www.studiodisa.it

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza  7 marzo 2014, n. 5434 

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 5 luglio 2012, la signora B.A. proponeva opposizione, dinanzi al Tribunale di Brescia, a due ingiunzioni fiscali notificatele a cura del comune di Bagnolo San Vito per il pagamento, rispettivamente, di Euro 127.846,00 e di Euro 62.930,00 a titolo di imposta comunale sugli immobili (lei) per gli anni 2006, 2007 e 2008, oltre interessi, sanzioni e spese, maturata per terreni di sua proprietà.
Costituitosi ritualmente, il comune di Bagnolo San Vito eccepiva il difetto di giurisdizione, assumendo che essa apparteneva al giudice tributario, vertendosi in materia di ingiunzioni fiscali ex art. 2 d.lgs. n.546/1992.
Con sentenza emessa ai sensi dell’art. 281 sexies cod. proc. civile, pronunziata all’udienza del 16 gennaio 2013, il Tribunale monocratico di Brescia – sezione distaccata di Breno affermava la giurisdizione ordinaria, ma si dichiarava territorialmente incompetente, ritenuta la competenza del Tribunale di Mantova, nella cui circoscrizione aveva sede il comune convenuto.
Avverso il provvedimento la sig.ra B.A. proponeva regolamento, definito necessario, di competenza, deducendo che il comune non aveva mai eccepito l’incompetenza territoriale; e che questa era stata rilevata d’ufficio – nonostante l’assenza di alcuna norma che qualificasse inderogabile la competenza in subiecta materia – e comunque tardivamente, oltre la prima udienza ex art. 183 cod. proc. civile (richiamato dall’art. 38, terzo comma, cod. proc. civile).
Il comune di Bagnolo San Vito non svolgeva attività difensiva.
Il P.G. concludeva per la dichiarazione ex officio del difetto di giurisdizione, previa riqualificazione del ricorso come regolamento facoltativo di competenza – stante la compresenza, nel provvedimento impugnato, della pronunzia affermativa della giurisdizione – e superamento dell’indirizzo giurisprudenziale che riserva il relativo potere della Corte nell’ambito del solo regolamento necessario.
Così richiamati i fatti di causa, si osserva che appare rilevante, ai fini del decidere, il riesame del dibattuto rapporto di pregiudizialità tra la questione di giurisdizione e quella di competenza.
Ad avviso di questo collegio, sembra condivisibile l’opinione risalente, un tempo maggioritaria, che la competenza rivesta carattere prioritario: giacché l’accertamento della spettanza della giurisdizione – o anche, in radice, dell’esistenza stessa della giurisdizione, in ipotesi di assoluta carenza di azione – non può che essere decisa dal giudice in astratto competente per materia, valore e territorio a conoscere della controversia, sulla base della prospettazione della domanda.
In virtù del principio che ogni giudice è competente a decidere della propria competenza, sembra evidente che tale accertamento sia pregiudiziale rispetto a qualunque altra questione, di rito o di merito, costituendo un riflesso del principio costituzionale del giudice naturale (art. 25 Cost.): tanto più, rispetto a questioni, come quella della giurisdizione, suscettibili di pronuncia con attitudine a preclusione pro judicato (Cass., sez. unite, 17 dicembre 2007 n. 26483).
Che l’esistenza, o no, della potestas judicandi nel caso concreto possa essere accertata da un giudice potestativamente individuato dalla parte – eventualmente in violazione di tutti i criteri di radicamento della competenza – appare, infatti, tesi del tutto eccentrica ai principi generali che informano il processo; e certo, non assimilabile all’evenienza, tutt’altro che rara, di statuizione sulla giurisdizione emessa da giudice ritenutosi erroneamente competente: non inficiata, a differenza della prima, da incompatibilità di decisum, e dunque intimamente coerente, restando solo soggetta ad un fisiologico sindacato nella naturale sede di impugnazione.
Né si può sostenere, sotto altro profilo, che l’accertamento sulla sussistenza della giurisdizione resti salvo all’esito di translatio iudicii al giudice competente.
La conservazione degli effetti processuali (oltre che sostanziali, come l’interruzione-sospensione della prescrizione, l’efficacia della trascrizione, l’impedimento di decadenze, ecc.) è preservata in ordine ai soli atti istruttori – e cioè, tipicamente, le prove assunte: che non degradano ad argomenti sussidiari di prova ex art. 116, secondo comma, cod. proc. civile, come invece nella trasmigrazione tra giurisdizioni diverse (art. 59, comma 5, legge 18 giugno 2009, n. 69) – ed eventualmente cautelari (principio affermato, sia pure con efficacia interinale, dall’art.15, settimo comma, cod. proc. amm. e dall’art.27 cod. proc. pen.). Ma non certo per le sentenze, che vengono, per definizione, travolte ex post dall’accoglimento del regolamento di competenza, necessario, facoltativo o d’ufficio: e che dunque nascerebbero inutiliter datae nell’ipotesi speculare di un’incompetenza dichiarata ex ante.
