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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 22 dicembre 2015, n. 50278

Ritenuto in fatto

Dopo che, all’esito dell’udienza preliminare del 28/12/2012, era stato disposto il rinvio a giudizio dinanzi al Tribunale di Firenze di alcuni imputati, chiamati a rispondere del reato di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, a seguito di rinvii in limine, si perveniva all’udienza del 20/2/2015, nella quale, prima dell’apertura del dibattimento, il P.M. modificava per vari imputati, compreso R.M. , l’imputazione originaria, riqualificando i fatti ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990.
L’imputato R. , presente in udienza, formulava a quel punto richiesta di sospensione del processo con messa alla prova, producendo l’istanza già inviata all’UEPE ai fini della predisposizione del programma.
All’udienza dell’8/5/2015, cui era stato rinviato il processo in modo che potesse essere depositato il programma, il Giudice dichiarava inammissibile la richiesta del R. .
2. Presentava ricorso il difensore dell’imputato.
Deduceva in primo luogo inosservanza o erronea applicazione della legge penale e della legge processuale penale e in secondo luogo mancanza di motivazione.
Essenzialmente il provvedimento recava una formulazione incomprensibile “la formulazione fatta in udienza, trova applicazione ultima norma (?), vi è inoltre impedimento soggettivo”, che finiva per violare i canoni di ammissibilità della messa alla prova, fermo restando che l’istanza era stata presentata alla prima udienza utile dopo l’introduzione del nuovo istituto.
Peraltro il provvedimento, proprio perché incomprensibile, risultava privo di idonea motivazione, tale da costituire valida giustificazione del provvedimento adottato.
3. Il Procuratore Generale depositava requisitoria scritta, chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato per mancanza di motivazione.

Considerato in diritto

1. L’istituto della messa alla prova, già previsto dall’art. 28 d.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 per i minorenni, è stato introdotto per gli imputati maggiorenni dalla legge 28 aprile 2014 n. 67, in vigore dal 17 maggio 2015, il cui art. 3 ha inserito i nuovi artt. 168 bis, 168 ter e 168 quater nel codice penale e il cui art. 4 ha inserito nel libro VI del codice di procedura penale il nuovo titolo V-bis fartt. da 464-bis a 464-novies).
Tale articolazione sottolinea la duplice valenza, sia sostanziale che processuale, della rilevante innovazione, giacché l’istituto prelude all’estinzione del reato in conseguenza dell’esito positivo della prova (art. 168-ter, comma secondo, cod. pen.), ma è al tempo stesso configurato come forma alternativa di definizione del processo.
2. La nuova disciplina, riferita ai reati di cui all’art. 168-bis cod. pen., eventualmente commessi prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, contempla dei termini per la presentazione dell’istanza.
L’art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen., stabilisce infatti che la richiesta può essere proposta fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio; se è stato notificato decreto di giudizio immediato la richiesta deve essere formulata entro il termine e con le forme di cui all’art. 458, comma 1.
Non è prevista una disciplina transitoria, cosicché, per quanto l’istituto sia applicabile anche a reati commessi anteriormente, nondimeno opera lo sbarramento costituito dal superamento delle fasi processuali surrichiamate, quand’anche avvenuto prima dell’entrata in vigore della disciplina.
In tal senso si è schierata univocamente la giurisprudenza della Corte di cassazione, in ragione del concomitante rilievo processuale dell’istituto, che ha anche una finalità deflattiva per modo che non sarebbe giustificata una sua applicazione nel corso del giudizio e men che mai nella fase dell’impugnazione (Cass. Sez. Sez. 5, n. 9/6/2015, Gasparini, rv. 264259; Sez. 3, n. 27071 del 24/4/2015, Frasca, rv. 263815; Cass. Sez. 2, n. 26761 del 9/3/2015, Lariccia,
La questione deve comunque considerarsi ormai pacifica, tant’è che nelle more è intervenuta la sentenza n. 240 del 2015 della Corte costituzionale che ha dichiarato non fondate le questioni prospettate in relazione alla mancanza di disciplina transitoria e alla preclusione dell’istanza nel caso di giudizio ormai avviato.
3. Nella specie, peraltro, ricorre un caso che non pare omologabile a quelli nei quali è stata ravvisata la inammissibilità dell’istanza per il superamento del termine in epoca anteriore all’entrata in vigore della nuova disciplina.
Si è già segnalato che il R. è stato rinviato a giudizio per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309 del 1990 all’esito di udienza preliminare celebrata nel 2012.
