Cassazione toga nera

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 3 giugno 2014, n. 23005

Considerato in fatto

1. La Corte d’appello di Campobasso con sentenza del 18.4-2.5.2013 ha confermato la colpevolezza di I.A.M. per abuso d’ufficio, con la condanna alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore della parte civile Codacons, da liquidarsi in separato giudizio, come deliberata dal locale Tribunale il 22.2.2012.
Secondo l’imputazione di cui all’originario capo a):
– con le delibere n. 853 del 4.8.2003 e n. 1691 del 13.12.2004 della Giunta regionale del Molise, presieduta dallo I. che (dopo averli promossi) aveva partecipato alla loro approvazione, erano stati affidati alla soc. Bain & Company Italy Inc., nella quale il figlio del presidente della Giunta regionale aveva prima frequentato un stage (dal 16.6 al 28.11.2003), poi era stato assunto con contratto a tempo determinato (dal 1.12.2003) per dieci mesi e poi (dal settembre 2004) con contratto a tempo indeterminato, due incarichi di consulenza (relativi: il primo al nuovo assetto sanitario regionale, il secondo alla realizzazione del progetto autostradale (omissis) );
– con tali delibere lo I. (che, appunto, oltre a non astenersi al momento delle due deliberazioni, le aveva promosse e proposte) aveva procurato intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale, diretto, in favore di tale società, e indiretto, al figlio (quale dipendente della stessa) ed a se stesso (nella qualità di padre del figlio favorito).
Dopo la descrizione di un altro capo di imputazione (relativo a imputazione di concussione in danno dei componenti della Giunta, oggetto di separazione e successiva definizione positiva per l’imputato, con sentenza di non luogo a procedere del GUP di Campobasso in data 17.10.2009), così veniva indicato il tempo di consumazione: “Entrambi i reati in Campobasso, dal 2003 (epoca della prima delibera e dell’assunzione nella “Bain” di D. I. ) al 2006 (epoca di conseguimento dell’utilità conseguita da D. I. con la nomina a Dirigente e del pagamento della seconda consulenza alla Bain, costituenti consumazione dei reati di cui ai capi a e b d’imputazione). Delibere del 4.8.2003 e del 13.12.2004”.
In riferimento alle due delibere di cui al capo a), l’imputazione contestava la continuazione dell’abuso (con l’indicazione dell’art. 81 c.p. e l’espressa affermazione della pluralità di atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso): va fin d’ora osservato che il Tribunale, trattando il punto della determinazione della pena, né nel dispositivo né nella motivazione della sentenza affrontava il tema della continuazione, in concreto poi quantificando direttamente solo la sanzione finale, dopo aver ritenuto equivalenti tra loro le riconosciute attenuanti generiche e la circostanza aggravante del capoverso dell’art. 323 c.p. (senza alcun aumento a titolo di continuazione e senza tuttavia escluderla espressamente: p. 29 e 30, 31 della sentenza di primo grado).
