Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 13 marzo 2014, n. 12004
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IPPOLITO Francesco – Presidente
Dott. ROTUNDO Vincenzo – Consigliere
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Consigliere
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere
Dott. APRILE Ercole – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 06/02/2013 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. APRILE Ercole;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. PRATOLA Gianluigi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IPPOLITO Francesco – Presidente
Dott. ROTUNDO Vincenzo – Consigliere
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Consigliere
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere
Dott. APRILE Ercole – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 06/02/2013 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. APRILE Ercole;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. PRATOLA Gianluigi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Lecce confermava la pronuncia di primo grado del 10/01/2013 con la quale il Giudice dell’udienza del Tribunale di Brindisi aveva condannato, all’esito di rito abbreviato, (OMISSIS) alla pena di anni quattro di reclusione in relazione al reato di cui all’articolo 572 c.p., commi 1 e 2, per avere in piu’ occasioni, ripetute nel tempo in modo sistematico ed abituale, in (OMISSIS) fino al (OMISSIS), sottoposto la figlia minore (OMISSIS), all’epoca di poco meno di otto anni, a lei affidata, a gravi maltrattamenti consistiti in offese, umiliazioni e violenze, in particolare picchiandola con un cucchiaio; costringendola a stare sedute per ore sul divano con una coperta sulla testa perche’ non voleva guardarla in faccia; non cucinandole e facendole solo mangiare avanzi; impedendole di andare in bagno e costringendola a farsi pipi’ addosso; omettendo di farla visita e curare dal medico di base, cosi’ cagionandole uno stato di denutrizione o malnutrizione che le comportava una mancata crescita e un indebolimento della funzione visiva.
Rilevava la Corte di appello come, pur dovendo escludere l’esistenza di un rapporto di causalita’ tra i maltrattamenti subiti ed il distacco della retina che la minore aveva pure patito, le emergenze processuali avessero dimostrato con certezza la sussistenza di un nesso eziologico tra quei maltrattamenti ed i problemi di mancata crescita di (OMISSIS), qualificabili come lesioni personali gravi; e come l’imputata non fosse affatto meritevole del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ne’ di una riduzione della pena finale irrogata, giudicata congrua rispetto al fatto e alla personalita’ della prevenuta.
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso la (OMISSIS), con atto sottoscritto dal suo difensore avv. (OMISSIS), la quale ha dedotto i seguenti tre motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione all’articolo 572 c.p., comma 2 e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicita’, per avere la Corte di appello erroneamente qualificato come lesioni personali lo stato di mancata crescita della persona offesa e per avere ingiustificatamente omesso di considerare, ai fini della consequenzialita’ tra i maltrattamenti e quell’asserito stato patologico, la documentazione sanitaria in atti dalla quale era risultata diagnosticata alla bambina un “ipostaturismo” congenito.
2.2. Violazione di legge, in relazione all’articolo 62 bis c.p., e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicita’, per avere la Corte territoriale irragionevolmente disatteso la richiesta difensiva di riconoscimento all’imputata delle attenuanti generiche in ragione del suo stato di incensuratezza, del suo positivo comportamento processuale e del contesto di degrado in cui era maturata la vicenda.
2.3. Violazione di legge, in relazione all’articolo 133 c.p. e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicita’, per avere la Corte distrettuale ingiustificatamente rigettato la richiesta di riduzione della pena inflitta, potendo a tal fine, essere valorizzati gli elementi fattuali gia’ segnalati nel punto precedente.
3. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.
3.1. Il primo motivo del ricorso e’ generico.
Sotto un primo punto di vista, con riferimento alla doglianza concernente la inosservanza della norma di legge penale sostantiva applicata, va ricordato come nella giurisprudenza di legittimita’ si sia avuto modo ripetutamente di chiarire che il requisito della specificita’ dei motivi implica non soltanto l’onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o piu’ punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (cosi’, tra le tante, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini, Rv. 245907, Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, Distante, Rv. 228586; Sez. 2, n. 8803 del 08/07/1999, Albanese, Rv. 214249).
