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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza  22 dicembre 2014, n. 53415

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza dell’8 marzo 2013, giudicando a seguito di annullamento con rinvio disposto con sentenza del 22 maggio 2009 da questa Corte di cassazione, in riforma della sentenza assolutoria del 6 giugno 2006 del Gup di Santa Maria Capua Vetere, la Corte d’appello di Napoli ha condannato S.G. e L.G.F. in ordine ai reati di cui agli artt. 110, 56-629 cod. pen. (capo A) e artt. 110, 628, commi 1 e 2, cod. pen. (capo B), commessi in danno di Si.Sa. , in data (omissis) .
In via preliminare, il giudice di secondo grado ha chiarito che, nel giudizio di rinvio, non possono essere dedotte nullità verificatesi nel precedente giudizio, nella specie quella realizzatasi dinanzi alla Corte di cassazione per omesso avviso della udienza innanzi alla stessa Corte al difensore Avv. Sorge (essendo stato erroneamente avvisato l’Avv. Cammuso, revocato già nel 2004).
Nel merito, il giudice d’appello ha rilevato che le dichiarazioni rese dalla persona offesa Si.Sa. , acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. (alla luce del principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza del 22 maggio 2009), sono pienamente utilizzabili in quanto soggettivamente credibili, intrinsecamente attendibili nonché confermate da diverse emergenze probatorie, in particolare dalle dichiarazioni rese dai testi di P.G. I.D. e M.L. ; che, sulla scorta delle dichiarazioni della persona offesa, si devono ritenere integrati tanto il delitto di tentata estorsione, sussistendo l’ingiustizia del profitto anche se la violenza e minaccia sia usata dall’agente per ottenere l’adempimento di un’obbligazione naturale non azionabile davanti al giudice, quanto il reato di rapina, aggravato dalla circostanza delle più persone riunite. La Corte territoriale, ritenuta sussistente la recidiva contestata a S. , ha quindi determinato la pena nei confronti di S. nella misura di anni cinque mesi nove di reclusione e 2000 Euro di multa e di L. nella misura di anni cinque mesi sei di reclusione e 1800 Euro di multa.
2. Avverso il provvedimento hanno presentato ricorso gli Avv.ti Giovanni Aricò e Alfredo Sorge, difensori di fiducia di S.G. e di L.G.F. , chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 178, 179, 180 e 185, 612, 613 e 614 cod. proc. pen. nonché all’art. 14 delle Preleggi, per avere la Corte d’appello respinto l’eccezione preliminare di nullità della sentenza della Corte di cassazione per omesso avviso della udienza del 22 maggio 2009 al difensore Avv. Alfredo Sorge, essendo stato avvisato l’avv. Camusso, revocato già dal 2004; contrariamente a quanto argomentato dalla Corte d’appello, nella specie non può trovare applicazione in via analogica il divieto previsto dall’articolo 627, comma 4, cod. proc. pen. in quanto trattasi di analogia in malam partem, sicché si impone una lettura costituzionalmente orientata nel senso di ritenere che le nullità realizzatesi nel giudizio di cassazione siano deducibili entro la pronuncia della sentenza nel successivo giudizio di rinvio, dovendo altrimenti essere sollevata questione di legittimità costituzionale della medesima norma per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost..
2.2. Violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 178, 179, 180 e 185, 601 e 602 cod. proc. pen., per avere la Corte d’appello dichiarato la contumacia degli imputati nonostante manchi la prova della notifica del decreto al domicilio determinato a norma del comma 2 dell’art. 161 del codice di rito.