1.1 Dato conto dei motivi d’appello (p. 2 e 3 sent.), la Corte distrettuale:
– spiegava non sussistere alcuna diversità tra il fatto ritenuto in sentenza e quello contestato, con riferimento al dato del non essere stata seguita procedura di evidenza pubblica o, comunque, alcuna forma di gara nella scelta della Bain, trattandosi di dato che rilevava ad attestare l’elemento costitutivo dell’ingiusto vantaggio patrimoniale e del dolo diretto e non di una nuova e diversa condotta alternativa a quella (la mancata astensione) originariamente ascritta quale profilo di illegittimità (in un contesto nel quale l’individuazione della stessa era avvenuta senza alcuna mediazione di uffici regionali o soggetti terzi, ad opera direttamente del presidente I. ); in ogni caso, tale aspetto era stato in concreto ampiamente approfondito nel contradditorio del primo grado;
– quanto all’obbligo di astensione, affermava l’assorbente irrilevanza della dedotta presenza di concorrenti interessi pubblici, delle oggettive capacità professionali del figlio o della non conoscenza da parte dei vertici societari dell’essere costui loro dipendente (perché non era contestato un rapporto corruttivo): rilevava infatti solo che tale rapporto era ben noto all’imputato, costituiva un evidente interesse personale e aveva orientato la sua azione amministrativa (il che risultava corroborato dalle sequenze temporali tra delibere e progressione lavorativa del figlio, ritenute significative);
– argomentava l’irrilevanza dell’asserita carenza di risorse interne all’Amministrazione nella modalità di selezione dell’interlocutore esterno e la non particolare rilevanza dell’apporto fornito dalla società esterna (in particolare quanto al tema del riordino del settore sanitario, p. 14); evidenziava la sussistenza di un evidente interesse di tale società all’inserimento nel settore delle commesse pubbliche, al di là degli importi concretamente ricevuti nelle due occasioni (riferiti come di favore, rispetto al mercato);
– spiegava la giudicata infondatezza della tesi difensiva della non necessità di procedere ad alcun tipo di gara per le due consulenze de quibus;
– argomentava la sussistenza di evidente dolo diretto, valorizzando: la mancanza di procedura di gara e l’assenza di alcuna motivazione sulle pertinenti ragioni di urgenza e necessità e sulle ragioni della scelta di quel contraente, i contatti diretti del presidente con il contraente privato prima delle due delibere, la non conoscenza della pratica da parte dell’assessore competente, la non peculiare rilevanza del lavoro commissionato e in concreto svolto (sintomatica della soccombenza di alcun eventuale interesse pubblico rispetto all’interesse personale);
– affermava non sussistere la prescrizione, nemmeno parziale, del reato, perché in proposito doveva aversi riguardo alla data del pagamento del lavoro oggetto della seconda delibera (30.1.2006, data dello stanziamento delle somme corrispondenti a questa consulenza), in quanto l’intera vicenda doveva essere ricondotta nella fattispecie della “progressione criminosa in senso stretto” (p. 19 sent.) e vi erano cause di sospensione della prescrizione per complessivi 353 giorni. Doveva escludersi rilievo al formale richiamo contenuto nell’imputazione alla continuazione, in concreto essendo stata ascritta una sola complessiva condotta e lo stesso primo Giudice avendo adottato criteri di determinazione della pena univocamente significativi della ritenuta unicità della complessiva condotta.
2. Il ricorso, proposto nell’interesse dell’imputato dagli avvocati Messere e Dinacci, enuncia dieci motivi:
– violazione degli artt. 649 e 529 c.p.p., perché il reato di concussione oggetto di sentenza di proscioglimento (conseguente a “sdoppiamento” dell’originaria complessa imputazione) avrebbe riguardato la medesima condotta, in rapporto di continenza, senza che l’astratta revocabilità di tale sentenza potesse aver rilievo (p. 6 rie);
– violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p. sul punto della ritenuta omessa attivazione di procedura di evidenza pubblica: secondo il ricorrente si sarebbe trattato in realtà di ulteriore segmento di condotta mai contestato;
– violazione dell’art. 323 c.p. e vizi alternativi della motivazione sul punto del ritenuto sussistente interesse, che avrebbe imposto il dovere di astensione:
– mancando prova di ricadute causali e concrete sulla progressione in carriera del figlio e del suo coinvolgimento nell’espletamento dell’oggetto delle due consulenze;