Nel caso di specie la ricorrente si e’ limitata ad enunciare, in forma molto indeterminata, il dissenso rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte territoriale, senza specificare gli aspetti di criticita’ di passaggi giustificativi della decisione, cioe’ omettendo di confrontarsi realmente con la motivazione della sentenza gravata: pronuncia con la quale erano stati analiticamente indicati i riferimenti giurisprudenziali in base ai quali potesse essere confermata la sussistenza della aggravante oggetto di contestazione, con una interpretazione conforme al consolidato orientamento giurisprudenziale per il quale la nozione di “malattia” nella fattispecie di lesioni personali – cui evidentemente fa rinvio anche l’articolo 572 c.p., comma 2, – non comprende solamente le alterazioni di natura anatomica, che possono anche mancare, bensi’ tutte quelle alterazioni da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico ovvero una compromissione delle funzioni dell’organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa (cosi’, ex multis, Sez. 5, n. 40428 del 11/06/2009, Lazzarino e altri, Rv. 245378). Nozione, questa, certamente riferibile anche alle situazioni di mancata o ritardata crescita dei bambini dipendente da problemi di malnutrizione, trattandosi di “disturbo” patologico che richiede adeguati esami diagnostici e opportuni trattamenti terapeutici per fronteggiare quello che e’ una vera e propria forma di alterazione del normale ritmo di sviluppo del minore.
Altrettanto indeterminata e’ la censura afferente al vizio di motivazione, prospettata in termini di travisamento della prova per omissione, tenuto conto che la doglianza e’ stata formulata con un generico richiamo ad un documento asseritamente acquisito durante il giudizio di secondo grado, senza l’allegazione di tale atto o la trascrizione del relativo contenuto: motivo, dunque, formulato con modalita’ tali da non consentirne l’effettivo apprezzamento in questa sede di legittimita’.
3.2. Il secondo ed il terzo motivo del ricorso, strettamente connessi tra loro e, dunque, esaminabili congiuntamente, sono manifestamente infondati.
La ricorrente ha preteso che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalita’ mediante le quali i Giudice di merito hanno esercitato il potere discrezionale loro concesso dall’ordinamento ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e delle scelte sulla dosimetria della pena: esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all’adeguamento della pena concreta alla gravita effettiva del reato ed alla personalita’ del reo.
Nella specie, del tutto legittimamente la Corte di merito ha ritenuto ostativo al riconoscimento delle attenuanti generiche e ad una riduzione della pena inflitta l’estrema gravita dei fatti accertati, la prolungata ripetizione di atti di maltrattamento in danno di una bambina di appena sei anni ed il comportamento discriminatorio tenuto dalla donna rispetto all’altra figlia, nonche’ il pessimo comportamento processuale della imputata la quale, pur formalmente incensurata, aveva ammesso quegli addebiti che risultavano gia’ ampiamenti dimostrati e, comunque, aveva reso le due dichiarazioni solo dopo che, nella motivazione di altra sentenza emessa, in un distinto processo, per gravissimi delitti commessi nei riguardi della minore dal padre, l’autorita’ giudiziaria aveva gia’ stigmatizzato il pessimo atteggiamento assunto nella vicenda dalla prevenuta (v. pagg. 5-6 sent. impugn.): parametri, questi, considerati dall’articolo 133 c.p., applicabile anche ai fini della definizione dell’ambito di operativita’ dell’articolo 62 bis c.p..
4. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento in favore dell’erario delle spese del presente procedimento e al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che si stima equo fissare nell’importo indicato nel dispositivo che segue.
Rilevava la Corte di appello come, pur dovendo escludere l’esistenza di un rapporto di causalita’ tra i maltrattamenti subiti ed il distacco della retina che la minore aveva pure patito, le emergenze processuali avessero dimostrato con certezza la sussistenza di un nesso eziologico tra quei maltrattamenti ed i problemi di mancata crescita di (OMISSIS), qualificabili come lesioni personali gravi; e come l’imputata non fosse affatto meritevole del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ne’ di una riduzione della pena finale irrogata, giudicata congrua rispetto al fatto e alla personalita’ della prevenuta.
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso la (OMISSIS), con atto sottoscritto dal suo difensore avv. (OMISSIS), la quale ha dedotto i seguenti tre motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione all’articolo 572 c.p., comma 2 e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicita’, per avere la Corte di appello erroneamente qualificato come lesioni personali lo stato di mancata crescita della persona offesa e per avere ingiustificatamente omesso di considerare, ai fini della consequenzialita’ tra i maltrattamenti e quell’asserito stato patologico, la documentazione sanitaria in atti dalla quale era risultata diagnosticata alla bambina un “ipostaturismo” congenito.
2.2. Violazione di legge, in relazione all’articolo 62 bis c.p., e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicita’, per avere la Corte territoriale irragionevolmente disatteso la richiesta difensiva di riconoscimento all’imputata delle attenuanti generiche in ragione del suo stato di incensuratezza, del suo positivo comportamento processuale e del contesto di degrado in cui era maturata la vicenda.
