Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 28 marzo 2014, n. 14766
Considerato in fatto e ritenuto in diritto
1. Con ordinanza del 17.12.2013 il Tribunale di Roma ex art. 310 c.p.p. – a seguito di appello del P.M. avverso la ordinanza emessa il 13.11.2013 dal G.I.P. dello stesso Tribunale con la quale è stata rigettata la applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di F.G. imputato per maltrattamenti ai danni della moglie e dei figli minori – in parziale accoglimento del gravame ha disposto l’applicazione nei confronti del predetto della misura cautelare del divieto di avvicinamento a tutti i luoghi abitualmente frequentati dalle parti offese, prescrivendo al medesimo di non comunicare, con qualsiasi mezzo (compreso quello telematico) con le predette p.o..
2. Avverso la ordinanza propone ricorso per cassazione il difensore dell’indagato che deduce:
2.1. violazione dell’art. 282 ter c.p.p. e vizio di motivazione nell’applicazione della misura cautelare per la mancata determinazione dei luoghi ai quali l’imputato non può avvicinarsi come delle modalità oggettive da osservare per rispettare tale divieto. Tali omissioni – da un lato – violerebbero i confini nell’ambito dei quali la misura deve mantenersi e – dall’altro – comunque non consentirebbero la proporzionata limitazione delle conseguenze della stessa misura.
2.2. violazione dell’art. 273 c.p.p. per assenza di gravi indizi di colpevolezza dovendosi tener conto delle valutazioni espresse da primo provvedimento reiettivo.
2.3. violazione dell’art. 275 c.p.p. per inadeguatezza ed eccessiva gravità della misura cautelare imposta rispetto alla condizione in cui vive la p.o. ed i figli e l’assenza di ulteriori episodi di minaccia dopo il 27.8.13.
3. Il ricorso è fondato per quanto di ragione.
4. Il secondo e terzo motivo, logicamente precedenti, sono inammissibili per genericità.
5. Il secondo motivo non si confronta con la motivazione resa dal provvedimento impugnato, limitandosi ad evocare quello di prime cure che – in ogni caso e come si evince dal provvedimento impugnato – non aveva affatto negato la sussistenza della gravità indiziaria.
6. Il terzo motivo, limitandosi a considerare la valutazione del primo giudice, non attacca quella che ha presieduto alla giustificazione delle esigenze cautelari ed alla cogente necessità di tutelarle.
7. Il primo motivo è fondato.
8. La ordinanza impugnata ha emesso nei confronti del ricorrente ex art. 282 ter c.p.p. il “divieto di avvicinamento a tutti i luoghi abitualmente frequentata” dalla p.o. con prescrizioni, senza indicare in modo determinato quali essi fossero, giustificando espressamente di non poterlo fare in ragione del fatto che la dimora “protetta” della p.o. doveva essere ignota all’indagato come pure l’ubicazione della scuola frequentata dai figli e considerato che la parte offesa non risultava lavorare.
9. Secondo un orientamento espresso da questa Corte ed al quale si intende aderire, in tema di misure cautelari personali, il provvedimento con cui il giudice dispone, ex art. 282-ter, cod. proc. pen., il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa deve necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi oggetto del divieto, perché solo in tal modo il provvedimento assume una conformazione completa, che ne consente l’esecuzione ed il controllo delle prescrizioni funzionali al tipo di tutela che si vuole assicurare. (Sez. 6, Sentenza n. 26819 del 07/04/2011 Rv. 250728 Imputato: C.;Sez. 5, Sentenza n. 27798 del 04/04/2013 Rv. 257697 Imputato: S.).
10. Con il D.L 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con L. 23 aprile 2009, n. 38, unitamente alla previsione dell’art. 7 che ha introdotto la nuova fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612 bis c.p., è stata altresì emanata all’art. 9 la disposizione integrativa della misura del divieto di avvicinamento di cui all’art. 282 ter c.p.p., comma 1, per la quale “il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa”.
11. Con tale previsione il legislatore ha quindi previsto una triplice modalità della fattispecie cautelare del divieto di avvicinamento che il giudice potrà considerare al fine di adeguare la tutela alle esigenze ravvisate nel caso di specie: quella del divieto di avvicinamento ai luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, quella di mantenere una determinata distanza da tali luoghi e, infine, quella di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa. Mentre le prime due tipologie hanno come riferimento “determinati luoghi” fissando rispetto ad essi l’ambito nel quale l’inibizione è efficace, la terza, invece, si incentra sulla “determinata distanza” da tenere rispetto alla persona offesa.
