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La massima

E’ configurabile il reato di cui all’art. 351 c.p. e non quello di peculato tutte le volte in cui vi sia contestualità cronologica tra un’appropriazione soltanto temporanea, quale mero antecedente modale del fatto di sottrazione, e la coeva sottrazione (o soppressione o distruzione o dispersione) di atti o documenti della P.A. in disponibilità – per motivi di ufficio – di un pubblico ufficiale nonché tutte le volte in cui l’azione di questi risulti indotta dal solo obiettivo di violare la pubblica custodia di tali atti o documenti, senza alcun intento di appropriarsene per qualche motivo o di consentire che altri se ne approprino. (Nella specie, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza impugnata e, qualificato il fatto ex art. 351 c.p., ha ritenuto penalmente responsabile l’impiegato della Motorizzazione Civile che, avendo in ragione della sua qualità di pubblico ufficiale il possesso della carta di circolazione, in violazione dei suoi doveri funzionali, ha consegnato l’atto depositato nel suo ufficio ad un utente privato).

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI

SENTENZA 16 gennaio 2013, n.  2278

Omissis…

Motivi della decisione

 

1. Svolte indagini preliminari, il procedente pubblico ministero presso il Tribunale di Lecce ha esercitato l’azione penale, richiedendone il rinvio a giudizio, nei confronti di T.O.D. , impiegato dell’ufficio provinciale della Motorizzazione Civile di Lecce, in ordine al delitto di peculato per essersi impossessato della carta di circolazione di un’autovettura Ford Focus ritirata il (OMISSIS) dalla p.g. a tal F..P. per omesso aggiornamento dell’avvenuto trasferimento di proprietà e inviata al locale ufficio della M.C.T.C. ai sensi dell’art. 94 co. 5 del codice stradale. Carta di circolazione che T. , addetto al servizio informazioni dell’ufficio pubblico, consegnava a M.C. , nuovo proprietario del veicolo Ford, perché curasse – con il supporto di ulteriori atti da lui esibiti al funzionario – la regolarizzazione dei dati della stessa carta (titolarità del veicolo) presso altro servizio (“sportello”) dell’ufficio assegnato a tale incombente. Regolarizzazione non perfezionata dal M. che tratteneva arbitrariamente la carta di circolazione non aggiornata, utilizzandola o facendola utilizzare per l’uso della vettura Ford e così “procurandosi l’ingiusto vantaggio patrimoniale rappresentato dalla omissione delle spese necessarie per le annotazioni sui passaggi di proprietà” di autoveicoli.

Accusa scaturita anche dalla trasmissione in Procura degli atti relativi alla posizione del T. disposta dal Tribunale di Lecce sezione di Campi Salentina con la sentenza affermativa della penale responsabilità del citato C..M. , “in concorso con T.O. ” (avendo il M. asserito di aver ricevuto la carta di circolazione proprio dal T. ), per il reato di cui all’art. 351 c.p., così diversamente qualificato il fatto in origine ascritto al M. a titolo di ricettazione della carta di circolazione con dati non aggiornati giacente presso la M.C.T.C. di Lecce.

Il procedente p.m. salentino ha ritenuto di dover sussumere la “concorsuale” condotta del T. nella fattispecie del peculato ex art. 314 co. 1 c.p. e non già in quella sanzionata dall’art. 351 c.p. attribuita al M. dalla menzionata sentenza.

2. All’esito dell’udienza preliminare il g.u.p. del Tribunale di Lecce ha emesso sentenza ex art. 425 c.p.p., con cui ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti del T. con la formula del fatto non costituente reato in ordine alla fattispecie di cui all’art. 351 c.p., così “riqualificata” l’imputazione di peculato elevata dal p.m..