2.3. Violazione di legge, in relazione all’articolo 133 c.p. e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicita’, per avere la Corte distrettuale ingiustificatamente rigettato la richiesta di riduzione della pena inflitta, potendo a tal fine, essere valorizzati gli elementi fattuali gia’ segnalati nel punto precedente.
3. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.
3.1. Il primo motivo del ricorso e’ generico.
Sotto un primo punto di vista, con riferimento alla doglianza concernente la inosservanza della norma di legge penale sostantiva applicata, va ricordato come nella giurisprudenza di legittimita’ si sia avuto modo ripetutamente di chiarire che il requisito della specificita’ dei motivi implica non soltanto l’onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o piu’ punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (cosi’, tra le tante, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini, Rv. 245907, Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, Distante, Rv. 228586; Sez. 2, n. 8803 del 08/07/1999, Albanese, Rv. 214249).
Nel caso di specie la ricorrente si e’ limitata ad enunciare, in forma molto indeterminata, il dissenso rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte territoriale, senza specificare gli aspetti di criticita’ di passaggi giustificativi della decisione, cioe’ omettendo di confrontarsi realmente con la motivazione della sentenza gravata: pronuncia con la quale erano stati analiticamente indicati i riferimenti giurisprudenziali in base ai quali potesse essere confermata la sussistenza della aggravante oggetto di contestazione, con una interpretazione conforme al consolidato orientamento giurisprudenziale per il quale la nozione di “malattia” nella fattispecie di lesioni personali – cui evidentemente fa rinvio anche l’articolo 572 c.p., comma 2, – non comprende solamente le alterazioni di natura anatomica, che possono anche mancare, bensi’ tutte quelle alterazioni da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico ovvero una compromissione delle funzioni dell’organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa (cosi’, ex multis, Sez. 5, n. 40428 del 11/06/2009, Lazzarino e altri, Rv. 245378). Nozione, questa, certamente riferibile anche alle situazioni di mancata o ritardata crescita dei bambini dipendente da problemi di malnutrizione, trattandosi di “disturbo” patologico che richiede adeguati esami diagnostici e opportuni trattamenti terapeutici per fronteggiare quello che e’ una vera e propria forma di alterazione del normale ritmo di sviluppo del minore.
Altrettanto indeterminata e’ la censura afferente al vizio di motivazione, prospettata in termini di travisamento della prova per omissione, tenuto conto che la doglianza e’ stata formulata con un generico richiamo ad un documento asseritamente acquisito durante il giudizio di secondo grado, senza l’allegazione di tale atto o la trascrizione del relativo contenuto: motivo, dunque, formulato con modalita’ tali da non consentirne l’effettivo apprezzamento in questa sede di legittimita’.
3.2. Il secondo ed il terzo motivo del ricorso, strettamente connessi tra loro e, dunque, esaminabili congiuntamente, sono manifestamente infondati.
La ricorrente ha preteso che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalita’ mediante le quali i Giudice di merito hanno esercitato il potere discrezionale loro concesso dall’ordinamento ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e delle scelte sulla dosimetria della pena: esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all’adeguamento della pena concreta alla gravita effettiva del reato ed alla personalita’ del reo.
Nella specie, del tutto legittimamente la Corte di merito ha ritenuto ostativo al riconoscimento delle attenuanti generiche e ad una riduzione della pena inflitta l’estrema gravita dei fatti accertati, la prolungata ripetizione di atti di maltrattamento in danno di una bambina di appena sei anni ed il comportamento discriminatorio tenuto dalla donna rispetto all’altra figlia, nonche’ il pessimo comportamento processuale della imputata la quale, pur formalmente incensurata, aveva ammesso quegli addebiti che risultavano gia’ ampiamenti dimostrati e, comunque, aveva reso le due dichiarazioni solo dopo che, nella motivazione di altra sentenza emessa, in un distinto processo, per gravissimi delitti commessi nei riguardi della minore dal padre, l’autorita’ giudiziaria aveva gia’ stigmatizzato il pessimo atteggiamento assunto nella vicenda dalla prevenuta (v. pagg. 5-6 sent. impugn.): parametri, questi, considerati dall’articolo 133 c.p., applicabile anche ai fini della definizione dell’ambito di operativita’ dell’articolo 62 bis c.p..
4. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento in favore dell’erario delle spese del presente procedimento e al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che si stima equo fissare nell’importo indicato nel dispositivo che segue.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Leave a Reply