12. È opportuno richiamare, al fine di collocare esattamente la questione all’esame del Collegio, l’autorevolissimo arresto delle S.U. che con la sentenza 30 maggio 2006, n. 29907, La Stella (Rv. 234138) secondo il quale l’applicazione cumulativa di misure cautelari personali può essere disposta soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge agli artt. 276, comma primo, e 307, comma primo bis, cod. proc. pen. precisandosi che, al di fuori dei casi in cui siano espressamente consentite da singole norme processuali, non sono ammissibili né l’imposizione “aggiuntiva” di ulteriori prescrizioni non previste dalle singole disposizioni regolanti le singole misure, né l’applicazione “congiunta” di due distinte misure, omogenee o eterogenee, che pure siano tra loro astrattamente compatibili. Le S.U. hanno insegnato che “nell’ambito delle disposizioni generali (articoli 272-279) cui il nuovo codice di rito affida la funzione di pilastri fondamentali del sistema cautelare, la prima a venire in rilievo è infatti l’articolo 272 che sancisce il principio di stretta legalità, stabilendo che “le libertà della persona possono essere limitate con misure cautelari soltanto a norma delle disposizioni del presente titolo“. Ma quella espressa dall’articolo 272 non è la mera sottolineatura della necessità di previsione legale, che già scaturisce dalla doppia riserva, di legge e di giurisdizione, dettata dall’articolo 13, comma 2, Costituzione per ogni forma di compressione della libertà personale, riflettendosi in essa piuttosto il proposito di ridurre a un numero chiuso le figure di misure limitative della libertà utilizzabili in funzione cautelare nel corso del procedimento penale, sicché non possono essere applicate misure diverse da quelle espressamente considerate. È soprattutto grazie all’impiego dell’avverbio soltanto che il significato garantistico del principio di legalità si apprezza sotto il profilo della tassatività, in quanto diretto a vincolare rigorosamente alla previsione legislativa l’esercizio della discrezionalità del giudice in materia di limitazioni, di per sé eccezionali, della libertà della persona (Relazione al Progetto definitivo, p. 183). In base all’articolo 272 tipiche e nominate sono le figure delle misure cautelari personali, così come tipici e nominati sono i casi, le forme e i presupposti secondo i quali le stesse possono essere adottate. Di talché, in ossequio ai richiamati principi di stretta legalità, tassatività e tipicità (per i quali cfr. Cassazione, Su, 24/2000, Pm in proc. Monforte, in Cassazione pen. 2001, 1158), deve concludersi che, al di fuori dei casi in cui non siano espressamente consentite da singole norme processuali, non sono ammissibili tanto l’imposizione aggiuntiva di ulteriori prescrizioni non previste dalle singole disposizioni regolanti le singole misure, quanto l’applicazione congiunta di due distinte misure, omogenee o eterogenee, che pure siano tra loro astrattamente compatibili (come, ad esempio, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e il divieto o l’obbligo di dimora). Siffatta applicazione potrebbe infatti determinare la creazione, in un mixtum compositum, di una nuova misura non corrispondente al paradigma normativo tipico”.
13. Sicché, anche alla luce di questo autorevolissimo insegnamento secondo questo Collegio, non può ridefinirsi per via interpretativa aggravandosi la posizione del soggetto destinatario della misura il contenuto del “modo” cautelare applicato nella specie, obliterandone la connotazione tipica della determinatezza dei luoghi e correlandone l’individuazione ai movimenti della persona offesa, sulla base di “una scelta di priorità dell’esigenza di consentire alla persona offesa il completo svolgimento della propria vita sociale in condizioni di sicurezza da aggressioni alla propria incolumità anche laddove la condotta dell’autore del reato assuma connotazioni di persistenza persecutoria tale da non essere legata a particolari ambiti locali” (così Sez. 5, Sentenza n. 19552 del 26/03/2013 Rv. 255512 Imputato: D. R., richiamata dalla ordinanza impugnata), in tal modo, oltrettutto, sovrapponendo le modalità di misura cautelare diversamente connotate.
14. In conclusione, il giudice ha la possibilità di adeguare l’intervento cautelare previsto dall’art. 282 ter c.p.p. alle esigenze di specie attraverso le tre diverse flessioni previste, ma la scelta del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa deve rispettare la connotazione legale che lo vuole riferito a “determinati” luoghi, che è compito del giudice indicare a pena di una censurabile indeterminatezza.
15. La omissione da parte della ordinanza impugnata della specifica indicazione di luoghi rispetto ai quali era inibito l’avvicinamento, infligge – paradossalmente, in relazione al domicilio ed alla scuola “ignoti” al destinatario – un generico, imprevedibile e, pertanto, incontrollabile obbligo di “non facere” in capo allo stesso destinatario e viola la connotazione tipica della misura astrattamente adottata, non considerando il diverso “modo” cautelare incentrato sulla persona offesa.
16. La rilevata violazione ed omessa considerazione comportano l’annullamento della ordinanza ed il rinvio al Tribunale di Roma per nuova deliberazione.
P.Q.M.
Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuova deliberazione al Tribunale di Roma.
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