Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 3 novembre 2015, n. 22396
Svolgimento del processo
La Corte di Appello di Perugia con decreto n. 1966 del 2013, su istanza di Studio di Medicina Nucleare corrente in Roma, L.S., F.P., R.A., , condannava il Ministero della Giustizia al pagamento della somma complessiva di €. 1.000 per ciascuna parte, per violazione del termine ragionevole per la durata di un giudizio civile svoltosi davanti al Tribunale di Roma. Tale decreto condannava inoltre parte resistente al pagamento delle spese processuali che liquidava in complessive €. 200,00 da distrarsi a favore dei difensori antistatari. Con ricorso alla Corte di Appello di Perugia gli istanti chiedevano la correzione dell’errore materiale contenuto nel decreto nella parte in cui nel dispositivo non era indicato il nome della Sig.ra R.A. tra i ricorrenti destinatari del pagamento da parte del Ministero della Giustizia e dell’erronea indicazione delle spese processuali liquidate in complessive €. 200,00 per compensi professionali oltre Iva e Cap da distrarsi a favore dei difensori antistatali anziché complessivi €. 200,00 per ciascuna parte per compensi professionali oltre Iva e contributo ex art. 11 della legge n. 576/1980.
Si costituiva l’Avvocatura distrettuale dello Stato.
La Corte di appello di Perugia, con ordinanza n. 123 del 2014 rigettava il ricorso e condannava i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Secondo la Corte di Perugia dal provvedimento impugnato non si evinceva alcun errore: a) perché il nominativo di Adriani era espressamente contemplato sia in motivazione che nel dispositivo, e b) sia perché le spese legali erano state correttamente liquidate, dato che unica era la prestazione e che l’aumento del compenso per la pluralità delle parti era facoltativo.
La cassazione di questa ordinanza è stata chiesta da Studio di Medicina Nucleare corrente in Roma, L.S., F.P., R.A., con ricorso affidato ad un motivo. Il Ministero della Giustizia, in questa fase non ha svolto attività giudiziale
Motivi della decisione
1.= In via preliminare il Collegio ritiene opportuno precisare che secondo il consolidato orientamento di questa Corte, dal quale non vi è ragione di discostarsi, il procedimento di correzione di errori materiali disciplinato dagli arti. 287 s.s. c.p.c. non ha natura giurisdizionale, bensì amministrativa. Il procedimento da luogo ad un mero incidente del giudizio in cui il provvedimento da correggere è stato pronunciato, che non realizza una statuizione sostitutiva di quella corretta, in quanto è diretta esclusivamente ad emendare un difetto di formulazione esteriore dell’atto scritto rispetto al suo contenuto, nel caso in cui questo sia palese sulla base della sua sola lettura. L’ordinanza di correzione – è questa la forma del provvedimento nel caso dell’art. 288 c.p.c., comma 2 – non ha dunque natura decisoria, appunto perché non incide sul contenuto concettuale del provvedimento oggetto della correzione, e non è soggetta ad impugnazioni di sorta, neppure al ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost.. Tuttavia, deve ritenersi ammissibile, ex art. 111 Cost., il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza conclusiva del procedimento di correzione di sentenza, in ordine alla statuizione relativa alle spese.
Al riguardo, va osservato che la condanna al pagamento delle spese del procedimento inerisce a posizioni giuridiche soggettive di debito e di credito discendenti da un rapporto obbligatorio costituito con l’ordinanza di correzione che, nonostante la sua natura, in parte qua ha i connotati della pronuncia giurisdizionale idonea ad assumere valore di giudicato, quindi ricorribile, limitatamente a questo capo, ai sensi dell’art. 111 Cost. (in tal senso, sia pure non riferite alla fattispecie in esame, cfr., tra le molte, Cass., Sez. Un., n. 20957 del 2004; Cass., n. 6365 del 2001; n. 3750 del 2001). In secondo luogo, per quanto sopra esposto, in considerazione della natura del provvedimento di correzione e della sua non impugnabilità, nonché della carenza dei presupposti per l’esperibilità del rimedio dell’art. 288 c.p.c., comma 4, l’ordinanza, nella statuizione concernente le spese, appunto perché ha carattere decisorio ed incide in via diretta sulle situazioni giuridiche delle parti, deve ritenersi ricorribile ex art. 111 Cost., tenuto conto della sua definitività, in difetto della previsione della proponibilità di un diverso rimedio.
2.= Con l’unico motivo di ricorso, lo Studio di Medicina Nucleare corrente in Roma, L.S., F.P., R.A., denunciamo la violazione e/ falsa applicazione di legge dell’art. 91 cpc. al procedimento disciplinato nell’art. 288 cpc., con riferimento all’art. 360 comma primo, n. 3 cpc.
Secondo i ricorrenti l’ordinanza nel condannare i ricorrenti al pagamento delle spese processuali avrebbe palesemente violato gli artt. 91, 287, 391 cpc. perché nel procedimento di correzione degli errori materiali di cui all’art. 287 cpc., non è ammessa alcuna pronuncia sulle spese, in quanto la natura ordinatoria e sostanzialmente amministrativa dello stesso provvedimento che accoglie o rigetta l’istanza di correzione non consente di identificare presenza dei presupposti di cui all’art. 91 cpc.
2.1. Il motivo è fondato.
Come è stato già affermato da questa Corte in altre occasione (in particolare Cass. ssuu. n. 9438 del 27/06/2002) nel procedimento di correzione degli errori materiali di cui all’art. 287 cod. proc. civ. non è ammessa alcuna pronuncia sulle spese processuali, in quanto, trattandosi di procedimento in camera di consiglio (art. 742 bis cod. proc. civ.) in materia di giurisdizione volontaria, mancano i presupposti richiesti dall’art. 91 cod. proc. civ. per una siffatta pronuncia, ossia un provvedimento conclusivo di un procedimento contenzioso suscettibile di determinare una posizione di soccombenza. Pertanto, ha errato la Corte di Appello di Perugia nell’aver condannato i ricorrenti al pagamento delle spese giudiziali con l’ordinanza con cui rigettava l’istanza di correzione di un preteso errore materiale del decreto precedentemente emesso dalla stessa Corte di Perugia. L’ordinanza nella parte in cui ha disposto la condanna dei ricorrenti va, dunque, cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito disponendosi la eliminazione dall’ordinanza impugnata la condanna dei ricorrenti alla spese processuali. Le spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso cassa l’ordinanza impugnata per quanto in motivazione e decidendo nel merito elimina la condanna alle spese giudiziali, condanna il Ministero dell’economia e delle Finanze al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in €. 500,00 oltre spese generali ed accessori come per legge.
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