Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 5 maggio 2015, n. 8904
Svolgimento del processo
La s.p.a. C.T.Q. ha proposto regolamento di competenza avverso l’ordinanza del Tribunale di Siena in data 23 aprile 2014 che – decidendo unicamente sulla competenza – ha rigettato l’appello dell’odierna ricorrente, confermando l’ordinanza del Giudice di pace di Poggibonsi dichiarativa della propria incompetenza per territorio in favore del “foro del consumatore” nella causa promossa dalla società nei confronti di D.A. per il pagamento del corrispettivo del corso di formazione professionale al quale il D. si era iscritto.
D.A. ha resistito con memoria ai sensi dell’ult. comma dell’art. 47 cod. proc. civ..
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 ter cod. proc. civ., sulla base delle conclusioni scritte del pubblico ministero, il quale ha richiesto il rigetto del ricorso.
È stata depositata memoria di replica della ricorrente.
Motivi della decisione
1. Parte ricorrente deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 3 e 63 d. Lgs 206 del 08.10.2005, nonché dell’art. 38 cod. proc. civ. e mancata applicazione degli artt. 18 e segg. cod. proc. civ. sulla competenza territoriale con motivazione illogica o comunque incongruente. A sostegno dell’istanza di regolamento rileva che, secondo principi acquisiti nella giurisprudenza di legittimità, la disciplina in favore del consumatore non può trovare applicazione nell’ipotesi di contratto stipulato da persona fisica per scopi riconducibili all’esercizio di un’attività professionale ancorché meramente futura; osserva, quindi, sulla base del curriculum del D. che “le ipotetiche — ma altamente probabili — ragioni sottese all’iniziale scelta” dello stesso nell’iscriversi al master organizzato da CTQ s.p.a. erano riconducibili alla scelta di ampliare il proprio bagaglio culturale e conoscitivo finalizzato alla propria specializzazione; e ciò o in vista di un’attività di libero professionista nel settore, stante l’iscrizione all’albo degli ingegneri oppure in vista di un’ulteriore avanzamento di grado e di carriera all’interno della società DECO s.r.l. presso la quale presta attualmente la propria attività lavorativa.
2. L’istanza di regolamento è infondata e va rigettata.
2.1. In via di principio si rileva che l’orientamento giurisprudenziale di matrice comunitaria, cui fa riferimento parte ricorrente impone di ritenere determinante nei contratti conclusi in vista della professione – punto di cui si discute nel caso di specie – il criterio teleologico, in ragione del quale ciò che rileva non è la situazione attuale del soggetto che ancora non svolge un’attività professionale, ma la funzione che il contratto gli attribuisce. In altri termini per assumere la qualifica di professionista, ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, non è necessario che il soggetto stipuli il contratto nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa o della professione, ma è sufficiente che lo concluda al fine dello svolgimento o per le esigenze dell’attività imprenditoriale o professionale (cfr. da ultimo Cassa ord. 31 luglio 2014, n. 17466).
La qualifica di consumatore di cui all’art. 3 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 – rilevante ai fini della identificazione del soggetto legittimato ad avvalersi della tutela di cui all’art. 33 del citato d.lgs. — spetta, infatti, alle sole persone fisiche allorché concludano un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata, dovendosi, invece, considerare professionista il soggetto che stipuli il contratto nell’esercizio di una siffatta attività o per uno scopo a questa connesso (Cass. ord. 12 marzo 2014, n. 5705). In tale prospettiva questa Corte ha, quindi, escluso che possa qualificarsi “consumatore” la persona che, in vista di intraprendere una attività imprenditoriale (cioè per uno scopo professionale), si procuri servizi e strumenti materiali od immateriali indispensabili per l’esercizio di tale attività (v. Cass. ord. 04 novembre 2013, n. 24731; Cass. ord. 15 maggio 2013 n. 11773; Cass. ord. 14. Luglio 2011 n. 15531; Cass. ord. 18 settembre 2006 n. 20175). Ciò in quanto, ai fini dell’assunzione della veste di consumatore, l’elemento significativo non è il “non possesso”, da parte della “persona fisica” che ha contratto con un “operatore commerciale”, della qualifica di “imprenditore commerciale” (con la conseguenza la stessa persona fisica che svolga attività imprenditoriale o professionale potrà essere considerata alla stregua del semplice “consumatore” allorché concluda un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio di dette attività), bensì, secondo la lettera della legge (cfr. art. 12 preleggi, comma 1 prima parte), lo scopo (pbiettivato o obiettivabile) avuto di mira dall’agente nel momento in cui ha concluso il contratto (cfr. Cass. n. 24731 del 2013 cit. in motivazione).