2.3. Violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 129, 61, 63, 66, 191, 192, 194, 196, 197, 349, 392, 512, 526, 530, 533, 544, 546, 627, 628 cod. proc. pen. e 6 CEDU, per avere la Corte territoriale utilizzato a sostegno della decisione di condanna le dichiarazioni rese da Si.Sa. , soggetto non compiutamente identificato rispetto al quale non può esprimersi un valido giudizio di credibilità soggettiva; per avere il giudice d’appello ritenuto acquisibili le dichiarazioni del medesimo ai sensi dell’art. 512 codice di rito nonostante l’impossibilità della sua audizione dibattimentale fosse prevedibile, dal momento che egli si era reso irreperibile subito dopo i fatti; per avere la Corte utilizzato le dichiarazioni di soggetto che si era volontariamente sottratto all’esame dibattimentale, imputato in procedimento connesso (avendo egli commesso il reato di contrabbando), le cui dichiarazioni non avrebbero pertanto potuto essere utilizzate non solo contra se, ma anche contra alios, e stante la mancanza di riscontri esterni.
2.4. Violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 129, 191, 192, 194, 196, 197, 349, 530, 533, 544, 546, 627, 628 cod. proc. pen., artt. 157, 647 e 624 cod. pen., per avere la Corte d’appello qualificato il fatto anziché come rapina come appropriazione di cosa smarrita o come furto.
2.5. Violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 129, 191, 192, 194, 196, 197, 349, 530, 533, 544, 546, 627, 628 cod. proc. pen., artt. 56-610 cod. pen., per avere la Corte d’appello qualificato il fatto anziché come estorsione come violenza privata tentata.
2.6. Violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 129, 191, 192, 194, 196, 197, 349, 530, 533, 544, 546, 627, 628 cod. proc. pen., per avere la Corte d’appello omesso di dichiarare, previa esclusione della circostanza aggravante ex art. 628, comma 2, cod. pen., la prescrizione di entrambe le contestazioni.
2.7. Violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 129, 191, 192, 194, 196, 197, 349, 530, 533, 544, 546, 627, 628 cod. proc. pen. e artt. 62-bis e 62 n. 4 cod. pen., per avere la Corte d’appello escluso l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante della lieve entità del danno patrimoniale.
2.8. Violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 129, 191, 192, 194, 196, 197, 349, 530, 533, 544, 546, 627, 628 cod. proc. pen. e art. 133 cod. pen., per avere la Corte d’appello applicato la pena non sui minimi edittali.
3. In udienza, il Procuratore generale Dott. Aldo Policastro ha chiesto che il ricorso sia rigettato. Gli Avv.ti Giovanni Aricò e Alfredo Sorge, nell’interesse degli imputati, hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato con riguardo al terzo motivo di ricorso, ragione per la quale la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli per un nuovo giudizio.
2. Con il primo motivo i ricorrenti si dolgono che la Corte d’appello, nel rigettare l’eccezione preliminare di nullità della sentenza della Corte di cassazione del 22 maggio 2009 per omesso avviso dell’udienza al difensore dell’imputato (essendo stato avvisato l’avv. Camusso, revocato già dal 2004, e non il difensore di fiducia Avv. Alfredo Sorge), abbia applicato in via analogica, e dunque in malam partem, il divieto previsto dall’art. 627, comma 4, cod. proc. pen., evidenziando che, secondo una lettura costituzionalmente orientata della norma, le nullità realizzatesi nel giudizio di cassazione devono potersi ritenersi deducibili entro la pronuncia della sentenza nel successivo giudizio di rinvio; in via subordinata, i ricorrenti hanno sollecitato questa Corte a sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 627, comma 4, cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost..
3.1. Il motivo è infondato.
Secondo il chiaro disposto della norma di cui all’art. 627, comma 4, del codice di rito, “non possono proporsi nel giudizio di rinvio nullità, anche assolute, o inammissibilità, verificatesi nei precedenti giudizi o nel corso delle indagini preliminari”. Ne discende che nel giudizio di rinvio non possono essere dedotte dalle parti né rilevate d’ufficio per la prima volta cause di inutilizzabilità o di nullità concernenti atti formati nelle fasi anteriori del procedimento, atteso che la sentenza della Corte di cassazione, da cui origina il giudizio stesso, determina una preclusione con riguardo a tutte le questioni non attinte dalla decisione di annullamento (ex plurimis Cass. Sez. 6, n. 47564 del 14/11/2013, Tuccillo, Rv. 257470; Sez. 5, n.4115 del 09/12/2009, El Hallal Rv. 246099).