– essendo contraddittorio l’avere;prima/escluso rapporti di favore tra imputato e Bain, riconosciuto la professionalità del figlio e la qualità del servizio fornito dalla società, riconosciuto la non conoscenza da parte dei dirigenti Bain del rapporto di parentela e, poi, affermato sussistere il conflitto di interessi; ancora, l’aver escluso la possibilità di convergenza tra gli evidenti interessi pubblici al contenuto dell’attività assegnata e quelli personali;
– medesimi vizi, anche con travisamento “del fatto e della prova”, sul punto della ritenuta sussistenza di un ingiusto vantaggio patrimoniale per la società, in relazione alla accertata competitività del costo promozionale ed all’assenza di competenze interne alla Regione; in particolare sarebbe stata palesemente illogica la valutazione in termini di ingiusto vantaggio patrimoniale dello scopo indiretto ad essere presenti nel mercato delle commesse pubbliche, previa offerta di prezzi concorrenziali; in concreto, in tale contesto proprio la Regione sarebbe stata l’unico soggetto avvantaggiato, avendo ottenuto le due prestazioni a costi contenuti rispetto quelli di mercato, prestazioni la cui utilità sarebbe stata svalutata solo attraverso l’erronea ricostruzione del contenuto delle dichiarazioni dei testi a difesa (p. 24-30);
– vizi della motivazione (quinto motivo) e violazione di legge (sesto motivo) sul punto della ritenuta necessità di una gara per l’affidamento delle due consulenze, con la conseguenza del venir meno dell’ingiusto vantaggio ascritto, in relazione alla correttezza della procedura seguita. Secondo il ricorrente: la disciplina normativa, nella evoluzione stessa dei suoi contenuti sul punto, escluderebbe la possibilità di configurare un generale obbligo di gara (intesa come procedura comparativa) per qualsiasi contratto della P.A., essendo consolidata una legittima prassi di affidamento di incarichi professionali “a chiamata” (il ricorrente riporta parte della deposizione del teste dirigente amministrativo D.R. ); le consulenze sarebbero escluse dalle procedure d’appalto e di evidenza pubblica (p. 35 rie); le due consulenze in questione avrebbero presentato un indubbio carattere di atipicità che ne avrebbe reso incerta la qualificazione giuridica, la giurisprudenza civile e amministrativa avendo escluso l’applicazione anche del nuovo codice dei contratti agli incarichi per la redazione di studi di fattibilità ed a talune consulenze occasionali. Anche nel caso di riconduzione della vicenda alla figura dell’appalto di servizi, sarebbe stata possibile la trattativa privata, consentita dalla normativa regionale a Presidente e Giunta; nella specie le due delibere comunque avrebbero motivato sull’idoneità della società Bain (nota 1 p. 40 rie), in assenza di adeguate professionalità interne, indicando il parere tecnico di conformità, assorbente in relazione al riparto di responsabilità tra organo politico e organo di gestione;
– violazione di legge e vizi della motivazione per la ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico, alla luce delle considerazioni svolte in precedenza, in relazione all’insussistenza degli elementi valorizzati dai Giudici del merito, alla mancanza di prove di “abboccamenti” preliminari da parte del presidente, al necessario coinvolgimento preparatorio degli uffici tecnici, comunque all’obiettiva incertezza della disciplina ed alle conseguenti implicazioni che escludono il dolo;
– medesimi vizi in relazione all’insussistenza del nesso causale sul punto che diversa procedura avrebbe impedito o evitato l’assegnazione delle consulenze alla Bain;
– violazione di legge in relazione all’omessa dichiarazione di prescrizione, dovendosi ritenere consumati due autonomi reati e la consumazione del secondo essendosi verificata alla data della delibera di attribuzione dell’incarico;
– mancanza di motivazione e violazione di legge sul punto del trattamento sanzionatorio, in ordine alla ritenuta circostanza aggravante ex art. 323.2 c.p., alla non prevalenza delle attenuanti generiche (qui trattandosi di vantaggio e non di danno ingiusto), alla mancata motivazione sulla quantificazione di pena base distante dal minimo edittale.
2.1 Il 24 gennaio sono stati depositati motivi nuovi afferenti due punti:
– l’omessa motivazione sulla sussistenza della prova dell’esistenza di nesso causale tra la condotta di omessa gara e l’evento costituito dagli ingiusti vantaggi procurati dall’imputato alla Bain, al figlio ed a se stesso in relazione all’impiego del figlio;
– l’errata individuazione del termine iniziale di decorrenza della prescrizione, con l’avvenuta prescrizione di entrambi i reati, il secondo, pur tenuto conto delle sospensioni, al 1.6.2013.