Muovendo dal dato storico incontroverso secondo cui è stato il funzionario della M.C. T. a consegnare al M. la carta di circolazione da aggiornare, il g.u.p. è giunto all’indicata conclusione liberatoria attraverso i seguenti passaggi argomentativi:

a) come si desume anche dalle emergenze del giudizio svoltosi nei confronti del M. , T. gli ha usato al M. “la cortesia di consegnargli materialmente la carta di circolazione” per consentirgli di regolarizzare le annotazioni sul documento;

b) T. ha ciò fatto in base alla “fiducia” accordata al M. , conosciuto presso l’ufficio della M.C. da lui assiduamente frequentato – in qualità di rivenditore di autoveicoli – per il “disbrigo di pratiche automobilistiche”, avendo constatato che il M. era in possesso degli atti (copia degli atti di vendita della vettura) occorrenti per regolarizzare la carta di circolazione “ritirata” dalla p.g. e confidando che lo stesso avrebbe provveduto subito a “far annotare il trasferimento di proprietà sulla carta di circolazione, nel medesimo contesto temporale, presso altro apposito sportello” della M.C.;

c) l’accusa di peculato mossa al T. per essersi impossessato della carta di circolazione in sua disponibilità (dell’ufficio della M.C.) onde assicurare al M. l’ingiusto vantaggio patrimoniale rappresentato dal mancato pagamento delle spese per l’aggiornamento della carta di circolazione è infondato, perché difettano dati probatori (insuscettibili di essere sviluppati in un eventuale dibattimento) che il T. sia stato consapevole ab initio della condotta poi in concreto tenuta dal M. , che ha trattenuto la carta di circolazione non curandone l’aggiornamento;

d) in tesi il fatto ascritto al T. va sussunto nella fattispecie di cui all’art. 351 c.p., già contestata al M. , in quanto obiettivamente la condotta del T. “ha prodotto la sottrazione ad opera del M. della carta di circolazione alla Motorizzazione Civile che ne aveva la pubblica custodia”, ma – se non vi sono dubbi sul carattere doloso dell’azione del M. – altrettanto non può sostenersi per il T. , per il quale risulta “al più un comportamento negligente, di mancato controllo circa le reali intenzioni e possibilità del M. di procedere all’aggiornamento del documento nello stesso contesto temporale e presso lo sportello competente”, dovendosi – quindi – dedurre la “mancanza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 351 c.p. attribuibile all’imputato”.

3. Avverso la sentenza di non luogo a procedere ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce, deducendo violazione di legge e illogicità della motivazione in riferimento all’erronea applicazione dell’art. 314 c.p. o – in subordine – del ritenuto art. 351 c.p. e formulando i seguenti rilievi.

T. ha ammesso di aver consegnato al M. il documento di circolazione, di cui aveva il possesso in ragione della sua qualità di pubblico ufficiale in servizio presso l’ufficio della M.C. di Lecce. Così operando ha violato i suoi doveri funzionali, che non gli consentivano di consegnare l’atto (carta di circolazione) depositato nel suo ufficio a un utente privato. Ad avviso del g.u.p. egli avrebbe agito per un semplice atto di cortesia verso l’utente. Ma il concetto di cortesia applicato alla violazione dei doveri di un pubblico ufficiale è improprio e non previsto da alcuna norma di diritto pubblico.

La consegna di un documento custodito in un ufficio pubblico a un privato è già di per sé un atto illecito. Sicché è incongruo l’assunto del decidente sulla impossibilità di stabilire se l’imputato sia stato conscio del successivo contegno appropriativo del documento attuato dal M. . L’eventuale prevista restituzione del documento (per quanto addotto dal T. ) e le effettive intenzioni dell’utente privato sono evenienze ininfluenti rispetto alla già avvenuta consumazione dell’illecito con la consegna del documento al privato da parte del pubblico ufficiale. Ed in ogni caso giammai il privato avrebbe comunque potuto provvedere di persona ad aggiornare la carta di circolazione, trattandosi di attività riservata alla pubblica amministrazione.

Indubbio delineandosi il vantaggio patrimoniale conseguito dal M. (non paga le spese di aggiornamento e utilizza la carta di circolazione), il reato configurabile nella condotta del T. appare essere quello di peculato. Ma, “quand’anche si volesse negare consistenza patrimoniale al documento illecitamente consegnato al privato dal pubblico ufficiale”, nel caso di specie ricorrerebbe in modo pacifico il reato di cui all’art. 351 c.p. per il quale è stato già condannato il M. .