Sulla scorta della delineata regula iuris non è dunque revocabile in dubbio che, nel giudizio di rinvio, non siano deducibili vizi che siano incorsi nei precedenti giudizi, neanche allorché essi riguardino il giudizio celebrato innanzi alla Suprema Corte, come appunto nel caso in oggetto.
Giusta il chiaro disposto dell’art. 627, comma 4, nel giudizio d’appello celebrato innanzi alla Corte partenopea non era pertanto deducibile, in quanto processualmente preclusa, la nullità della notifica dell’avviso di fissazione della udienza del 22 maggio 2009 celebrata innanzi a questa Suprema Corte e del tutto correttamente il giudice a quo si è pronunciato in tale senso sull’eccezione.
3.2. Né, come propone il ricorrente, sarebbe possibile un’interpretazione della norma nel senso di ritenere ammissibile la deduzione nel giudizio di rinvio dei vizi occorsi nella fase celebrata innanzi alla Corte di cassazione.
Ed invero, il dettato normativo – avuto riguardo al senso fatto palese dal significato proprio delle parole usate secondo la connessione di esse (in ossequio al disposto dell’art. 12 delle Preleggi) -, è netto nel precludere la deduzione di qualunque nullità o inammissibilità verificatasi “nei precedenti giudizi”, con ciò segnando un limite invalicabile fra il giudizio di rinvio e tutte le fase processuali ad esso precedenti.
D’altra parte, la preclusione scolpita nell’art. 627, comma 4, costituisce naturale corollario della inoppugnabilità delle sentenze della Corte di cassazione, che – salvo non contengano errori materiali o di fatto emendabili con il mezzo straordinario di cui all’art. 625-bis cod. proc. pen. – coprono il dedotto ed il deducibile e, quindi, anche l’implicita decisione negativa in ordine all’esistenza di eventuali cause di nullità, di inutilizzabilità o di inammissibilità.
Come ha osservato la Corte Costituzionale nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 627, comma 4, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, e 112 della Costituzione, nella parte in cui impedisce di rilevare nel giudizio di rinvio nullità, anche assolute, verificatesi in precedenti fasi o gradi del giudizio, “la norma denunciata risulta pienamente rispondente all’obiettivo di evitare la perpetuazione dei giudizi che costituisce un interesse fondamentale dell’ordinamento e che risponde alla logica che ispira il sistema delle impugnazioni ordinarie rispetto alla quale è incompatibile un controllo del giudice del rinvio circa la sussistenza o meno di vizi in procedendo nella fase del giudizio svoltasi dinanzi alla Corte di cassazione”. Ed invero, “è connaturale al sistema delle impugnazioni ordinarie che vi sia una pronuncia terminale – identificabile positivamente in quella della Cassazione per il ruolo di supremo giudice di legittimità ad essa affidato dalla stessa Costituzione (art. 3, settimo comma) – la quale definisca, nei limiti del giudicato, ogni questione dedotta o deducibile al fine di dare certezza alle situazioni giuridiche controverse e che, quindi, non sia suscettibile di ulteriore sindacato ad opera di un giudice diverso” (C. Cost., ord. del 17/11/2000, n. 501). Nello stesso senso si era, del resto, già pronunciato il giudice delle leggi nel ritenere non fondata, con riferimento agli artt. 3, 24 e 101, comma secondo, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 384 cod. proc. civ., nella parte in cui prevede la soggezione del giudice di rinvio al principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione anche nell’ipotesi in cui una delle parti non abbia potuto, senza sua colpa e contro la sua volontà, esercitare in alcun modo il proprio diritto di difesa nella fase di legittimità. Al riguardo la Corte Costituzionale ha difatti evidenziato che il principio della definitività delle sentenze della Corte