Con l’unica eccezione, senza dubbio vistosa, della sentenza dichiarativa di fallimento pronunziata dal giudice incompetente: fatta salva dalla norma – di natura speciale, se non eccezionale – di cui al novellato art. 9 bis. l. fall..
Nell’ottica della ricostruzione dogmatica condivisa da questo collegio appare dunque oggettivamente contraddittorio il provvedimento del Tribunale di Brescia – sezione distaccata di Breno che afferma la giurisdizione del giudice ordinario in una controversia della quale si dichiara contestualmente incompetente, per territorio, a conoscere.
Con l’ulteriore corollario che tale accertamento positivo resta tamquam non esset; onde questa Corte, investita di un regolamento – definibile, per l’effetto, incontestabilmente necessario – potrebbe rilevare d’ufficio la carenza di giurisdizione del giudice ordinario in ordine ad una controversia di natura tributaria (in tema di I.c.i.), rimessa alla cognizione delle commissioni tributarie: in conformità con l’indirizzo assolutamente costante secondo cui il fatto che l’opposizione ad ingiunzione prevista dal R.D. 14 aprile 1910 n. 639, art. 3, dia luogo ad un ordinario processo di cognizione – in cui è assicurata al privato destinatario la possibilità di contestare e, ricorrendone gli estremi, di far cadere la pretesa fatta valere in ingiunzione, mediante l’accertamento negativo della sussistenza dei presupposti di legge cui viene rapportata l’obbligazione – non è rilevante ai fini della soluzione della questione di giurisdizione: in quanto la norma in esame non reca deroga all’ordinario riparto di giurisdizione nel vigente ordinamento giuridico e pertanto non può essere invocata per ricondurre nella sfera di competenza giurisdizionale del giudice ordinario vertenze che, con riguardo alla natura dei rapporti in esse dedotti, debbano essere riservate alla cognizione di altro giudice (Cass., sez. un., 08/02/2013, n. 3043; Cass., sez. un., 18/12/2008, n. 29529; Cass. sez. un. 1232/2002).
Per pervenire ex officio a tale riaffermazione di principio non sarebbe necessario, in ultima analisi, procedere al revirement (sollecitato nelle conclusioni del P.G.) della giurisprudenza di legittimità, preclusiva, per contro, del rilievo officioso nell’ambito di un regolamento facoltativo di competenza (Cass., sez.3, 12 novembre 1999 n. 12566; Cass., sez. unite 23 giugno 1995 n. 7086); pur se condivisibili, al riguardo, appaiono le argomentazioni dell’organo requirente. La dizione testuale dell’art.37 cod. proc. civ. (“il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica istruzione dei giudici speciali è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo”), sembra infatti prescindere – fuori dell’ipotesi di un giudicato, anche implicito – dal limite, connaturale al principio devolutivo, dell’articolazione di un motivo ad hoc.
Questo collegio deve peraltro prendere atto che la ricostruzione dogmatica suesposta, recepita, in passato, dalla giurisprudenza di legittimità e da autorevole seppur risalente dottrina – anche sulla base dell’argomento sussidiario (per la verità, di più dubbia consistenza) che la questione di giurisdizione abbia natura di merito – è stata contraddetta in taluni precedenti di questa Corte, ove si assegna, invece, alla giurisdizione una posizione gradatamente prioritaria, sotto il profilo logico, rispetto alla questione di competenza (Cass., sez. unite 26.483/2007 cit.; Cass., sez. unite 22 aprile 1999 n. 248. Nessuna delle quali, peraltro, emessa a composizione di un contrasto giurisprudenziale).
Si palesa dunque necessario rimettere di nuovo la problematica alle sezioni unite per un’eventuale rivisitazione critica dell’indirizzo più recente: movendo dal rilievo che la questione della giurisdizione, pur se in astratto preliminare in rapporto alla competenza, che ne rappresenta una frazione – principio richiamato nella ratio decidendi riprodotta nelle relative massime e su cui si dovrebbe consentire, ove a decidere fosse ab initio la Corte di legittimità, deputata a dirimere in via definitiva il riparto di giurisdizione e di competenza – non si traduce in pregiudizialità giuridica qualora sia invece il giudice di primo grado (potestativamente adito dalla parte attrice) ad esaminarla; e che dovrebbe invece astenersene, ove riconosca di non essere stato correttamente individuato: riservandone la cognizione, unitamente al merito, al diverso giudice da lui ritenuto competente.

P.Q.M.

– Rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *