cassazione 8

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

ordinanza  4 maggio 2015, n. 8857

 

Fatto e diritto

Dato atto del deposito della relazione ex art. 380 cpc del seguente tenore:
1 “- L’avv. T.A. , proprietario di varie unità immobiliari in uno stabile sito in (omissis) , impugnò la delibera condominiale del 18 gennaio 2008, nel punto in cui aveva autorizzato altri condomini – tali S. – C. – a mantenere in loco una macchina moto-condensante collocata sulla parete condominiale ma ad uso esclusivo della unità immobiliare di costoro, posta al piano seminterrato: secondo la prospettazione dell’attore, la situazione autorizzata dal Condominio avrebbe consentito agli S. /C. di appropriarsi di una parte della cosa comune (la porzione di muro ove era appoggiato il condizionatore), di tal che tale utilizzo avrebbe dovuto essere autorizzato con delibera presa all’unanimità degli aventi diritto al voto o, quanto meno, con la maggioranza richiesta dall’art. 1136 n.5 cod. civ., e non, come avvenuto, con l’unanimità del voto dei presenti in assemblea; il T. fece altresì valere la violazione dell’art.10 del regolamento condominiale – che vietava in modo assoluto di occupare, anche in via temporanea, spazi condominiali – attesa la presenza di una vaschetta di raccolta per le acque di condensazione del condizionatore; di un vaso di fiori a celarne la vista e di un tubo di plastica a convogliare le acque di dispersione dall’apparecchiatura alla vaschetta.
2 Il Condominio si costituì sostenendo la piena legittimità della richiesta degli S. /C. mirante allo sfruttamento della cosa comune in modo da non ledere il pari uso degli altri condomini; ribadì che la situazione autorizzata non sarebbe stata in contrasto con la norma regolamentare – non essendo di intralcio al passaggio né recando danno ad alcuno e che neppure avrebbe inciso in modo negativo sul decoro dello stabile-.
3 II Tribunale, espletata l’istruttoria, con sentenza n. 9681/2011 rigettò l’impugnativa ritenendo che l’apposizione del condizionatore rientrasse in un’ipotesi di uso più intenso della cosa comune, disciplinato dall’art. 1102 cod. civ. ; tale decisione fu impugnata dal T. ; la Corte di Appello di Milano, con decisione n. 936/2013, rigettò il gravame rilevando: a – che la porzione (che definì “minuscola”, sulla scorta delle foto prodotte in causa) di muro perimetrale occupata dal condizionatore non sarebbe stata alterata, nella sua funzione di tamponamento, dall’apposizione del macchinario, anche in considerazione della sua amovibilità, se le circostanze l’avessero imposta; b – che del pari neppure il tubo di scolo, terminante in una vaschetta nascosta da una fioriera, avrebbe costituito, a mente dell’art. 10 del regolamento, un ingombro al passaggio né avrebbe causato lesione al decoro architettonico della parte comune, anche in considerazione che i citati manufatti non erano posti, come invece esposto dal T. , nell’androne condominiale, bensì nell’andito di disimpegnò al piano seminterrato, accanto all’acceso alle cantine e di fronte alla centrale termica.
4 Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso il T. , sulla base di tre motivi di annullamento; il Condominio ha resistito con controricorso.