2.2 La parte civile il 6.2.2014 ha fatto pervenire memoria a sostegno della conferma della sentenza impugnata.

Ragioni della decisione

3. I motivi in punto responsabilità sono infondati.
Il reato è tuttavia prescritto, sicché la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, quanto alla sopravvenuta improcedibilità dell’azione penale, mentre ne vanno confermate le statuizioni civili.
4. Il primo motivo è manifestamente infondato. La condotta concussiva in danno degli altri componenti della Giunta è fatto/condotta diverso ed autonomo rispetto alla condotta di abuso d’ufficio in relazione al conferimento dell’incarico, fatto/condotta consumato dal presidente della Giunta attinente al rapporto tra la sua persona, la sua funzione, l’Amministrazione e determinati soggetti privati.
5. Quanto ai motivi da due ad otto, occorre muovere dalla ricostruzione in fatto operata dal Tribunale su un punto determinante, che non risulta espressamente affrontato (e quindi contrastato) negli originari sei motivi d’appello e costituisce, invece, il presupposto essenziale dell’apprezzamento conforme di entrambi i Giudici del merito, che come tale è stato giudicato, con specifica motivazione non palesemente incongrua al dato probatorio evidenziato ed immune dai residui vizi di manifesta illogicità e contraddittorietà, assorbente.
Il primo Giudice ha infatti, con articolata motivazione, giudicato che la ragione storica del contatto tra la Regione Molise e la multinazionale con sede in (…) doveva ricondursi esclusivamente al fatto che il figlio del presidente della Regione avesse un contatto lavorativo con tale società.
Non esiste, ha affermato e specificamente argomentato il Tribunale, una sola alternativa ragione di fatto, emergente dall’istruttoria dibattimentale, al di fuori di quel contatto lavorativo, che spieghi come mai giunga “spontaneamente” in Regione Molise il promemoria con data 25.7.2003 della multinazionale con sede in (…) (presso la quale il figlio del presidente della Regione stava frequentando uno stage), in assenza di alcuna precedente specifica generale pubblicizzazione, anche informale, da parte della Regione e della Giunta, delle proprie “intenzioni” o esigenze, e di ogni altra attivazione, spontanea o sollecitata, di alcun diverso soggetto, privato o pubblico. Assenza di pubblicizzazione, espressa o informale, e di altre attivazioni, spontanee o sollecitate, che, nella loro evidenza, sono state ritenute assolutamente significative, tenuto anche conto del concreto contenuto del promemoria, che da seguito alle “intenzioni” della Giunta sul “profondo ripensamento del proprio assetto sanitario regionale” e viene allegato alla prima delibera del 4 agosto 2003, delibera che viene portata in Giunta dal presidente, all’epoca anche con la delega alla sanità (p. 3, 4, 13 e 14). Il coinvolgimento personale ed esclusivo del presidente I. nel rapporto con la Bain emergeva altresì, argomentava il Tribunale, dalla documentazione relativa ad incontro del 3 luglio 2013 (p. 27).
E proprio il presidente I. si era fatto originario promotore e proponente delle due successive delibere.
A fronte di una tale specifica ed emblematica valutazione in fatto, sorretta da motivazione non apparente, non palesemente incongrua agli elementi probatori richiamati dal Tribunale per spiegarla, immune da vizi di manifesta illogicità e contraddittorietà, l’atto di appello, come anticipato, svolge articolate deduzioni tutte indirizzate (solo) a sostenere la legittimità, la utilità e la convenienza di questo primo incarico, ma non contrasta quel presupposto in fatto, da cui invece ha preso le mosse l’intero complessivo apprezzamento dei primi Giudici del merito.
I quali, coerentemente e certo senza alcuna manifesta illogicità, hanno quindi precisato come fossero indifferenti i temi dell’eventuale positiva capacità professionale del figlio, della (pur contrastata) utilità del lavoro svolto dalla Bain, della convenienza economica dell’offerta poi fatta oggetto della delibera di incarico, così come quello di ogni astratta prospettiva di un eventuale rapporto corruttivo (neppure accennata nel percorso argomentativo): perché ciò che, solo, rilevava era il fatto che, in ragione dell’avvio e del consolidamento di una possibile carriera lavorativa del figlio, il presidente della Regione si era attivato per far ottenere un primo, e poi un secondo, incarico pubblico al possibile datore di lavoro (cui competevano le scelte sulle prospettive prima di stabilizzazione dello stage del figlio, poi del seguito della carriera), così in concreto ingraziandoselo, al di fuori di alcuna pur atipica e informale modalità di pubblicizzazione della contingente esigenza pubblica sottesa all’incarico e dei criteri di selezione e scelta, il tutto senza alcuna diversa, speciale ed eccezionale ragione (p. 26).
