Ticket medico

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 20 gennaio 2014, n. 2301

Ritenuto in fatto

1. L.P. , M.D. e C.C. ricorrono, a mezzo dei loro difensori, avverso la sentenza 14 dicembre 2012 della Corte di appello di Roma che, in parziale riforma della decisione 12 luglio 2010 del Tribunale di Roma, ha confermato la responsabilità degli accusati, riconosciuta l’attenuante ex art. 323 bis cod. pen. ha ridotto la pena nonché l’ammontare della provvisionale.
2. Gli imputati sono stati condannati in relazione ai capi di imputazione A, B, C, D, E, e G, che seguono:
2.1. C.C. , dei reati di cui ai capi: A) artt. 81-314 cod. pen. perché, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, quale impiegata della ASL RM/A, addetta all’Ufficio del IV distretto che operava il rimborso delle somme oggetto del tickets sanitari pagati dai pazienti per prestazioni poi non rese, disponendo illecitamente il rimborso di tickets relativi a prestazioni in effetti avvenute si appropriava delle corrispondenti somme di denaro delle quali aveva la disponibilità per il complessivo importo di Euro 4.298,07 pari a 106 rimborsi illecitamente disposti In (OMISSIS) ; B) artt. 81, 61 n 2,4 79 cp. perché, al fine di commettere i reati di cui al capo A), in esecuzione del medesimo disegno criminoso, nella qualità di cui al capo A), predisponeva n. 106 false attestazioni di rimborso di tickets. pagati, nelle quali si dava implicitamente atto,contrariamente al vero, della mancata effettuazione delle prestazioni oggetto dei tickets. In (omissis) .
2.2 L.P. dei reati di cui ai capi: C) art. 81-314 cp perché, in esecuzione del medesimo disegno criminoso quale impiegato della ASL A, addetto all’ufficio del IV distretto che operava il rimborso delle somme oggetto dei tickets sanitari pagati da pazienti per prestazioni poi non rese, disponendo illecitamente il rimborso di tickets relativi a prestazioni in effetti avvenute, si appropriava delle corrispondenti somme di denaro, delle quali aveva la disponibilità per un importo complessivo di Euro 9.329,43 pari a 210 rimborsi illecitamente disposti In Roma nell’anno 2005; D) artt. 81, 61 n.2, 479 cp. perché, al fine di commettere i reati di cui al capo C), in esecuzione del medesimo disegno criminoso, nella qualità di cui al capo C, predisponeva 210 false attestazioni di rimborso di tickets pagati nelle quali si dava implicitamente atto, contrariamente al vero, della mancata effettuazione delle prestazioni oggetto dei tickets In (OMISSIS) ;
2.3 M.D. dei reati di cui ai capi: E) artt. 81-314 cp perché, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, quale impiegata della ASL RM/A, addetta all’ufficio del IV distretto che operava il rimborso delle somme oggetto dei tickets sanitari pagati da pazienti per prestazioni poi non rese, disponendo illecitamente il rimborso di tickets relativi a prestazioni in effetti avvenute, si appropriava delle corrispondenti somme di denaro, delle quali aveva la disponibilità per un importo complessivo di Euro 7.526,26 pari a 162 rimborsi illecitamente disposti. In Roma nell’anno 2005; G) artt. 81, 61 n. 2, 479 cp, perché, al fine di commettere il reato di cui al capo E), in esecuzione del medesimo disegno criminoso, nella qualità di cui al capo E), predisponeva n. 162 false attestazioni di rimborso di tickets pagati nelle quali si dava implicitamente atto, contrariamente al vero, della mancata effettuazione delle prestazioni oggetto dei tickets. In (OMISSIS) .
3. L’accusa è pertanto duplice ed è consistita, per ciascuno degli accusati: nel fatto di aver disposto illecitamente il rimborso di tickets, relativi a prestazioni effettivamente avvenute, con appropriazione delle corrispondenti somme di denaro, e di aver redatto false attestazioni di rimborso di tickets, pagati dai pazienti, nelle quali si dava implicitamente atto, contrariamente al vero, della mancata effettuazione delle prestazioni per cui era stato versato il ticket.
