato.

Consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al medesimo Tribunale per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Caltanissetta per nuovo esame.

Manda la Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

 

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