Osserva in diritto

I – Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla lesione del decoro architettonico della muratura esterna dell’edificio condominiale, determinata dall’apposizione dei piccoli manufatti a servizio del condizionatore.
I.a – Il motivo è inammissibile, atteso che l’esame del fatto di cui si lamenta l’omissione è stato in realtà compiuto ed all’esito del medesimo la Corte distrettuale, con valutazione logicamente motivata, ha concluso per l’assenza di lesioni al decoro architettonico (v. seconda e terza alinea a fol 8 della gravata decisione), mettendo in rilievo l’esiguità della porzione di bene condominiale occupata dal condizionatore e “alla stessa stregua” (quindi estendendo il rapporto tra dimensioni dei piccoli manufatti e idoneità dei medesimi a costituire lesione del decoro condominiale) dal tubo, nonché dalla vaschetta dell’acqua e dalla fioriera che lo nascondeva, al fine di trarre argomenti per escludere la lesività estetica di cui si tratta, anche considerando che trattavasi di anditi di passaggio a locali seminterrati.
II – Con il secondo motivo viene denunziata la “violazione e falsa applicazione dell’art. 10 del regolamento condominiale” avendo la Corte distrettuale ritenuto di limitare la portata cogente del divieto assoluto di occupazione, anche temporanea, di spazi condominiali, con riferimento alla sussistenza di un pericolo od un intralcio per il passaggio.
II.a – Anche questo motivo deve dirsi inammissibile perché l’art. 360, I comma n. 3 cpc (che costituisce il non espresso ma immanente referente normativo del vizio lamentato) pone a parametro della censura di legittimità norme di legge o contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ma non certo clausole negoziali, espressione di autonomia privata, rispetto alle quali, semmai, si sarebbe potuto porre il problema della violazione delle norme di ermeneutica – artt. 1362 e segg. cod. civ. -, in questa sede non sollevato.
III – Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta, ad un tempo, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1102 cod. civ. laddove la Corte del merito ritenne di trarre argomenti per affermare la compatibilità del limite del pari uso della cosa comune, rispetto al dato di fatto rappresentato dalla occupazione – per quanto limitata, ma pur sempre esclusiva – della stessa, facendo riferimento alla volontà assembleare che, invece, non era idonea a modificare la portata normativa del precetto.
III.a – Il motivo è infondato perché parte da un assunto errato, vale a dire che l’uso più intenso della cosa comune non possa estrinsecarsi in un limitato uso esclusivo della medesima: ciò in quanto l’utilizzo di cui si parla va rapportato alla funzione della res communis così che se esso non incide sulla sostanziale fruibilità di essa da parte degli altri condomini, deve dirsi pienamente legittimo: ragionando altrimenti si perverrebbe a legittimare azioni sostanzialmente emulative – perché prive di apprezzabile interesse – da parte del singolo condomino nei confronti della comunità condominiale.
III.a.1 — Appare allora condividibile l’approdo interpretativo della Corte del merito laddove pose a parametro della compatibilità della quale si discute, la decisione unanime (dei presenti all’assemblea) di consentire la prosecuzione dell’utilizzo della cosa comune: tale interpretazione infatti metteva in rilievo la mancanza di lesività della condotta censurata, traendo tale convincimento sia dall’obiettiva minima incidenza materiale dell’uso esclusivo sia dall’assenza di un manifestato interesse contrario, ponendosi così in linea di continuità con l’indirizzo interpretativo di legittimità che rinviene nella valutazione di fatto (incensurabile in quanto tale in Cassazione) della coesistenza dei due usi (quello più intenso del condomino e quello generico della comunità condominiale) un sicuro parametro di valutazione della legittimità dell’uso del singolo sul bene condominiale (cfr. Cass. sez. II n. 4617/2007 “L’uso paritetico della cosa comune, che va tutelato, deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell’utilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente ipotetica e astratta essi ne potrebbero fare”).
III.a.2 A riprova dell’assunto sta poi la constatazione che il T. non ha mai affermato di aver subito, lui personalmente, né che altri condomini avessero avuto a soffrire di una limitazione dell’utilizzo del muro del seminterrato o dello spazio occupato dalla fioriera e dalla vaschetta di raccolta delle acque, nelle loro attività quotidiane o eccezionali di utilizzazione di tali spazi.
IV – Il ricorso è pertanto idoneo ad essere trattato in camera di consiglio a’ sensi degli artt. 375 n. 1, 376 e 380 bis cpc, per essere dichiarato manifestamente infondato”.
Osserva. Il Collegio concorda con le conclusioni sopra riportate, contro le quali parte ricorrente non ha svolto argomentazioni critiche idonee, avendo ribadito le proprie tesi nella memoria depositata a’ sensi dell’art. 380 bis II comma, cpc: in particolare, per quanto concerne la dedotta erronea interpretazione dell’oggetto del secondo motivo – come sostanzialmente diretto a sindacare la portata dell’art. 1102 cod. civ., integrato dalla normativa pattizia-, va osservato che le argomentazioni svolte per il rigetto del terzo motivo, comunque valgono per analoga soluzione anche per il secondo (vedi p. III.a della relazione).
Il ricorso va dunque rigettato; consegue la condanna del soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità secondo la quantificazione indicata in dispositivo; sussistono altresì i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 quater dell’art. 13, d.P.R. n. 115/2002.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 1.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori dovuti per legge, in favore della parte controricorrente; a’ sensi dell’art. 13, comma I quater, del d.P.R. n. 115/2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso stesso, a norma del comma I bis dello stesso art. 13.

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