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Suprema Corte di Cassazione 

sezione VI

Ordinanza  n. 15045 del 14 giugno 2013

Ritenuto in fatto e in diritto

Il consigliere delegato ha depositato, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione. “La Corte di appello di Venezia, pronunciando in unico grado con sentenza n. 2290 del 2010 sulla domanda proposta dal Comune di Gavello nei confronti della Provincia di Rovigo e del dott. B.R., determinava l’indennità di esproprio del fondo appartenente a quest’ultimo in Euro 185.212,72, escludendo, poiché detta somma risultava sostanzialmente pari al valore dichiarato nella dichiarazione ICI presentata dal proprietario in data 31 luglio 2004 (anteriormente all’emanazione del decreto di esproprio, avvenuta il 12 maggio 2005), che l’indennità stessa dovesse ridursi al valore, notevolmenteinferiore, indicato in una precedente dichiarazione ICI, e comunque in base al valore effettivo del terreno. Il Comune e la Provincia venivano condannati in solido al pagamento delle spese processuali.

Per la cassazione di tale decisione il Comune di Gavello propone ricorso, affidato a due motivi. Resistono il B. e la Provincia di Rovigo, che propone impugnazione incidentale, in merito alle spese processuali.

Si ritiene che in relazione al ricorso in esame possa essere pronunciata ord inanza ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., in quanto entrambi i motivi – da esaminarsi congiuntamente – proposti dal ricorrente principale, con il quali si denuncia violazione dell’art. 16 del D.Lvo n. 359 del 1992 e vizio motivazionale, si fondano sulla determinazione del valore espropriato in relazione alla dichiarazione e ai valori determinati ai fini dell’ICI. Tale aspetto risulta superato per effetto della nota pronuncia della Corte costituzionale n. 338 del 2011, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. 504 del 1992, art. 16, comma 1, in quanto ritenuto incompatibile con il nucleo minimo di tutela del diritto di proprietà, garantito dall’art. 42 Cost., comma 3, e dall’art. 1 del primo protocollo addizionale della CEDU, in virtù del quale l’indennità di espropriazione non può ignorare “ogni dato valutativo inerente ai requisiti specifici del bene”, né può elidere un “ragionevole legame” con il valore di mercato: e ciò non soltanto nell’ipotesi di omessa dichiarazione/denuncia ICI, ma anche nel caso di dichiarazione/denuncia di valori irrisori, o di valori che potrebbero condurre comunque ad elidere il necessario vincolo di ragionevolezza e proporzionalità fra il comportamento tributario illecito e la sanzione.

Pertanto dal giorno successivo alla pubblicazione di questa decisione (art. 136 Cost. e L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 3), come la Consulta ha più volte avvertito, non è più possibile applicare il meccanismo sanzionatorio introdotto dal D.Lgs. n. 504, menzionato art. 16 non essendosi il rapporto esaurito in modo definitivo, né per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, né per essersi verificate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d’incostituzionalità (Cass., 17198/2012; Cass. 16450/2006; 15200/2005; 22413/2004).

Depurato da tale aspetto, il percorso argomentativo — per il vero non perspicuo – posto a fondamento della decisione impugnata (dopo il deposito della relazione da parte del CTU, ne era stato disposto un supplemento, per stabilire il valore unitario del terreno in base alla dichiarazione ICI, che risultava poi superiore a quello di mercato), le doglianze del Comune, secondo cui immotivatamente, ed in violazione della richiamata norma, la corte territoriale avrebbe utilizzato come parametro non già il valore di mercato come determinato dal consulente tecnico d’ufficio, ma quello, più elevato, risultante dalla dichiarazione integrativa presentata (nelle more dell’emanazione del decreto di esproprio) dal proprietario, risultano maggiormente fondate, in quanto, se la norma indicata prevedeva la riduzione – non l’elevazione – del valore del bene accertato rispetto a quello risultante dalla dichiarazione ICI, la sua abrogazione implica in ogni caso la necessità di stabilire l’indennità sulla base del valore di mercato, emendando, al contempo, il denunciato errore inerente alla liquidazione operata dalla corte veneta. L’accoglimento del ricorso principale, nel caso in cui le esposte considerazioni vengano condivise, comporterebbe l’assorbimento della cen-sura introdotta con il motivo incidentale”. Il Collegio condivide la relazione, ritualmente comunicata al P.G. e notificata alle parti costituite.

Tale conclusione non muta all’esito dell’esame della memoria depositata nell’interesse del B., in quanto nella stessa si afferma che l’indennità determinata dalla corte territoriale, ancorché superiore a quella determinata nelle prona consulenza tecnica d’ufficio, si baserebbe, in ogni caso, sul valore di mercato del bene. Tale assunto non trova riscontro nella decisione impugnata, nella quale – premessa l’applicabilità nel caso del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16 – si afferma: “..Dalla relazione effettuata dal C.T.U. dai documenti ad essa allegati emerge che il B. il 31 luglio 2004 ebbe a dichiarare il valore di Euro 7,49 per mq. in relazione al terreno oggetto della procedura ablatoria, pari a complessivi mq 24.728, sicché l’indennità di espropriazione va determinata in Euro 185.212,72 ed in tali limiti va accolta la domanda svolta dal convenuto B. “.

In altri termini, manca nella decisione impugnata, qualsiasi riferimento al valore di mercato del bene (che, per altro, era già stato determinato nella prima relazione peritale), ragion per cui deve confermarsi la fondatezza del rilievo di una stima essenzialmente fondata sul valore dichiarato dalla parte ai fini ICI, impropriamente utilizzato indipendentemente dall’evidenziata abrogazione della norma sopra citata – come parametro – che consentirebbe di determinare l’indennità in misura superiore al valore di mercato del bene. Deve, pertanto, procedersi, in considerazione del motivo accolto, assorbente rispetto al ricorso incidentale, alla cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Venezia, che, in diversa composizione, applicherà il principio sopra enunciato, provvedendo altresì in merito alle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso principale, assorbito l’incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione.

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