di Cassazione – preclusivo, salvo i rimedi straordinari, dell’ulteriore riesame di ogni questione di rito o di merito – è espressivo dell’esigenza di certezza circa i rapporti giuridici controversi, costituzionalmente protetta in quanto direttamente collegabile alla effettività del diritto alla tutela giurisdizionale; che da tale inoppugnabilità consegue che il vincolo derivante al giudice di rinvio dall’affermazione del principio di diritto contenuto nella sentenza di cassazione non può essere rimosso, in assenza della formale caducazione della sentenza medesima, a seguito di un inammissibile controllo da parte dello stesso giudice di rinvio, sulla sussistenza o meno di vizi “in procedendo” nella fase del giudizio di legittimità; che, comunque, il vizio costituito da assoluta violazione del principio del contraddittorio nel corso di tale giudizio – ove non rimediabile attraverso lo strumento della revocazione ex art. 391 bis cod. proc. civ. – potrebbe essere rimosso soltanto attraverso la previsione di idoneo mezzo straordinario di impugnazione che rientra nelle attribuzioni discrezionali del legislatore (C. Cost. sent. 26/6/1996, n. 224).
3.3. In ogni caso, non vi sarebbe comunque spazio per sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 627, comma 4, cod. proc. pen., come richiesto, in via subordinata, dai ricorrenti.
Anche a prescindere dal precedente dictum dei giudici della Consulta nel senso sopra ricordato, la questione proposta si appalesa nel caso di specie non rilevante, atteso che, anche a ritenere possibile la deduzione della nullità verificatasi nel precedente grado di giudizio celebrato innanzi a questa Corte per omessa notifica al difensore – a regime intermedio piuttosto che assoluta poco rileva -, comunque la Corte d’appello, ammessa l’eccezione e rilevatane la fondatezza, non potrebbe mai addivenire ad una pronuncia di annullamento della sentenza della Corte di cassazione con rinvio avanti alla stessa, non essendo tale iter processuale percorribile nell’ambito del nostro ordinamento, giusta il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e l’impossibilità di inquadrare un giudizio di gravame siffatto negli schemi processuali tipici.
4. Il secondo motivo concernente il vizio di notifica gli imputati per l’udienza in appello è manifestamente infondato.
4.1. In primo luogo, le doglianze svolte sul punto dal ricorrente si appalesano generiche laddove non è dato di comprendere le ragioni per le quali dovrebbe ritenersi viziata la notifica del decreto di citazione a giudizio innanzi alla Corte d’appello compiuta al difensore ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen..
L’evidenziata genericità delle censure riverbera di per sé in termini di inammissibilità del ricorso, laddove i motivi di ricorso in cassazione devono essere specifici e quindi, pur nella libertà della loro formulazione, devono indicare con chiarezza le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le censure, al fine di delimitare con precisione l’oggetto del gravame ed evitare, di conseguenza, impugnazioni generiche o meramente dilatorie (Cass. Sez. 6, n. 1770 del 18/12/2012, P.G. in proc. Lombardo, Rv. 254204).
4.2. D’altra parte, deve essere richiamato il principio più volte affermato da questa Corte alla stregua del quale è inammissibile, per difetto di specificità del motivo, il ricorso per cassazione con cui si deduca la nullità della notifica di un atto in quanto effettuata presso il difensore di fiducia, pur in assenza di rituale elezione di domicilio, ove il ricorrente non indichi il concreto pregiudizio derivato dalla mancata conoscenza dell’atto stesso e dal non avvenuto esercizio del diritto di difesa (Cass. Sez. 6, n. 8971 del 21/05/2013, Fanciullo Rv. 255629; Sez. 6, n. 34558 del 10/05/2012, P., Rv. 253276).
