SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI
ordinanza 9 gennaio 2015, n. 171
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –
Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 15124/2013 proposto da:
IL PANINO PIU’ SNC DI A. BARBARA E PAOLO, in persona del legale –
rappresentante, ed i soci in proprio A.B. (OMISSIS), A.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato NENCINI FRANCO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 58/2012 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di FIRENZE del 13/11/2012, depositata il 12/12/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/11/2014 dal Consigliere Relatore Dott ANTONELLO COSENTINO.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
rilevato che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la relazione di seguito integralmente trascritta: “La società Il Panino più di A. Barbara e Paolo SNC, ed i relativi soci A.B. e A.P., ricorrono contro l’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale della Toscana, confermando la sentenza di primo grado, ha respinto i ricorsi dei contribuenti avverso gli avvisi di accertamento con i quali – previa rideterminazione della plusvalenza attiva derivata dalla cessione dell’azienda sociale (attività di ristorante/trattoria) realizzata con contratto del 15.5.2000 – venivano accertati il maggior reddito della società per l’anno 2000 e, conseguentemente, i maggiori redditi da partecipazione dei relativi soci.
Il ricorso si articola su due motivi.
Con il primo, riferito promiscuamente ai vizi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 ed 5, si denuncia la violazione falsa applicazione di norme di diritto (artt. 67 e 68 Tuir) e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Il motivo va giudicato inammissibile per difetto di specificità, in quanto si risolve in una doglianza avverso l’operato dell’amministrazione finanziaria (alla quale si contesta di aver attribuito all’azienda ceduta un valore diverso da quello risultante dal contratto di trasferimento, ancorchè tale ultimo valore non fosse stato sottoposto ad alcuna rettifica ai fini dell’imposta di registro) priva di specifico riferimento alla motivazione della sentenza gravata. Al riguardo va sottolineato:
– in primo luogo, che da tale sentenza non emerge che l’Ufficio abbia rettificato il valore dell’azienda ceduta (circostanza, questa, espressamente contestata nel controricorso della difesa erariale, ove si afferma che la rideterminazione della plusvalenza venne effettuata sulla base del valore dell’azienda risultante dal contratto di trasferimento, sottraendo a tale valore la somma algebrica dei valori fiscalmente rilevanti delle attività e passività cedute);
– in secondo luogo, che la censura di violazione di legge non è supportata dall’individuazione delle affermazioni in diritto contenuto nella sentenza gravata contrastanti con le disposizioni degli artt. 67 e 68 Tuir;
– in terzo luogo che la censura di omesso esame di un fatto decisivo non individua alcun fatto storico del quale il giudice di merito avrebbe omesso l’esame.
Con il secondo motivo di ricorso i contribuenti censurano la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, art. 2946 c.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, e art. 345 c.p.c., in cui la sentenza gravata sarebbe incorsa giudicando inammissibile l’eccezione di decadenza dell’agenzia delle entrate dall’azione accertatrice per essere stata tale eccezione proposta solo in grado di appello. Il motivo va giudicato infondato, perchè la statuizione della Commissione Tributaria Regionale è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, che ha più volte ribadito come il termine di decadenza stabilito a carico dell’ufficio tributario ed in favore del contribuente per l’esercizio del potere impositivo abbia natura sostanziale e non appartenga a materia sottratta alla disponibilità delle parti, in quanto tale decadenza non concerne diritti indisponibili dello Stato alla percezione di tributi, ma incide unicamente sul diritto del contribuente a non vedere esposto il proprio patrimonio, oltre un certo limite di tempo, alle pretese del Fisco; cosicchè è riservata alla valutazione del contribuente stesso la scelta di avvalersi o meno della relativa eccezione, da ritenersi, pertanto, eccezione in senso proprio, non rilevabile d’ufficio nè proponibile per la prima volta in grado d’appello (tra le tante, sent. 14028/11).
Si propone dunque rigetto del ricorso in relazione ad entrambi motivi in cui esso si articola”.
che l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso;
che la relazione è stata notificata alle parti costituite;
che non sono state depositate memorie difensive;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide gli argomenti esposti nella relazione;
che, pertanto, si deve rigettare il ricorso;
che le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.000, oltre spese prenotate a debito.
Il Collegio, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2015
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