Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
Sentenza 27 maggio 2013, n. 22915
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AGRO’ Antonio S. – Presidente
Dott. GARRIBBA Tito – Consigliere
Dott. CORTESE Arturo – Consigliere
Dott. CITTERIO Carlo – Consigliere
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 10619 emessa il 22 maggio 2012 dalla Corte d’appello di Reggio Calabria;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Tito Garribba;
udito il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MURA Antonio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
p.1. (OMISSIS) ricorre avverso la sentenza d’appello specificata in epigrafe, che confermava la sua condanna alla pena di mesi otto di reclusione per il reato di maltrattamenti in famiglia ai danni di (OMISSIS), e denuncia erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato. Deduce che mancherebbe la prova che tra imputato e vittima vi fosse una convivenza more uxorio o si fosse comunque instaurato un rapporto di tipo familiare, e richiama al riguardo la sentenza 24.7.2007 del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria che, nel dichiarare (o stato di adottabilita’ della bambina da loro generata, osserva che i due non avevano formato “una vera e propria coppia” e che “non hanno mai convissuto da soli, non hanno mai raggiunto un minimo di autonomia e forse si e’ trattato di una mera coabitazione d’occasione piu’ che di una convivenza more uxorio”. Censura poi che la Corte di merito abbia fondato il giudizio di colpevolezza sulle testimonianze rese dalla pretesa vittima, dalla madre e dalla sorella, senza sottoporle a doveroso esame critico e senza rilevare le numerose incongruenze e contraddizioni che ne inficiano la credibilita’. Conclude pertanto chiedendo l’annullamento della sentenza.
Con atto depositato il 22.04.2013 il ricorrente rinnova le anzidette censure e, con motivo nuovo, deduce che, essendo rimasta indeterminata la data del commesso reato, ne sia dichiarata l’estinzione per prescrizione.
Altra memoria difensiva e’ stata depositata il 30.04.2013.
p.1.1 Il ricorso e’ fondato nei termini di seguito specificati.
Il ricorrente contesta la legittimita’ della condanna per due motivi: 1) la relazione tra imputato e vittima non sarebbe assimilabile a una convivenza more uxorio;
2) le testimonianze a carico sarebbero state erroneamente valutate in senso colpevolistico;
Sotto il primo profilo, pregiudiziale rispetto al secondo, e’ opportuno rammentare che l’articolo 572 c.p., nel perseguire la condotta di colui che “maltratta una persona della famiglia”, considera famiglia – per giurisprudenza consolidata – non soltanto quella legittima fondata sul matrimonio, ma anche quella di fatto, connotata da un rapporto tendenzialmente stabile fondato su legami di reciproca assistenza e protezione. “Agli effetti dell’articolo 572 c.p. – e’ stato affermato a partire da Cass., Sez. 2, 26.5.1966, Palombo, rv 101563 – deve considerarsi famiglia ogni consorzio di persone tra le quali, per intime relazioni e consuetudini di vita, siano sorti legami di reciproca assistenza e protezione: anche il legame di puro fatto stabilito tra un uomo e una donna vale pertanto a costituire una famiglia in questo senso, quando risulti da una comunanza di vita e di affetti analoga a quella che si ha nel matrimonio”. Piu’ precisamente si e’ affermato che sono da considerare persone della famiglia, anche i componenti della famiglia di fatto, fondata sulla reciproca volonta’ di vivere insieme, di generare figli, di avere beni in comune, di dare vita a un nucleo stabile e duraturo (v. ex plurimis, Sez. 6, 24.01.2007 n. 21239, Gatto, rv 236757; idem, 29.01.2008 n. 20647, rv 239726). E proprio in riferimento alla famiglia di fatto e’ stato affermato che la convivenza more uxorio realizza una serie di relazioni di stima, di affetto e di fiducia, che corrispondono pienamente a quelle che caratterizzano la famiglia legittima.
In alcune sentenze si e’ aggiunto che, per la configurabilita’ del reato previsto dall’articolo 572 c.p., non sarebbe necessario il requisito della convivenza o coabitazione (v. Cass., Sez. 3, 3.10.1997, rv. 208444). A questo proposito, premessa la considerazione che la convivenza e’, secondo l’id quod plerumque accidit, il fenomeno che rivela fisicamente il rapporto di solidarieta’ e protezione che lega due o piu’ persone che formano un consorzio familiare, va precisato che la predetta affermazione vale nel caso di separazione (consensuale o giudiziale) dei coniugi, perche’, nonostante la cessazione della convivenza, persistono gli obblighi giuridici, sia pure attenuati, di assistenza materiale e morale nascenti dal matrimonio. Non puo’ valere, invece, nell’ipotesi della famiglia di fatto, perche’ la cessazione della convivenza rende manifesta l’avvenuta estinzione dell’affectio che reggeva quella unione, a meno che altri elementi rivelino la prosecuzione del rapporto di reciproca assistenza che costituisce il fondamento volontario della famiglia di fatto.