4.3. Ad ogni buon conto, l’eventuale nullità della citazione risulta sanata in quanto, per un verso, gli imputati non risultano avere subito alcun concreto pregiudizio, avendo esercitato appieno, a mezzo del loro patrocinatore, il diritto di difesa, per altro verso, l’eccezione non è stata comunque dedotta nel giudizio d’appello.
Come questa Corte ha avuto modo di chiarire anche a Sezioni Unite, è affetta da nullità di ordine generale a regime intermedio la notificazione operata con forme diverse da quelle previste, ove non appaia in astratto, o risulti in concreto, inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte del destinatario e di esercitare il diritto di difesa (Cass. Sez. 4, n. 6211 del 12/11/2009, Calcò, Rv. 246639; Cass. Sez. 2, n. 35345 del 12/05/2010, Rummo Rv. 248401; Sez. U, n. 19602 del 27/03/2008, Micciullo Rv. 239396). Detta nullità di ordine generale a regime intermedio deve ritenersi priva di effetti e quindi sanata se non dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art. 184, comma primo, alle sanatorie generali di cui all’art. 183, alle regole di deducibilità di cui all’art. 182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all’art. 180 cod. proc. pen. (Cass. Sez. U, n. 19602 del 27/03/2008, Micciullo Rv. 239396).
L’eccepita nullità si appalesa pertanto infondata atteso che, per un verso, la notificazione compiuta al difensore era idonea a determinare l’effettiva conoscenza dell’atto da parte dei ricorrenti, tenuto conto del rapporto fiduciario tra difensore e imputati, e nulla essendo stato comunque dedotto in contrario; per altro verso, il difensore comparso all’udienza in appello non ha eccepito la nullità di notifica compiuta agli appellanti presso il proprio studio.
5. Ritiene il Collegio che la sentenza impugnata debba invece essere annullata per difetto di motivazione in relazione al motivo con il quale si è contestata la sussistenza dei presupposti per la lettura delle dichiarazioni della persona offesa Si.Sa. , a norma dell’art. 512 cod. proc. pen., con specifico riguardo all’aspetto della imprevedibilità della irripetibilità delle dichiarazioni stesse.
5.1. Giova rammentare che, con la sentenza del 22 maggio 2009 di annullamento della decisione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 6 giugno 2006 (che aveva ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni rese dalla persona offesa Si.Sa. per il loro carattere auto indiziante), questa Corte, richiamata la propria costante giurisprudenza, ha affermato che dette dichiarazioni potevano essere utilizzate contra alios, atteso che, al momento in cui veniva sentito, Si. non aveva assunto la veste di persona sottoposta ad indagini, dovendosi ancora accertare se il quantitativo di tabacchi da egli detenuto per la vendita superasse o meno il limite per cui è reato. Ne consegue che l’aspetto concernente la qualità soggettiva del dichiarante quale persona offesa piuttosto che di indagato/imputato in procedimento connesso risulta non più sindacabile ai sensi dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., in quanto oggetto della decisione di questa Corte del 22 maggio 2009.
5.2. Ferma l’insussistenza di alcuna preclusione all’acquisizione delle dichiarazioni di Si.Sa. in considerazione della veste di indagato di reato connesso originariamente prospettata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nondimeno il giudice d’appello, prima di procedere all’acquisizione ex art. 512 del codice di rito delle dichiarazioni rese da Si.Sa. , avrebbe dovuto verificare se, avuto riguardo alle specifiche circostanze di fatto al momento in cui venivano raccolte le dichiarazioni e venivano svolte le prime indagini, fosse realmente imprevedibile da parte degli inquirenti l’impossibile ripetizione delle dichiarazioni nella sede dibattimentale.