4. L’impugnazione del Procuratore della Repubblica di Lecce va accolta, nei limiti di cui in narrativa, limitatamente alla ipotesi criminosa della violazione della pubblica custodia di atto custodito in un pubblico ufficio ex art. 351 c.p., alla cui stregua il giudice di merito ha giuridicamente definito la condotta materiale dell’imputato.

4.1. Sgombrato il campo da alcune imprecisioni del ricorso sulla cronologia degli eventi che hanno portato all’accertamento del fatto oggetto di imputazione (carta di circolazione trovata dalla p.g., dopo l’iniziale ritiro e invio alla M.C. del 19.1.2008, in possesso l’1.10.2008 di G..C. , cognato di M.C. e cessionario dell’auto Ford), va subito chiarito che – diversamente da quel che suppone il p.m. ricorrente – l’accusa mossa al T. non concerne l’eventualità che il M. , privato prenditore – ricevitore della carta di circolazione, dovesse o potesse procedere di persona alla correzione e aggiornamento della carta, apponendovi ad libitum i dati sui vari passaggi di proprietà del veicolo. Per quel che si desume dalla ricostruzione degli eventi offerta dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso, il T. ha consegnato la carta di circolazione al M. unicamente per portarla ad altro funzionario dell’ufficio pubblico (“altro sportello” della M.C.) perché questi e non certo lo stesso M. provvedesse – visionati gli atti recati dal privato – alle corrette annotazioni sul documento. Il M. , sfruttando la conseguita momentanea consegna del documento, lo ha trattenuto, omettendo di farlo aggiornare e consegnandolo al nuovo acquirente della vettura Ford, che ne ha fatto uso per circolare con l’autovettura Ford.

4.2. Tanto chiarito, è corretto l’inquadramento della condotta del T. nella fattispecie di cui all’art. 351 c.p. operato dal giudice di merito, che ha in tal modo qualificato l’originaria accusa di peculato. Al riguardo giova precisare che né la natura comune del reato previsto dall’art. 351 c.p. (“chiunque sottrae…”), né la sua collocazione sistematica (nel capo dei delitti dei privati contro la P.A.) ostano a ritenere commissibile la violazione della pubblica custodia di atti o cose anche da parte di un soggetto intraneo alla pubblica amministrazione (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio). Con l’ovvio effetto che, nel caso in cui la condotta illecita sia realizzata con abuso di poteri o in violazione di doveri funzionali, il reato previsto dall’art. 351 c.p. è aggravato dalla circostanza di cui all’art. 61 n. 9 c.p..

Ai fini della individuazione degli elementi differenziali tra le due fattispecie in questione non assume rilievo, nel caso per cui è ricorso, il solo valore patrimoniale o non del documento o della cosa sottratti alla custodia di un pubblico ufficio. Profilo su cui, invece, sembra soffermarsi il ricorrente p.m. a sostegno dell’ipotesi del peculato, rimarcando il vantaggio patrimoniale conseguito dal M. con l’indebito uso della carta di circolazione irregolare. Non è dubitabile, infatti, che l’oggetto materiale del peculato possa essere integrato, oltre che dal denaro, da una cosa mobile o da un documento ad “altri” appartenenti che, pur privi di intrinseco o apprezzabile valore economico, possano acquistare una maggiore o minore rilevanza pecuniaria proprio per l’uso che ne faccia il soggetto agente (v., ex plurimis, da ultimo: Cass. Sez. 6, 14.12.2011 n. 25571/12, Padi, rv. 253014). Ciò è proprio quanto è avvenuto nel caso del M. , che con la disponibilità del documento di circolazione ha lucrato il controvalore dell’omesso pagamento dei diritti e delle spese di regolarizzazione della carta.