2.1. Resta fermo, a meno da non volere frustrare le stesse finalità di protezione della normativa in parola, che la funzionalizzazione del contratto all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale, idonea a escludere la praticabilità del foro del consumatore, non può essere del tutto ipotetica e marginale, con una torsione interpretativa contraria alla lettera e allo spirito della legge (così Cass. n. 24731 del 2013 in motivazione). In altri termini la prospettiva di intraprendere una futura attività – cui sia funzionale la stipula del contratto di fornitura di beni e di servizi — deve emergere dalle oggettive circostanze del contratto ed essere concreta e attuale, non rilevando ipotetiche intenzioni o vaghe aspettative, non definite quanto a tempi e possibilità di realizzazione.
Orbene, nel caso di specie costituiscono dati fattuali incontestati che il contratto avente ad oggetto un corso di formazione professionale (Energy Master in ambiente management – territorio) venne stipulato tra un soggetto che è sicuramente definibile come “professionista” (la s.p.a. CTQ) e altro soggetto, persona fisica che allo stato riveste la qualità di lavoratore dipendente (D.A. ), con sottoscrizione di moduli predisposti unilateralmente dal professionista, nonché a distanza, al di fuori dai locali commerciali.
L’unico elemento desumibile dal contratto, rappresentato dalla natura del servizio richiesto, evidentemente funzionale alla formazione professionale e all’acquisizione di competenze tecniche specialistiche — seppure valutato unitamente al curriculum su cui fa leva parte ricorrente e, segnatamente, all’iscrizione all’albo degli ingegneri da parte del D. – non si presta ad essere considerato come elemento presuntivo idoneo ad escludere, ai fini del giudizio delibativo sulla competenza, che l’attore possa essere riguardato rispetto al contratto in questione come consumatore; tant’è che la stessa ricorrente è costretta a far ricorso a mere “ipotesi” che – come è evidenziato dalla stessa alternatività delle opzioni – sono inidonee ad assurgere al rango di prova presuntiva.
2.2. Ciò posto, ritiene la Corte che la fattispecie è stata correttamente inquadrata nell’ambito dell’art. 45 lett. d) Cod. cons., non essendovi elementi per ritenere che il D. abbia inteso procurarsi il servizio di cui trattasi nel quadro dell’organizzazione di un’attività professionale da intraprendere, prendendo l’iniziativa di ricercare il servizio stesso, proprio al fine di realizzare un’organizzazione di tal fatta e risultando, oltre che marginale, comunque, meramente ipotetica la strumentalità del contratto anche rispetto ad un eventuale avanzamento di carriera del medesimo D. nell’ambito della DECO.
E ciò a tacer del fatto che – come evidenziato dal P.G. nella sua requisitoria – quest’ultimo dato risulterebbe indifferente ai fini del diniego della qualifica di “consumatore”. Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 3, lett. a) d. lgs. n. 206 del 2005 (come modificato dal D.Lgs. 23 ottobre 2007, n. 221) il consumatore è “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”, mentre lo stesso art. 3 alla lett. c) definisce il professionista come “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario”: definizione, questa del professionista, così come quella di consumatore, che nel nostro ordinamento, rispecchia la distinzione tra imprenditore, artigiano e prestatore d’opera professionale, cui non è assimilabile il lavoratore dipendente.
In definitiva il ricorso per regolamento va rigettata e va dichiarata la competenza del Giudice di pace di Pescara, quale giudice del foro del consumatore, residente in (omissis) .
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014, seguono la soccombenza.
Ricorrono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; dichiara la competenza del Giudice di pace di Pescara davanti al quale rimette le parti; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di regolamento, liquidate in Euro 1.600,00 (di cui Euro 200,00) oltre accessori come per legge e contributo spese generali. Ai sensi dell’art.13 co. 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002.
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