5.1 Tale ricostruzione in fatto (come detto non tempestivamente contraddetta nel giudizio di merito e, pertanto, non più rivisitabile nel giudizio di legittimità e presupposto dei pertinenti rilievi in diritto) rendeva evidente l’obbligo di astensione dell’imputato in relazione ad entrambe le delibere, sussistendo una situazione di evidente conflitto di interessi, stante l’interesse personale quantomeno indiretto proprio e del figlio (Sez.6, sent 14457/2013).
È giurisprudenza pacifica che anche nell’ipotesi dell’omessa astensione prevista dall’art. 323 c.p. è necessario per la sussistenza del reato che si realizzi l’evento dell’abuso, cioè il danno ingiusto ovvero l’ingiusto vantaggio patrimoniale (Sez. 6, sent. 47978/2009 e 26324/2007 per tutte).
Nel caso di specie entrambi i Giudici del merito hanno espressamente argomentato il punto, con duplice conforme apprezzamento, individuando il vantaggio patrimoniale ingiusto nell’affidamento dei due incarichi alla società multinazionale con sede italiana in XXXXXX, al di fuori, ed in mancanza, di alcuna forma, alcuna modalità, alcun contesto di selezione, diverso dall’individuazione in relazione al rapporto oggettivo con il figlio del presidente, promotore proponente e votante.
Il dato è all’evidenza assorbente in diritto, perché vanifica in radice le pur articolate difese svolte nel ricorso sul punto: vi è una palese e originaria violazione del generale principio di non favoritismo nell’azione della pubblica amministrazione, riconducibile all’art. 97 Cost.. Correttamente, in proposito, i Giudici del merito hanno valorizzato le modalità di conferimento dell’incarico (modalità sulle quali le sentenze d’appello e gli stessi atti di impugnazione attestano che vi è stato pieno efficace contraddittorio fin dall’istruttoria dibattimentale del primo grado) quale argomento per spiegare l’ingiustizia del vantaggio recato alla multinazionale – datrice di lavoro “in corso” del figlio del presidente della Giunta – e non già quale autonoma condotta, ulteriore e diversa rispetto alla mancata astensione, indispensabile per configurare la componente di illegittimità del reato di abuso d’ufficio.
Ed invero tutte le argomentazioni difensive volte ad attestare il vantaggio che l’incarico avrebbe recato alla pubblica amministrazione e, per converso, l’assenza di alcuna ingiustizia in quanto ottenuto dalla multinazionale, per avere svolto questa la propria attività in modo efficace e utile nonché a costo inferiore a quello di mercato, hanno ricevuto specifica e non manifestamente illogica o contraddittoria risposta e sono state travolte dal ricordato apprezzamento di merito, come detto in realtà non contraddetto.