Ed invero, l’utilizzazione, previa lettura, delle dichiarazioni predibattimentali di un soggetto divenuto successivamente irreperibile, in funzione di provare la colpevolezza dell’imputato presuppone, da parte del giudice, un rigoroso accertamento sulla causa dell’irreperibilità, in modo da escludere che essa dipenda dalla volontà di sottrarsi all’esame dibattimentale (Cass. Sez. 6, n. 12374 del 11/02/2013, Tiani e altro, Rv. 255390). Come questa Corte ha sancito a Sezioni Unite, ai fini dell’operatività (art. 526, comma primo, bis cod. proc. pen.) del divieto di provare la colpevolezza dell’imputato sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame dell’imputato o del suo difensore, non è necessaria la prova di una specifica volontà di sottrarsi al contraddittorio, ma è sufficiente – in conformità ai principi convenzionali (art. 6 CEDU) – la volontarietà dell’assenza del teste determinata da una qualsiasi libera scelta, sempre che non vi siano elementi esterni che escludano una sua libera determinazione (Cass. Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010, D. F., Rv. 250198).
5.3. D’altra parte, se costituisce principio di diritto ormai consolidato quello secondo il quale non può dirsi prevedibile l’irreperibilità in dibattimento del soggetto dichiarante per il solo fatto che questi sia un cittadino extracomunitario privo di permesso di soggiorno (ex plurimis Cass. Sez. 2, n. 14850 del 4/3/2009, Del Gaudio Rv. 244055), tuttavia, le circostanze di fatto sussistenti nel caso di specie, bene evidenziate nell’atto d’appello (e riprodotte nelle pagine 11 e seguenti del ricorso), avrebbero dovuto indurre la Corte territoriale a verificare in modo approfondito se la sopravvenuta impossibilità di ripetizione delle dichiarazioni di Sa.Sa. nella sede dibattimentale fosse effettivamente imprevedibile in tale fase pre-processuale.
Ed invero, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, condizione essenziale per la legittima lettura, ex art. 512 cod. proc. pen., delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari da persone informate dei fatti è che la loro impossibilità di ripetizione sia dovuta a fatti o circostanze imprevedibili (Cass. Sez. 6, n. 14550 del 30/01/2004, Danesi, Rv. 229241). L’imprevedibilità va valutata con riferimento alle conoscenze di cui la stessa parte poteva disporre fino alla scadenza del termine entro il quale avrebbe potuto chiedere l’incidente probatorio (Cass. Sez. 3, n. 25110 del 13/02/2007, La Tela, Rv. 236962).
in particolare, questo giudice di legittimità ha ritenuto che, nel caso di dichiarazioni pre-dibattimentali rese da un cittadina extracomunitario non in regola con il permesso di soggiorno, che fornisca solo una residenza rivelatas, sin da subito inesistente, essendo estremamente probabile, se non certa, la futura impossibilità di reperimento, costituisce diritto-dovere per il P.M. procedente di richiedere l’incidente probatorio (Cass. Sez. 6, n. 14550 del 30/01/2004, Danesi, Rv. 229241).
Allorché sussista un fondato motivo per ritenere non ripetibili nel dibattimento le dichiarazioni di una persona informata dei fatti, il pubblico ministero è dunque tenuto a chiedere l’incidente probatorio allo scopo di cristallizzare le dichiarazioni del teste, con la conseguenza che, in caso di impossibilità di assumere le dichiarazioni in incidente probatorio per impossibilità di reperire il testimone, verrà certificata per tabulas una situazione di impossibilità sopravvenuta di ripetizione, legittimante, vista la diligente e tempestiva attivazione dell’inquirente, la lettura delle dichiarazioni assunte in indagini.
5.4. Tirando le fila di quanto sopra, ritiene il Collegio che i giudici di merito non abbiano adeguatamente motivato in ordine alla ragione per la quale si possa ritenere che, al momento in cui il pubblico ministero era ancora in tempo per chiedere l’esperimento dell’incidente probatorio, fosse imprevedibile l’irreperibilità a dibattimento di un soggetto, come Si.Sa. , del tutto privo di documenti, che aveva indicato un domicilio di residenza risultato inesistente e si era reso irreperibile pochi giorni dal fatto.
6. Gli ulteriori motivi sono assorbiti.

 

P.Q.M.

 
annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli per nuovo giudizio.

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