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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI PENALE

Sentenza  3 settembre 2012, n. 33593

Ritenuto in fatto

1. Ricorre per cassazione C.A.A. avverso l’ordinanza emessa ex art 309 cpp dal Tribunale del riesame di Brescia in data 5-4-12, con cui era stata sostituita la misura cautelare degli arresti domiciliari con quella dell’obbligo di dimora, per il reato di maltrattamenti pluriaggravati commessi ai danni di alcuni bambini dai sette ai dieci anni di età, con abuso dell’autorità derivante dal ruolo di maestra rivestito dalla C. nella locale scuola elementare, dal 12 settembre 2011 al 19 marzo 2011. Risulta dall’ordinanza impugnata che, a seguito della presentazione da parte dei genitori di tre alunni, di denuncia in ordine a punizioni corporali subite dai figli ad opera della maestra, il P.M. aveva emesso, il 1 marzo 2012, decreto con il quale si disponeva i effettuazione di videoriprese all’interno dell’aula dove la maestra C. teneva le sue lezioni, al fine di filmare la sua condotta. L’attività di monitoraggio veniva svolta nel periodo 3-19 marzo 2012, consentendo agli operanti di assistere in diretta a numerosi atti di violenza posti in essere dall’indagata ai danni dei bambini (schiaffi al volto e alla nuca, strattoni, poderose tirate d’orecchi e di capelli).

2. La ricorrente deduce, con unico motivo, nullità dell’ordinanza impugnata, per violazione degli artt 191, 266, 267, 268 cpp, poiché il Tribunale illegittimamente aveva rigettato l’istanza formulata dalla difesa e volta alla declaratoria di inutilizzabilità di tutte le videoriprese effettuate nell’aula della scuola elementare ove la C. svolgeva la propria attività lavorativa giacchè l’attività di ripresa difettava di idoneo provvedimento autorizzativo di natura giurisdizionale. La specificità del luogo in cui l’attività di monitoraggio era stata effettuata e la natura dei comportamenti che erano stati filmati, comunicativi di gesti ed atteggiamenti, imponeva che la raccolta d’immagini venisse previamente autorizzata dal giudice competente. Il P.M. può infatti disporre soltanto videoriprese in luoghi pubblici o aperti al pubblico, giacchè la natura del luogo n cui si svolge la condotta registrata comporta un’implicita rinuncia alla riservatezza. Al contrario, l’attività di monitoraggio effettuata in luoghi in cui il soggetto sottoposto a verifica svolga attività destinate a rimanere riservate – luoghi garantiti dalla previsione di cui all’art 14 Cost. – necessita della preventiva autorizzazione prescritta in materia di intercettazioni ambientali, soprattutto laddove la ripresa abbia ad oggetto “comportamenti comunicativi” tra presenti. Al riguardo, erroneamente l’ordinanza censurata ha ritenuto di qualificare l’aula scolastica come “luogo aperto al pubblico” poiché la maestra esercita, all’interno dl tale struttura, uno ius excludendi, sia pur limitatamente al periodo di tempo in cui si svolgono le proprie lezioni, nei confronti di qualunque estraneo, e gode quindi di una propria riservatezza ed autonomia. Sarebbe stata dunque necessaria l’autorizzazione del Gip, in mancanza della quale le videoriprese raccolte sono inutilizzabili. Si chiede quindi annullamento dell’ordinanza impugnata con declaratoria di inutilizzabilità delle videoriprese in disamina

Considerato in diritto

3. Le censure formulate dalla ricorrente sono infondate. Al riguardo, le Sezioni unite (Sez unite 28.3.2006, n. 26795, Prisco) hanno stabilito che le riprese visive sono prove documentali, ex art. 234 cpp, quando siano formate fuori dal procedimento, mentre, allorchè vengano formate mediante l’opera della polizia giudiziaria, come nel caso in disamina, costituiscono prove atipiche. Le videoregistrazioni effettuate in ambito domiciliare, ai fini del procedimento penale, sono prove atipiche acquisite illecitamente e sono perciò inutilizzabili. La tutela costituzionale del domicilio va tuttavia limitata ai luoghi con i quali la persona abbia un rapporto stabile, sicché, quando si tratti di tutelare solo la riservatezza, la prova atipica può essere ammessa con provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria. Non sono pertanto ammissibili riprese visive effettuate, ai fini del processo, in ambito domiciliare mentre vanno autorizzate dall’autorità giudiziaria procedente (p.m. o giudice) le riprese visive che, pur non comportando un’intrusione domiciliare, violino la riservatezza personale (come, ad esempio, le riprese effettuate dalla polizia giudiziaria in un bagno pubblico).

3.1. Nel caso in disamina, deve escludersi che un’aula scolastica possa essere considerata un domicilio, ai fini che in interessano nella presente sede. Trattandosi infatti di un luogo dove può entrare un numero indeterminato di persone (alunni, professori, preposti alla sorveglianza e ella direzione dell’istituto, familiari degli alunni), essa va qualificata, come questa Corte ha avuto modo di stabilire (Cass. Sez, III, 8-5-1969 n. 994, C.E.D. Cass, n. 112623, in tema di atti osceni in luogo pubblico) come luogo aperto al pubblico.

A, quest’ultima qualificazione non è d’ostacolo la ravvisabilità, in capo all’insegnante, di uno ius excludendi che certamente gli compete ma che è preordinato non alla tutela della sua riservatezza o comunque di prerogative personali del docente, ma all’ordinato svolgimento dell’attività didattica, che certamente potrebbe venire turbato dall’indebita intromissione di estranei, e dunque esclusivamente alla migliore esplicazione della funzione.

Correttamente, pertanto, nel caso in disamina, il p.m. ha emesso un provvedimento motivato, con il quale ha dato atto delle ragioni per le quali era necessario procedere all’attività di videoregistrazione, sulla base degli elementi allo stato desumibili dalle attività d’indagine fino a quel momento svolte (dichiarazioni dei genitori di alcuni alunni; registrazione di un file audio per mezzo di telefono cellulare da parte di una della mamme dei minori), in merito al reato di maltrattamenti, senza alcuna necessità di richiedere l’autorizzazione al gip.
4. Il ricorso va dunque rigettato, siccome infondato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte

Visti gli artt. 615 co 2 e 616 cpp

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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