Ma questo è soltanto un effetto indiretto della condotta di sottrazione del documento di circolazione attuata dal M. che si inscrive nel concorrente contegno di previa violata pubblica custodia ascrivibile al T. , perché il discrimine tra il reato di peculato e quello di violazione della pubblica custodia di cose risiede nelle modalità e finalità dell’azione appropriativa della cosa o del documento, quali valutabili dal giudice di merito attraverso la lineare ricomposizione di tutti i segmenti della condotta e dell’atteggiamento soggettivo dell’agente. Come già chiarito da questa Corte regolatrice, deve ritenersi sussistente il reato di cui all’art. 351 c.p. e non quello di peculato, tutte le volte in cui vi sia contestualità cronologica tra un’appropriazione soltanto temporanea, quale mero antecedente modale del fatto di sottrazione, e la coeva sottrazione (o soppressione o distruzione o dispersione) di atti o documenti della P.A. in disponibilità – per motivi di ufficio – di un pubblico ufficiale nonché tutte le volte in cui l’azione di questi risulti indotta dal solo obiettivo di violare la pubblica custodia di tali atti o documenti, senza alcun intento di impropriarsene per qualche motivo o di consentire che altri se li approprino (Cass. Sez. 6,28.4.1993 n. 10733, Salerno, rv. 214617).

4.3. Ai descritti criteri ermeneutici appare informata la decisione del g.u.p. nella operata qualificazione del fatto ascritto al T. ai sensi dell’art. di cui all’art. 351 c.p..

La decisione liberatoria per il T. è stata assunta per mancanza di prova dell’elemento soggettivo di tale reato e della ritenuta non integrabilità di tale profilo della condotta criminosa attraverso una eventuale istruzione dibattimentale.

Ed è specificamente per tale aspetto che deve considerarsi fondato il ricorso del pubblico ministero, avuto riguardo alla sommarietà e incompletezza dell’analisi al riguardo sviluppata dalla decisione di improcedibilità ex art. 425 c.p.p.. Il richiamo al gesto di cortesia che avrebbe compiuto il T. e che di per sé eliderebbe il dolo del reato di cui all’art. 351 c.p. è senz’altro insufficiente – come si osserva nel ricorso nel p.m. – ai fini di un convincente giudizio di insostenibilità dell’accusa in giudizio (art. 425 co. 3 c.p.p.) e certo non esaurisce l’indagine sul dolo connesso all’azione antigiuridica dell’imputato, che ha realizzato – come non dubita lo stesso decidente – la materialità del reato di violata custodia di un atto presente nell’ufficio pubblico del T. ed a lui accessibile in ragione delle sue funzioni pubbliche. E ciò non soltanto per la scarsa pertinenza e genericità della nozione di cortesia evocata dalla sentenza e criticata dal ricorrente p.m. in quanto non idonea a fungere da discrimine della apprezzabilità penale della osservanza o meno dei doveri funzionali di un pubblico ufficiale.

4.4. Innanzitutto il g.u.p., appagandosi della esaustività descrittiva del contegno psicologico del T. delineata dalla supposta causa di cortesia del suo gesto verso un utente privato solito frequentare per lavoro la Motorizzazione Civile (cui consegna una carta di circolazione “ritirata” perché irregolare), ha tralasciato di svolgere ogni indagine sulle cause giustificanti siffatta cortesia e di porle in collegamento con l’ambito dei poteri e dei doveri di ufficio propri della pubblica funzione ricoperta dall’imputato. Omettendo di verificare – quindi – la compatibilità dell’agire in ipotesi “non malizioso” del T. (cortesia) con il doveroso rispetto dei suoi doveri istituzionali e con l’ambito di loro eventuale “elasticità” esecutiva in seno all’ufficio della M.C. – di Lecce (v., incidenter; Cass. Sez. 2, 17.6.2010 n. 33703, Frosini, rv. 248614). Non è revocabile in dubbio, infatti, che – in assenza di altri dati di giudizio (non vagliati dal g.u.p.) – il garbo e lo spirito di cortesia verso gli utenti non valgono a legittimare la violazione di qualsiasi dovere del pubblico ufficiale connesso alla “custodia” degli atti di ufficio o a permetterne sempre un’interpretazione flessibile pur nel quadro della discrezionalità riconoscibile al normale agire di un funzionario pubblico. Non si è curato il g.u.p. di accertare, ad esempio, per quale specifica ragione il T. non si sia attivato, pur spinto da cortesia, per consegnare lui stesso la carta di circolazione da regolarizzare al collega di ufficio preposto a tal genere di incombente, a costui indirizzando l’utente M. , cui ha invece creduto di poter affidare la carta di circolazione (pubblica certificazione custodita in un ufficio pubblico), confidando sulla sua correttezza.