Ma, a seguito di rinvii, si è giunti all’udienza del 20/2/2015, nel corso della quale, prima che il dibattimento fosse aperto, il P.M. ha modificato l’imputazione, riqualificandola ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990, ipotesi che integra un autonomo reato a seguito delle modifiche introdotte da ultimo dall’art. 1, comma 24-ter, lett. a), d.l. 20 marzo 2014 n. 36, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014 n. 79.
In tal modo si è riprodotta, prima dell’apertura del dibattimento, una situazione del tutto identica a quella sarebbe derivata dall’emissione di una citazione diretta a giudizio, rito oggi fisiologicamente applicabile, in ragione della pena edittale, al reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990.
Attesa l’omogeneità delle situazioni, appare preferibile ritenere che, sia valutando la natura sostanziale dell’istituto della messa alla prova sia considerando l’aspetto processuale, correlato alla definizione alternativa del processo tramite l’applicazione di un istituto che ha natura deflattiva, debba darsi prevalente rilievo al fatto che per quel tipo di reato lo sbarramento processuale avrebbe dovuto coincidere con l’apertura del dibattimento, a prescindere dal fatto che in base all’originaria qualificazione fosse necessaria l’udienza preliminare, in concreto celebrata.
Semmai può in linea generale osservarsi che, permanendo una qualificazione sfavorevole, l’interessato dovrebbe comunque presentare l’istanza prima dell’apertura del dibattimento prospettando la qualificazione a lui favorevole, non potendo altrimenti giovarsi ex post dell’eventuale riqualificazione intervenuta all’esito del giudizio.
Né sembra che tale situazione sia equiparabile a quella di una contestazione intervenuta in corso di giudizio, fermo restando che in tal caso, almeno ove si tratti di modifica per diversità del fatto, tale da ricondurre il reato entro la sfera di operatività dell’istituto della messa alla prova, non consentita nella configurazione precedente, potrebbe prospettarsi una questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 27 Cost., della norma che prevede lo sbarramento entro le fasi processuali sopra indicate, così da precludere, non per colpa dell’interessato, l’accesso ad un istituto che assume rilievo anche sostanziale e si prefigge di assicurare anche una peculiare esigenza di trattamento rieducativo.
Sta di fatto che nel caso del ricorrente la situazione appare omologabile al fisiologico sviluppo di un processo con citazione diretta, ciò che fa propendere per l’ammissibilità dell’istanza.
4. Ma a questo punto si pone la questione della ricorribilità immediata delle ordinanze reiettive della richiesta, in specie adottate nella fase del dibattimento, questione che, attesa l’insanabile divaricazione delle posizioni assunte sul punto dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, induce a demandare la soluzione del conflitto alle Sezioni Unite.
4.1. Va rilevato che l’art. 464-ter cod. proc. pen. prevede l’ipotesi della richiesta formulata nel corso delle indagini: in tale caso il P.M. deve esprimere un consenso motivato e formulare l’imputazione, dopo di che il Giudice provvede ai sensi dell’art. 464-quater; in caso di dissenso il P.M. deve enunciarne le ragioni. La norma prevede inoltre che in caso di rigetto l’imputato può rinnovare la richiesta prima dell’apertura del dibattimento di primo grado e il giudice se ritiene la richiesta fondata, provvede ai sensi dell’art. 464-quater.
Tale ultima norma prevede in particolare al primo comma che il Giudice, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129, decide con ordinanza nel corso della stessa udienza, sentite le parti, ovvero in apposita udienza in camera di consiglio da fissare a tale scopo.
Il comma 3 dell’art. 464-quater prevede inoltre che il Giudice sospende il procedimento con messa alla prova quando in base ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen. reputa idoneo il programma di trattamento e ritiene che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati.
Il comma 5 disciplina i termini di sospensione del processo.
Il comma 7 stabilisce che “contro l’ordinanza che decide sull’istanza di messa alla prova possono ricorrere per cassazione l’imputato e il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa…[…]..L’impugnazione non sospende il procedimento”.
Infine il comma 9 prevede che “in caso di reiezione dell’istanza, questa può essere riproposta nel giudizio, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento”.
4.2. L’art. 464-quater dunque prevede al comma 7 che il pubblico ministero e l’imputato possono ricorrere contro l’ordinanza che decide sulla richiesta.
I commi precedenti di tale articolo disciplinano invece il contenuto del provvedimento di sospensione con messa alla prova e il comma nono prevede la possibilità di rinnovare la richiesta nel giudizio, prima dell’apertura del dibattimento.
