Cassazione 15

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI

SENTENZA 29 settembre 2015, n.19267

Ritenuto in fatto

Con la decisione ora impugnata la Corte d’Appello di Lecce ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da P. R., in proprio e quale erede di D.R., nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, avverso la sentenza del Tribunale di Lecce, con la quale era stata accolta l’opposizione proposta dal Ministero ed era stata dichiarata la nullità (per omessa notifica del titolo in forma esecutiva) del precetto notificato allo stesso Ministero da D.R. e P. R. in data 30 ottobre 2008 sulla base della sentenza della Corte dei Conti n. 593103.
2.- La Corte d’Appello di Lecce, con la sentenza qui impugnata, ha ritenuto che, non solo la parte opponente, ma anche il giudice di primo grado avesse qualificato l’opposizione come opposizione agli atti esecutivi, accogliendola per violazione dell’art. 479 cod. proc. civ., in quanto la notificazione del precetto non era stata preceduta dalla notificazione in forma esecutiva del titolo giudiziario sul quale si fondava. Poiché la sentenza di opposizione agli atti esecutivi è non impugnabile ai sensi dell’art. 618 cod. proc. civ., ha dichiarato inammissibile il gravame, condannando l’ appellante al pagamento delle spese del grado.
3. – Avverso la sentenza P. R. propone ricorso affidato a due motivi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Col primo motivo di ricorso si denuncia violazione delle norme processuali ed errata declaratoria di inammissibilità dell’appello.

La ricorrente argomenta in merito all’impugnazione, da parte sua, non tanto della sentenza del Tribunale, quanto del provvedimento che non ha disposto, come invece, a suo dire, avrebbe dovuto, l’interruzione del giudizio di primo grado, a seguito della dichiarazione di morte della parte opposta. La conseguenza sarebbe che l’impugnazione si sarebbe dovuta considerare ammissibile perché rivolta non (immediatamente) avverso la sentenza, bensì avverso l’ordinanza che aveva disposto la prosecuzione del giudizio.

1.1.- Aggiunge che, con l’atto introduttivo, il Ministero avrebbe proposto non solo un’opposizione agli atti esecutivi, ma anche un’opposizione all’esecuzione, contestando che fossero dovute all’opposta le somme indicate nell’atto di precetto; che, con la comparsa di costituzione in appello, il Ministero, non solo non avrebbe eccepito l’inammissibilità del gravame, ma avrebbe riproposto i motivi di opposizione all’esecuzione.

2.- II motivo è manifestamente infondato sotto entrambi i profili.

La ricorrente non contesta l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui il primo giudice avrebbe deciso su un motivo di opposizione da qualificarsi come opposizione agli atti esecutivi (quale d’altronde non è contestabile sia quella con cui si lamenta l’irregolarità formale del precetto per non essere stato preceduto dalla notificazione del titolo in forma esecutiva ai sensi dell’art. 479 cod. proc. civ. : cfr. Cass. n. 15275106, ord. n. 24662113). Piuttosto, la ricorrente sostiene che oggetto dell’impugnazione non sarebbe stata la sentenza che ha così deciso, bensì l’ordinanza del giudice di primo grado che non ebbe ad interrompere il processo a seguito della dichiarazione della morte di una parte costituita.