4. Con sentenza 12 luglio 2010 il Tribunale di Roma ha ritenuto la colpevolezza dei tre accusati.
5. Con sentenza 14 dicembre 2012, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della decisione del primo giudice, ha confermato la responsabilità degli accusati, e, riconosciuta l’attenuante ex art. 323 bis cod. pen., ha ridotto per tutti la pena nonché l’ammontare della provvisionale.

Considerato in diritto

1. Con un primo motivo di impugnazione il L. , personalmente, deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge, in relazione agli artt. 530 comma 2 e 533 comma 1 cod. proc. pen..
2. Il ricorso, riprendendo sostanzialmente sul punto la critica dell’appello, individua la lacuna probatoria che avrebbe consentito la pronuncia di responsabilità, in quanto le indagini interne, svolte dalla S.G. , erano incomplete e lacunose, essendo stata limitata ai ed “registri di sala”, mentre non vi era prova certa della riconducibilità delle operazioni di rimborso proprio all’imputato, che aveva fatto solo la prenotazione, tenuto conto dei malfunzionamenti, all’epoca, del sistema informatico, che consentiva con facilità il rinnovo delle password di accesso in caso di blocco del sistema; poco affidabile era stato il teste A. , che addirittura aveva negato di aver svolto controlli personali sui rimborsi e si era mostrato chiaramente reticente; il M.llo Ma. poi, in realtà, si era limitato a prendere atto di quanto riferitogli dalla G. .
In ogni caso si sostiene: che la sentenza non avrebbe ricostruito con esattezza l’iter amministrativo previsto per usufruire delle prestazioni fuori sede e, successivamente quello per ottenere il rimborso; che, mancando gli originali delle ricevute, difetterebbe il decisivo elemento della mancanza della dichiarazione del paziente redatta e sottoscritta in calce al foglio di prenotazione: da ciò l’incertezza del giudizio di colpevolezza.
3. Con un secondo motivo si lamenta violazione di legge per erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 507 cod. proc. pen. sul punto della omessa acquisizione dei “Registri di sala”.
4. Con un terzo motivo si eccepisce a sensi dell’art. 606.1 lettera d) C.P.P. la mancata assunzione di prova decisiva, costituita da una consulenza tecnica d’ufficio per verificare la criticità del sistema informatico.
5. La difesa di M.D. propone un unico motivo di impugnazione nel quale si prospetta vizio di motivazione in ordine alla decisione di responsabilità per i capi A) e B), posto che i giudici di merito non avrebbero spiegato l’avvenuta predisposizione delle 162 false attestazioni funzionali al delitto di peculato, tenuto conto del mancato rinvenimento dei “fogli di prenotazione” in calce ai quali secondo la procedura del C.U.P. doveva essere apposta (da parte dei pazienti richiedenti il rimborso di prestazioni sanitarie non godute) l’autocertificazione scritta concernente la mancata effettuazione delle dette prestazioni, oggetto della contestata falsificazione.
Si tratterebbe di fogli non ricercati né rinvenuti. Né soccorrerebbe in proposito l’indagine a campione la quale non poteva escludere l’ipotesi di pazienti che, pur avendo fruito della prestazione, e falsamente dichiarando di non averla avuta, avevano comunque sollecitato il rimborso del ticket pagato.
Da ciò la richiesta di annullamento della gravata sentenza.
6. La difesa di C.C. propone due motivi di impugnazione.
6.1. Con un primo motivo di impugnazione viene dedotto vizio di motivazione sotto il profilo della carenza e della manifesta illogicità in ordine alla ritenuta prova della attribuibilità delle operazioni di rimborso indebitamente effettuate alla ricorrente.
In particolare non sarebbero sufficienti per la pronuncia di responsabilità “alcune interviste telefoniche” della S.G. , né la riconducibilità di alcune richieste alla password dell’imputata tenuto conto della mancata prova della efficienza del sistema computeristico.