In altri termini, secondo la ricostruzione dei Giudici del merito: il rapporto tra la Regione Molise e la multinazionale Bain & Company sorge e si sviluppa solo perché il figlio del presidente I. sta intraprendendo, all’inizio, e poi ha effettivamente intrapreso, quando interviene la seconda delibera, attività lavorativa con quella società. La “scelta” dell’incaricato avviene rispetto a due attività tra l’altro del tutto diverse tra loro e rispetto alle quali nel processo di merito non è stata comprovata, e non risulta con immediatezza comprovabile, alcuna peculiare, specifica e indiscussa attitudine contenutistica della specifica società: non solo, hanno evidenziato i due Giudici del merito, si trattava di settori assolutamente diversi (ristrutturazione sanitaria; progetto autostradale), ma lo stesso fatto che il progetto di ristrutturazione sanitaria predisposto dalla società fosse stato rinvenuto solo presso la sede di questa, e non presso gli uffici della Regione, costituiva per sé dato obiettivo significativo non già del fatto che l’incarico non fosse stato adempiuto (aspetto estraneo alla contestazione, al materiale probatorio del processo ed alla motivazione), bensì che si trattasse di contributo non caratterizzato da contenuti di indiscutibile e irrinunciabile assoluta e originaria determinante rilevanza (apprezzamento in sé non manifestamente illogico e quindi non superabile con il rilievo difensivo della sua utilizzazione per vincere resistenze interne ad operare la razionalizzazione sanitaria già in programma, rilievo che assume valenza di merito, sul piano logico inidonea ad attestare contrasto insuperabile tra le due affermazioni). L’attribuzione degli incarichi avviene in un contesto “personale” e “privato”, al di fuori di alcuna precedente valutazione anche discrezionale “pubblicistica” e che, come tale, finisce con l’escludere alcuna rilevanza delle questioni giuridiche relative all’eventuale legittimità di una procedura non espressamente comparativa per l’affidamento di incarico nel pubblico interesse: perché tale procedura, pur quando consentita, presuppone comunque e sempre, per l’immediata e permanente efficacia del ricordato generale principio di non favoritismo nell’azione della pubblica amministrazione, riconducibile all’art. 97 Cost., una valutazione nella quale la scelta del contraente è comunque determinata da una ragione di obiettivo interesse pubblico, pur soggettivamente e discrezionalmente apprezzata.
I Giudici del merito hanno pure spiegato che tale contesto “privatistico” non risulta contrastato dal fatto che gli incarichi siano stati attribuiti con delibere collegiali di Giunta, che, come pure espressamente ricordato dai Giudici del merito (es. p. 6 sent. primo grado), venivano sostanzialmente adottate senza particolare confronto quando erano presentate direttamente dal proponente : il che, come pure osservato dai Giudici del merito, esaltava la rilevanza nella fattispecie della mancata astensione dell’anzi proponente presidente della Giunta.
Le considerazioni che precedono attestano un complessivo e articolato apprezzamento in fatto, conforme ad entrambi i Giudici del merito dopo specifico confronto con le tesi difensive, non palesemente incongruo agli elementi probatori richiamati ed esposti, sorretto da motivazione non apparente, non manifestamente illogica e non contraddittoria, conforme agli insegnamenti di questa Corte in materia di abuso d’ufficio per mancata astensione.
Esse assorbono le deduzioni del terzo motivo (per le prime due, come ricordato, i Giudici del merito avendo evidenziato che il fatto viene ricostruito non come corruttivo bensì come iniziativa autonoma del presidente della Giunta per agevolare l’inserimento del figlio nell’attività lavorativa intrapresa, il che rileva anche per il primo motivo aggiunto), nonché quelle del quinto, del sesto e del settimo motivo.