L’assunto è privo di fondamento. La violazione delle norme sull’interruzione del processo determina la nullità di tutti gli atti compiuti successivamente al verificarsi dell’evento interruttivo o alla dichiarazione o notificazione di esso; trattasi di nullità relativa eccepibile, ex art. 157 cod. proc. civ., soltanto dalla parte nel cui interesse sono poste le norme sull’interruzione e, cioè, dalla parte colpita dall’evento interruttivo (cfr., tra le tante, Cass. n. 24762107). Se viene pronunciata sentenza, essa risulta perciò affetta da nullità. Orbene, ai sensi dell’art. 161 cod. proc. civ., la nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione. Va quindi affermato che nell’ipotesi di morte della parte verificatasi e dichiarata regolarmente nel corso del giudizio di primo grado, gli atti successivamente compiuti, senza che sia stata dichiarata l’interruzione del giudizio, compresa la sentenza, devono considerarsi nulli. Tale nullità è soggetta al principio generale della conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione (art. 161 cod. proc. civ.) e deve, pertanto, essere dedotta dalla parte colpita dall’evento interruttivo, con il mezzo di impugnazione previsto per la sentenza (cfr. Cass. n. 4412101, n. 5896105) Consegue perciò al disposto dell’art. 161 cod. proc. civ. che oggetto dell’impugnazione debba essere la sentenza conclusiva del giudizio e che il regime impugnatorio sia quello dettato dal legislatore per la sentenza medesima. Nel caso di specie, il regime di non impugnabilità di cui all’art. 618 cod. proc. civ.

3.- Quanto, poi, all’assunto della ricorrente secondo cui, nel caso di specie, l’opposizione proposta avrebbe dovuto essere qualificata come opposizione all’esecuzione, perché vi sarebbero stati motivi a questa riconducibili, è sufficiente rilevare che è incontestato che il Tribunale abbia accolto e ritenuto assorbente il motivo di opposizione da qualificarsi come opposizione agli atti esecutivi.

Essendo stata perciò pronunciata la sentenza esclusivamente ai sensi dell’art. 617 cod. proc. civ., è corretta la conclusione della Corte di merito circa la non ammissibilità dell’appello, così come è corretta l’individuazione dell’unico rimedio, nel ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. – Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, qualora vengano proposte contestualmente, con il medesimo atto, un’opposizione all’esecuzione e un’opposizione agli atti esecutivi, l’impugnazione della conseguente sentenza deve seguire il diverso regime applicabile per i distinti tipi di opposizione e, pertanto, è soggetta alle forme e termini dell’appello con riguardo all’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ., mentre è solo ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111, comma settimo, Cost., con riferimento alla parte della pronuncia relativa all’opposizione agli atti esecutivi (cfr. Cass. n. 13203/10 e n. 18312114, tra le più recenti).

Per le stesse ragioni, va affermato che qualora vengano proposte contestualmente, con il medesimo atto, un’opposizione all’esecuzione e un’opposizione agli atti esecutivi ed il giudice abbia ritenuto assorbente e si sia pronunciato soltanto in merito a quest’ultima, la sentenza è ricorribile per cassazione ai sensi degli arti. 618 cod. proc. civ. e 111 Cost. 3.1.- In merito, poi, alla mancata eccezione dell’inammissibilità del gravame da parte dei Ministero ed alla pronuncia adottata d’ufficio da parte del giudice d’ appello, è sufficiente, osservare che, essendo l’inammissibilità dell’impugnazione correlata alla tutela d’interessi di carattere generale e comunque alla formazione del giudicato sulla sentenza erroneamente impugnata, essa è insanabile e rilevabile d’ufficio (cfr. Cass. S.U. n. 16/2000 e S.U. n. 6983/05).

Il primo motivo di ricorso va perciò rigettato.

4.- n secondo motivo è inammissibile.

Con questo la ricorrente censura la sentenza per non avere la Corte d’Appello sospeso il giudizio in attesa della definizione del giudizio di ottemperanza dinanzi alla Corte dei Conti ed, in via pregiudiziale, per non avere instaurato il contraddittorio sull’istanza di sospensione.

Attesa la decisione d’inammissibilità del gravame, la Corte ha evidentemente reputato assorbite tali questioni. Essendo stato rigettato il primo motivo di ricorso, le stesse -che avrebbero potuto essere proposte in un eventuale giudizio di rinvio- restano definitivamente precluse, comunque inammissibili in sede di legittimità.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore del Ministero resistente, nell’importo complessivo di € 2.200,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente.

 

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