Inoltre, come si è rilevato, l’art. 464-ter contempla il caso particolare della richiesta formulata nel corso delle indagini, rispetto al quale è previsto un provvedimento solo nel caso di consenso del P.M., fermo restando che in caso di rigetto, l’istanza è comunque riproponibile prima dell’apertura del dibattimento.
Si tratta di indicazioni che in realtà non sembrano deporre per un’inequivoca soluzione e che non paiono neppure perfettamente allineabili.
Le stesse vanno inoltre confrontate da un lato con il disposto dell’art. 586 cod. proc. pen., in forza del quale “quando non è diversamente stabilito dalla legge, l’impugnazione contro le ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari ovvero nel dibattimento può essere proposta, a pena di inammissibilità, soltanto con l’impugnazione contro la sentenza”, e dall’altro con il principio della tassatività dei mezzi di impugnazione di cui all’art. 568, comma 1, cod. proc. pen..
4.3. Il tenore letterale dell’art. 464-quater, comma 7, sembra invero suggerire che siano ricorribili tutte le ordinanze che decidono sulla richiesta, a prescindere dal fatto che si tratti di accoglimento o di reiezione della stessa.
A conferma di tale dato sembra che possa invocarsi la previsione dell’ultima parte del comma 7, per cui l’impugnazione non sospende il procedimento: poiché a seguito dell’accoglimento con messa alla prova il procedimento è sospeso, potrebbe trarsi dalla avvertita necessità di escludere la sospensione, la conclusione che il legislatore abbia inteso sottolineare proprio che non produce effetto sospensivo l’impugnazione avverso l’ordinanza reiettiva.
Inoltre nello stesso senso potrebbe militare anche il diverso tenore dell’art. 28 d.P.R. 448 del 1988, che disciplina l’istituto della messa alla prova nei confronti di imputati minorenni: la circostanza che il comma 2 faccia riferimento all’ordinanza di sospensione e che il comma 3 preveda la possibilità di ricorrere immediatamente contro l’ordinanza, ha finito per far prevalere l’orientamento in forza del quale risulta ricorribile solo l’ordinanza che dispone la sospensione con messa alla prova (Cass. Sez. 4, n. 34169 del 18/6/2002, dep. nel 2003, Tenerelli, rv. 225953; Cass. Sez. 1, n. 2429 del 24/4/1995, Zagarella, rv. 201298).
La formulazione neutra del comma 7 dell’art. 464-quater potrebbe dunque far ritenere che il legislatore abbia inteso sgomberare il campo da dubbi, prevedendo la ricorribilità contro l’ordinanza a prescindere dal suo contenuto.
4.4. Ma al tempo stesso deve rilevarsi che l’art. 463-ter nel far riferimento al rigetto prevede espressamente la possibilità di rinnovazione dell’istanza prima dell’apertura del dibattimento e che il comma 9 dell’art. 464-quater a sua volta prevede la possibilità di rinnovare l’istanza nel corso del giudizio, prima dell’apertura del dibattimento.
Potrebbe da ciò trarsi lo spunto per ritenere in via generale che il precedente comma settimo non contempli il caso dell’ordinanza reiettiva, essendo prevista in tal caso solo la possibilità di rinnovazione.
Peraltro potrebbe risultare ragionevole anche una interpretazione parzialmente diversa, destinata a mediare tra le diverse opzioni: posto che il comma 9 si occupa dell’ordinanza reiettiva e dell’eventuale rinnovo prima dell’apertura del dibattimento, senza contemplare specificamente un mezzo di impugnazione, potrebbe ritenersi che la possibilità di ricorso, atteso il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, sia esclusa per l’ordinanza reiettiva qualora si pervenga alla fase del giudizio.
La parte interessata non resterebbe comunque priva di tutela in quanto potrebbe utilizzare a quel punto lo strumento offerto dall’art. 586 cod. proc., cioè la possibilità di impugnare l’ordinanza unitamente alla sentenza.
In tal modo si ricomporrebbe un sistema incentrato sulla ricorribilità dell’ordinanza di sospensione con messa alla prova, destinata ad impedire lo sviluppo del giudizio dibattimentale, e sulla impugnabilità dell’ordinanza reiettiva solo unitamente alla sentenza.