Anche le deduzioni del quarto e dell’ottavo motivo sono infondate. L’affermazione dei Giudici d’appello dell’irrilevanza del prezzo concorrenziale in concreto richiesto e offerto dalla società incaricata, dovendo essere in proposito anche valorizzata l’aspettativa della società (che ha uno specifico autonomo e concorrente positivo contenuto “economico”) di “entrare”, con quell’offerta, nell’ambito dei soggetti destinatari di incarichi pubblici anche fiduciari, si sottrae alle censure del ricorrente, che rasentano l’inammissibilità laddove finiscono col risolversi in contestazioni dell’apprezzamento in fatto. È invero non apparente, non manifestamente illogica né contraddittoria la motivazione dei Giudici del merito quando hanno osservato che il vantaggio “ingiusto” recato alla società (per sé, come ricordato più volte, estranea alla vicenda non essendo stato prospettato alcun profilo corruttivo) si è realizzato nell’essere stata posta nelle condizioni di svolgere, sulla base di una relazione “privatistica”, due incarichi pubblici, retribuiti, con l’ottenimento del rilevante ed ulteriore risultato della non occasionante del contatto (già in concreto dimostrato dal secondo incarico, del tutto diverso e in nessun modo collegato al primo, quanto a contenuti), sì da incrementare le possibilità di fatturato: risultato in sé valutabile economicamente, a prescindere dall’entità dello specifico contingente corrispettivo. Ciò, senza alcun confronto con altri soggetti che pure avrebbero potuto, se interpellati o anche solo discrezionalmente valutati in relazione esclusivamente all’affidabilità di struttura, competenze e potenzialità, formulare proposte di analogo o migliore interesse, pure nella medesima prospettiva di acquisizione di nuovi mercati e prospettive di lavoro con il settore pubblico regionale. Nell’esclusione preventiva e radicale di alcuna valutazione concorrenziale, in assenza di alcuna indiscussa superiorità rispetto alle peculiari tipologie dei settori che venivano in rilievo (sanità, autostrada), risiede l’”ingiustizia” del vantaggio: risulta così fuorviante, e pertanto infondato, anche il rilievo contenuto nell’ottavo motivo, sul nesso causale. Perché proprio tale radicale esclusione preventiva di alcun contenuto di confronto obiettivo, pur se discrezionalmente orientato, configura in sé l’ingiustizia.
6. È invece fondato il motivo relativo alla prescrizione (nono e secondo nuovo): il che assorbe il decimo (afferente il trattamento sanzionatorio).
In tempi recenti questa Sezione (Sez.6, sent. 50334/2013) ha affermato l’insegnamento massimato in questi termini: “in tema di abuso di ufficio, qualora l’azione amministrativa illegittima si caratterizzi per l’attribuzione al privato della gestione di servizi nell’interesse dell’amministrazione conferente, il vantaggio patrimoniale che integra l’evento del reato non si sostanzia né nell’atto, meramente interno, di scelta del privato né nell’ulteriore ed opposto estremo dell’acquisizione del “tantundem” patrimoniale derivante dall’esecuzione del servizio, ma nella stipula dell’atto negoziale nel quale si incontrano le volontà dell’amministrazione, rappresentata all’esterno, e del soggetto beneficiario, in quanto in questo momento la sfera patrimoniale del privato si accresce ingiustamente delle posizioni soggettive connesse all’accordo con l’amministrazione; in assenza, invece, della stipula di un atto negoziale, la consumazione del reato coincide con il momento di materiale affidamento de, servizio”. Si tratta di interpretazione che va ribadita, la materiale acquisizione del compenso per l’espletamento di quell’attività costituendo fatto successivo alla consumazione della condotta di abuso e per sé non qualificante: è sufficiente osservare che già l’assegnazione dell’incarico (quale ne sia la forma giuridica) legittimerebbe comunque l’assegnatario a contrastare anche giudizialmente eventuali successive valutazioni negative dell’Amministrazione sul proprio operato, proprio con ciò confermandosi l’avvenuta realizzazione, e il compimento, di una situazione di vantaggio autonomamente apprezzabile perché immediatamente suscettibile di operare nel senso ricordato dalla richiamata sentenza, di “accrescimento delle posizioni soggettive connesse all’accordo con l’amministrazione”.
Nel nostro caso, pertanto, la prescrizione decorre dalla delibera 13.12.2004, che ha conferito il secondo incarico (il che, tra l’altro, priva di interesse la trattazione di ogni aspetto relativo alla configurabilità di un unico reato o di due reati), sicché, pure considerando l’ampio periodo di sospensione del corso della prescrizione di cui ha dato conto il Giudice d’appello, essa è ad oggi maturata.
7. Al rigetto dei motivi sulla responsabilità segue la conferma delle statuizioni civili dell’impugnata sentenza. In relazione a tale punto della decisione consegue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di difesa sostenute dalla parte civile che, avuto riguardo all’attività prestata, si liquidano, con statuizione onnicomprensiva, come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili. Condanna il ricorrente a rifondere alla parte civile Codacons Onlus le spese sostenute nel grado, che liquida in Euro 4000 onnicomprensive, oltre iva e cpa.

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