6.2 Con un secondo motivo si lamenta carenza grafica della motivazione sulla circostanza, lamentata in appello, che nessuno dei beneficiari delle prestazioni sia stato escusso in dibattimento e che il Tribunale abbia ritenuto irrilevante la deposizione del teste Ma. (questione questa peraltro espressamente trattata dai giudici di merito, con una precisa argomentazione ignorata dal ricorrente).
7. Tanto premesso, ritiene questa Corte che i ricorsi, come rilevato dal Procuratore generale, non superino il vaglio dell’ammissibilità.
Invero essi si connotano dal comune ed evidente intento di prospettare, in questa sede di legittimità, una rivalutazione dei dati probatori che sono stati prima analiticamente accertati, poi complessivamente assemblati ed infine ragionevolmente correlati dai giudici di merito, attraverso un doppio articolato e conforme giudizio in punto di responsabilità, fondato su di una trama argomentativa, coerente e logica, indenne da invalidità o vizi, apprezzabili nel quadro della patologia della decisione e della conseguente pronuncia di responsabilità.
8. Alla affermazione di colpevolezza si è infatti giunti sulla base delle deposizioni dibattimentali, con deposito di documentazione sulle indagini interne effettuate, rese dalla Dirigente del quarto distretto della ASL A di Roma, S.G.M.V. , dal coordinatore dell’ufficio Centro Unico Prenotazioni A.P. e dal Milo CC Ma. .
9. Dalla deposizione della S.G. era infatti emerso che a seguito di un controllo nel proprio settore di competenza, la stessa aveva rilevato che al Centro Unico Prenotazioni erano stati effettuati taluni rimborsi non in linea con quelli dei mesi precedenti. In particolare, si trattava di rimborsi per prestazioni che sembravano non essere avvenute mentre, in realtà, erano state effettuate e, dunque, non dovevano essere rimborsate. Tutti i suddetti rimborsi anomali erano riconducibili, attraverso le password di accesso alla procedura informatica, a tre dipendenti, poi identificati negli odierni imputati, i quali lavoravano, tutti, alle casse del CUP.
10. La testimone ha sostenuto che. al fine di accertare la irregolarità dei rimborsi, nonché gli operatori che li effettuarono, venne svolta una indagine ispettiva all’esito della quale emerse, con assoluta certezza, che gli esami clinici e di laboratorio cui facevano riferimento le ricette emesse, riguardavano prestazioni già rese (analisi, esami radiografici ed altro) e che l’identificazione degli operatori era stata raggiunta attraverso le rispettive password di accesso al sistema informatico, chiavi di accesso aventi carattere strettamente personale e non cedibile, anche a seguito di apposito ordine di servizio in tal senso.
11. La S.G. aveva spiegato la procedura regolare del rimborso che viene effettuato allorquando per motivi svariati, ma comunque documentati, la prestazione autorizzata dalla ASL non viene effettuata dal paziente presso la struttura in questione. In tal caso, lo stesso paziente si presenta con il foglio di prenotazione presso lo sportello del CUP e, in calce allo stesso foglio, dichiara di non avere usufruito della prestazione; inoltre, restituisce la ricevuta di pagamento in originale che viene allegata alla copia che pure resta in possesso del CUP – ed ottiene, così, il rimborso.
12. Nel caso di specie la teste riferiva che non erano stati ritrovati gli originali delle ricevute di pagamento e da tale circostanza era stato possibile desumere che le persone cui si riferivano le ricevute, in realtà non si erano mai presentate per il rimborso, perché evidentemente avevano già effettuato l’esame; peraltro, le ricevute portavano le passwords degli operatori che avevano effettuato la prestazione e queste corrispondevano agli odierni imputati i quali, infatti, nei giorni corrispondenti ai rimborso risultavano presenti in ufficio. La teste aveva riferito che il controllo interno si era svolto, inoltre, sui c.d. registri di sala, laddove vengono annotate tutte le prestazioni svolte presso la struttura pubblica; si era proceduto altresì a contattare telefonicamente buona parte dei soggetti che risultavano aver presentato la domanda di rimborso, i quali avevano confermato di avere usufruito della prestazione e di non avere chiesto alcun rimborso.
13. A.P. , coordinatore del citato Centro Prenotazioni del quarto distretto della Asl, confermava che all’epoca dei fatti era stato contattato dalla dirigente, S.G. , la quale aveva notato delle operazioni sospette riguardo al CUP di sua pertinenza. Hanno osservato i giudici di merito che il teste, inizialmente poco collaborativo, su specifica sollecitazione dell’accusa, dopo aver visionato la documentazione in atti, aveva dichiarato di avere proceduto personalmente ai controlli dei rimborsi, evidenziando quelli irregolari perché mancanti delle ricevute le quali, proprio in caso di rimborso, dovevano essere presenti presso il CUP, sia in originale sia in copia.
14. Anche l’A. aveva ricostruito l’iter seguito presso il CUP della ASL in caso di prenotazione precisando che, a tal fine, vengono rilasciate due ricevute: una resta all’utente in originale e l’altra va consegnata al medico che effettuerà la prestazione; se la prestazione viene effettuata il medico trattiene la ricevuta sicché in mano all’utente ne resta solo una, in originale, necessaria ai fini del rimborso fiscale.
15. Ad ulteriore conferma delle dichiarazioni acquisite, era stato escusso il M.llo Ma.Lu. il quale ha dichiarato di aver assunto sommarie informazioni dalle persone che apparivano beneficiane di un rimborso e che invece risultarono aver effettuato la prestazione presso la ASL e pertanto, erano privi della ricevuta originale. Lo stesso teste inoltre, ha precisato di avere accertato, tramite la documentazione relativa ai rimborsi irregolari, il nominativo dell’operatore che effettuò il rimborso: “è univoco, sul foglio del rimborso c’è un codice alfanumerico dove c’è scritto rimborso numero, poi una sigla alfanumerica che è quella che indica numericamente l’operatore…” (cfr. pag. 40 del verbale delle trascrizioni relative alla udienza del 6/11/2009 poi confermate il 19/5/2010). Da tale riscontro gli operatori che avevano posto in essere i rimborsi irregolari erano L. , M. e C. , odierni imputati. Risultarono, in particolare, 106 rimborsi irregolari per C. , 210 rimborsi irregolari per L. , 162 rimborsi irregolari per M. , per un ammontare complessivo pari ad Euro 21.153,76.
15. In definitiva -avuto riguardo alle convergenti argomentazioni dianzi precisate nei p. da “8” a “15”- si tratta di un complesso unitario e coordinato di vantazioni ed apprezzamenti che resistono alle comuni e personali critiche dei ricorrenti i quali talora sembrano ignorare e non si confrontano con la specifica risposta già data dai giudici di merito alle singole doglianze, ad esempio, in tema di “malfunzionamento informatico”, “carenza di indagini”, “originali delle ricevute”, “fogli di prenotazione e registri di sala” e si limitano ad opporre una loro diversa, non consentita, “benevola rilettura” delle emergenze processuali.
In altre parole, nella motivazione dei giudici della condanna, non è ravvisabile alcun vizio logico di natura testuale idoneo a produrre contraddittorietà per contrasto tra le premesse (due diverse ricostruzioni del fatto o l’adozione di regole d’inferenza confliggenti), oppure tra le premesse e la conclusione; né, tanto meno, è ragionevolmente sostenibile una distorsione di dati processuali e documentali, considerato che nessun travisamento della prova appare realizzato e che le diverse tesi avanzate si risolvono nella prospettazione di una “mirata rilettura” di quegli elementi di fatto che sono stati posti a fondamento della decisione, nonché nella autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché delineati come maggiormente plausibili, oppure perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta si è in concreto esplicata.
I ricorsi vanno pertanto dichiarati inammissibili con condanna dei ricorrenti alle spese del processo e, ciascuno, alla somma che si ritiene equa di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro. 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

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