4.5. In tale quadro non di decisivo rilievo pare la previsione della facoltà di impugnazione riconosciuta non solo al pubblico ministero ma anche all’imputato: ben potrebbe immaginarsi infatti un’impugnazione rivolta contro l’ordinanza che ha disposto la sospensione con messa alla prova, ponendo però prescrizioni illegittime o errando nella valutazione dell’assenza dei presupposti per il proscioglimento o nella determinazione del termine.
Piuttosto va rimarcato, a sostegno dell’immediata impugnabilità, come, rispetto alla logica anche deflattiva sottesa all’istituto, la necessità di attendere l’esito del giudizio potrebbe risultare in contrasto con la finalità di pervenire rapidamente ad una definizione del processo con rito alternativo.
Ed ancora potrebbe risultare incongruo attendere l’impugnazione contro la sentenza in presenza di una parte civile che a quel punto ha una ragionevole aspettativa che si arrivi alla condanna a fini civilistici, non operando in questo caso il disposto dell’art. 578 cod. proc. pen..
D’altro canto, in senso opposto, è necessario segnalare che l’eventuale possibilità di impugnazione verrebbe a derogare al dettato dall’art. 586 cod. proc. pen.: ma in tal caso la legittimazione al ricorso immediato contro l’ordinanza reiettiva, essendo d’ostacolo alla successiva impugnazione dell’ordinanza unitamente a quella contro la sentenza, potrebbe condurre al paradossale risultato di precludere, nel caso di giudizio direttissimo e di citazione diretta a giudizio, una doppia valutazione di merito sulla richiesta, che non potrebbe essere rinnovata, mentre nel caso di impugnazione mediante appello unitamente alla sentenza ciò sarebbe comunque possibile.
4.6. Il dissonante quadro complessivo trova riscontro nelle divergenti conclusioni cui è fin qui pervenuta la giurisprudenza della Corte di cassazione.
Secondo un primo filone interpretativo è centrale il rapporto con l’art. 586 cod. proc. pen..
In particolare Cass. Sez. 5, n. 5673 del 15/12/2014, dep. nel 2015, A., rv. 262106, si è espressa in tali termini: “Ai sensi dell’art. 586 cpp, quando non è diversamente stabilito, le ordinanze emesse nel corso del dibattimento o degli atti preliminari possono essere impugnate, a pena di inammissibilità, solo unitamente alla sentenza. In tal caso, entrambe le impugnazioni sono valutate congiuntamente dal giudice sovraordinato. Così sono state ritenute, ad esempio (ASN 200516230-RV 233622) non che autonomamente impugnabili le ordinanze con cui si accolga o si rigetti l’istanza di sospensione del dibattimento proposta dall’imputato, ex art. 5 L. n. 134 del 2003, con la conseguenza che le eventuali doglianze circa violazioni di diritti spettanti alle parti possono essere fatte valere con l’impugnazione avverso il provvedimento conclusivo del giudizio di primo grado. Non diversamente si deve ritenere nel caso in esame atteso che certamente non integra gli estremi dell’atto abnorme – in quanto tale autonomamente ricorribile per cassazione”.
In tal modo è stato dichiarato inammissibile il ricorso immediato contro l’ordinanza dibattimentale reiettiva.
Di analogo tenore sono altre due pronunce con le quali il ricorso immediato avverso l’ordinanza reiettiva è stato ugualmente dichiarato inammissibile (Cass. Sez. 2, n. 40397 del 12/6/2015, Fratuscio, rv. 264574, che ha per intero richiamato Cass. Sez. 5, n. 5673, e Cass. Sez. 5, n. 5656 del 14/11/2014, Ascione, rv. 264270).
Ed ancora nel senso dell’inammissibilità si è pronunciata Cass. Sez. 5, n. 25566 del 3/6/2015, Marcozzi, rv. 264071, secondo cui solo nel caso di un provvedimento di sospensione con messa alle prova, ove non fosse prevista la diretta impugnabilità, alle parti non sarebbe più consentito alcun rimedio. In detta sentenza si è sottolineato da un lato che la legittimazione dell’imputato può trovare fondamento nella possibilità di previsioni eccentriche dell’ordinanza e nella valutazione inerente all’assenza dei presupposti di cui all’art. 129 cod. proc. pen.. e dall’altro che il disposto dell’art. 464-quater, comma 7, va letto alla luce dei commi precedenti che disciplinano il contenuto dell’ordinanza di messa alla prova, mentre della reiezione si parla nel comma 9 ai soli fini della previsione della facoltà di rinnovazione dell’istanza. Inoltre si è rilevato che la possibilità di ricorso immediato, non accompagnata dalla sospensione del procedimento, darebbe luogo a risultati incongrui. Da ultimo si è aggiunto che l’orientamento formatosi sull’art. 28 d.P.R. 448 del 1988, per cui è direttamente impugnabile l’ordinanza di sospensione, avvalora la conclusione proposta.