Il legislatore, facendo tesoro dell’approdo cui e’ pervenuta la consolidata giurisprudenza di legittimita’, con la novella 1 ottobre 2012 n. 172 ha parzialmente riformato l’articolo 572 c.p., cambiando la rubrica da “maltrattamenti in famiglia” in “maltrattamenti contro familiari e conviventi” e precisando che soggetto passivo del reato non e’ soltanto “una persona della famiglia”, ma “una persona della famiglia o comunque convivente”. In altre parole il legislatore, riconosciuto il valore sociale della convivenza come modello idoneo a costituire una di quelle formazioni sociali che l’ordinamento costituzionale si impegna a riconoscere e garantire (v. articolo 2 Cost.), ha inteso assicurare tutela penale non solo ai componenti della famiglia legale, ma anche ai membri delle unioni di fatto fondate sulla convivenza.
Passando all’esame del caso concreto, si osserva che la sentenza impugnata, muovendo dal rilievo che “tra l’ (OMISSIS) e la (OMISSIS) v’era una relazione sentimentale protrattasi per parecchi anni (dal 2004 al 2009) sebbene con fasi alterne e dalla quale sono nati tre figli, che in diverse occasioni la (OMISSIS) si e’ assentata da casa per vivere con l’ (OMISSIS)”, ha ritenuto provata l’esistenza di un rapporto non meramente occasionale, ma abituale, “tale da far sorgere rapporti di umana solidarieta’ e doveri di assistenza morale e materiale” e, quindi, ha concluso per l’assumibilita’ del fatto nella fattispecie di reato prevista dall’articolo 572 c.p..
Senonche’ la conclusione raggiunta non resiste alle censure proposte dal ricorrente, perche’, da un lato, non si attiene alla nozione di persona della famiglia secondo l’accezione sopra delineata e, dall’altro, ignora con motivazione apodittica i rilievi formulati in fatto dal ricorrente.
Sotto il primo profilo, in base all’ermeneusi sopra svolta, si ricorda che, in difetto di convivenza, il rapporto familiare di fatto che costituisce il presupposto del reato contestato, va desunto dalla messa in atto di un progetto di vita basato sulla reciproca solidarieta’ e assistenza.
Sotto il secondo profilo, si osserva che l’asserito rapporto di reciproca assistenza sembrerebbe contraddetto dalle seguenti circostanze:
– che la relazione sentimentale, durata secondo il giudice d’appello per un periodo di sei anni, sarebbe cominciata con una convivenza di qualche mese presso la casa dei genitori dell’imputato e sarebbe poi proseguita con una frequentazione saltuaria e intermittente, posto che la vittima, ogni volta che si allontanava da casa per incontrare l’imputato, vi faceva ritorno coperta di lividi per le percosse ricevute;
– che la nascita dei tre figli parrebbe essere una conseguenza non voluta della relazione piuttosto che l’effetto di un progetto mirato a generare, allevare ed educare la prole, posto che, del primo figlio, a causa dell’incuria dei genitori, e’ stato dichiarato lo stato di adottabilita’ e, della sorte degli altri, non si ha notizia alcuna;
– che tanto l’imputato quanto la vittima sono descritti come soggetti immaturi, affetti da disturbi della personalita’ che ne compromettono la funzionalita’ in maniera significativa, privi di occupazione lavorativa, incapaci di condurre una vita responsabile.
La sentenza deve dunque essere annullata a causa dei rilevati vizi di violazione della norma penale e di motivazione soltanto apparente, e il giudice di rinvio, attenendosi all’interpretazione dell’articolo 572 c.p., sopra specificata, dovra’ riesaminare il fatto per accertare se la relazione intercorsa tra l’imputato e (OMISSIS), per il carattere di precarieta’ o stabilita’ e per le finalita’ che inducevano i due a frequentarsi, fosse tale da realizzare una famiglia di fatto. In caso di risposta positiva, procedera’ poi a verificare se l’accusa di avere maltrattato la compagna con percosse, ingiurie e minacce sia fondata.
p.1.2 Si osserva infine che la richiesta di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione e’ allo stato infondata, perche’, stando all’imputazione e salvo diverso accertamento del giudice di merito, la permanenza del reato e’ durata fino al termine dell’anno 2006.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’appello di Reggio Calabria.
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