Il reato di violazione di pubblica custodia di atti o cose è, del resto, connotato dal dolo generico e per il suo perfezionamento non si richiede una specifica finalità di sottrazione o dispersione del documento pubblico. Il bene giuridico protetto dall’art. 351 c.p. è costituito dall’interesse della pubblica amministrazione a salvaguardare la peculiare custodia ufficiale di atti e cose mobili conservate in un ufficio pubblico.

Nel caso della sottrazione il reato, avente natura istantanea, è realizzato anche con la semplice temporanea rimozione della cosa o dell’atto dal luogo (ufficio pubblico accessibile ad un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) in cui essi si trovano “custoditi” ed indipendentemente dallo scopo che abbia determinato l’azione ablativa (cortesia, scarsa operosità, negligenza, ecc.). La “particolarità” della custodia di cui alla norma incriminatrice non attiene al luogo, alla forma o al modo più o meno scrupoloso con cui detta custodia è esercitata, ma alla natura della cosa o dell’atto e alla sua destinazione o connessione funzionale con l’attività specifica propria del settore o comparto della P.A. di riferimento. La carta di circolazione ritirata dalla p.g. e oggetto del reato contestato al T. era custodita “particolarmente” presso la M.C.T.C. di Lecce, questo soltanto essendo l’ufficio pubblico competente per procedere alla regolarizzazione dell’atto e alla rettificazione dei dati in esso riportati.

4.5. In secondo e congiunto luogo la sentenza impugnata non ha in alcun modo chiarito le ragioni per le quali un’eventuale istruttoria dibattimentale nel contraddittorio delle parti non sarebbe stata in grado di fornire più estesi elementi conoscitivi idonei a superare le ragioni di dubbio alimentate sui coefficienti di riconoscibilità del dolo del reato di cui all’art. 351 c.p..

L’assunto del g.u.p. secondo cui il dibattimento non consentirebbe di stabilire l’effettiva consapevolezza da parte del T. della susseguente mancata restituzione alla M.C. (id est immediata consegna ad “altro sportello”) della carta di circolazione affidata al M. è assunto, prima che riduttivo, errato o improprio, perché – come appena puntualizzato – tale genere di consapevolezza della posteriore restituzione o restiruibilità del documento è estraneo all’indagine sul dolo generico del reato di cui all’art. 351 c.p. ed in special modo alla condotta in concreto tenuta dall’imputato, che lo stesso g.u.p. – non senza cadere in palese contraddizione logica con la tesi giustificativa dell’atto compiuto per cortesia – afferma essere stata scandita da “negligenza”. Cioè da un determinismo operativo non solo poco conciliabile con la generica cortesia verso un utente, ma tale da richiedere un necessario approfondimento conoscitivo della vicenda processuale e segnatamente del contegno psicologico che ha sorretto l’azione dell’imputato.

Per tutte le ragioni esposte la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio degli atti al Tribunale di Lecce perché proceda a nuovo vaglio della posizione dell’imputato con peculiare riguardo, per quanto dianzi precisato, all’elemento soggettivo del reato di violazione della pubblica custodia di un documento pubblico a lui ascritto. Nuova deliberazione, procedendo alla quale il giudice del rinvio si uniformerà ai criteri interpretativi e ai principi della giurisprudenza di legittimità in precedenza richiamati.

 

P.Q.M.

 

Qualificato il fatto ex art. 351 c.p., annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuova deliberazione al Tribunale di Lecce.

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