4.7. In base ad un opposto filone interpretativo invece deve ritenersi immediatamente ricorribile l’ordinanza dibattimentale reiettiva.
Sul punto Cass. Sez. 3, n. 27071 del 24/4/2015, Frasca, rv. 263814, c. si esprime in questi termini: “Va anzitutto chiarito che, contrariamente a quanto ritenuto da Sez.5, n.5673/15 del 15/12/2014, A., Rv. 262106, il ricorso è ammissibile; infatti, come testualmente previsto dall’art. 464 quater c.p.p., contro l’ordinanza che decide sull’istanza di messa alla prova possono ricorrere per cassazione l’imputato e il pubblico ministero anche su istanza della persona offesa: l’inequivocabile dato normativo, che non distingue tra ordinanze che ammettono la misura e ordinanze che rigettano la relativa domanda, e che si pone evidentemente in deroga rispetto al principio generale, espresso dall’art. 586 c.p.p., dell’impugnabilità delle ordinanze emesse nel dibattimento unicamente insieme alla sentenza (principio del resto condizionato al fatto, come recita l’incipit della norma, che la legge non stabilisca diversamente), consente dunque di ritenere ritualmente impugnata davanti a questa Corte l’ordinanza…[…]…Del resto, è significativo che questa Corte, con riguardo all’istituto della messa alla prova nei confronti di imputati minorenni, sia invece giunta a suo tempo a ritenere la non impugnabilità in via autonoma dell’ordinanza che abbia respinto la relativa richiesta sulla base, in quel caso, della specifica previsione di ricorribilità per cassazione strettamente riguardante la sola ordinanza di sospensione derivante dalla concatenazione tra i commi 2 e 3 dell’art. 28”.
Ed allora assume in questo caso rilievo decisivo il tenore letterale della norma, che non fa distinzioni.
Analogo orientamento è stato ribadito da altre pronunce che hanno posto in luce il carattere inequivoco del tenore dell’art. 464-quater, comma 7 (Cass. Sez. 2, n. 20602 del 6/5/2015, Corallo, rv. 263787; Cass. Sez. 5, n. 24011 del 2372/2015, B., rv. 263777), nonché da altra sentenza (Cass. Sez. 6, n. 36687 del 30/6/2015, Fagrouch, rv. 264046), che richiama quelle conformi, nel presupposto, peraltro allo stato non confermato, che esprimano un orientamento prevalente.
4.8. Non può dirsi dirimente la più recente Cass. Sez. 2, n. 45338 del 4/11/2015, Rigoni, non massimata, che si è pronunciata sull’ammissibilità del ricorso avverso l’ordinanza reiettiva, pronunciata nell’udienza preliminare: si è rilevato che l’ordinanza è ricorribile quale che sia il suo contenuto e che in alternativa l’interessato può rinnovare la richiesta prima dell’apertura del dibattimento, fermo restando che la rinnovazione non può avvenire invece nel prosieguo della stessa udienza preliminare.
A ben guardare si è fatto leva sul tenore letterale dell’art. 464-quater e si è affermato che l’interessato dispone sia della possibilità di impugnare sia di quella di prestare intanto acquiescenza e di rinnovare l’istanza nella fase successiva:
ma in tal modo non è stata formulata alcuna valutazione in ordine agli argomenti opposti dal contrastante filone interpretativo e soprattutto non è stato esaminato il tema più delicato, rappresentato dall’impugnabilità immediata dell’ordinanza reiettiva pronunciata in sede dibattimentale.
5. Come è dato constatare, l’incertezza originata dal tenore letterale della norma e dal sistema complessivo, nel quale essa viene ad inserirsi, trova espressione nei due contrapposti filoni che fanno leva su argomenti che vengono reciprocamente contrastati e in alcuni casi utilizzati a sostegno di conclusioni opposte.
Di qui l’opportunità di rimettere il ricorso alle Sezioni Unite, ai fini della composizione del contrasto sulla questione “se contro l’ordinanza reiettiva della richiesta di messa alla prova, presentata o rinnovata nel dibattimento, possa presentarsi ricorso per cassazione o si possa presentare impugnazione unitamente alla sentenza ai sensi dell’art. 586 cod. proc. pen.”.

P.Q.M.

Rimette il ricorso alle Sezioni Unite

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