cassazione 7

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI

ordinanza 25 febbraio 2015, n. 3870

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CICALA Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 23330/2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS) in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

STUDIO PILLA SOCIETA’ SEMPLICE in persona del socio, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato ANGELA BUCCICO, che lo rappresenta e difende, giusta procura alle liti a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 43/13/2012 della Commissione Tributaria Regionale di BOLOGNA dell’11.6.2012, depositata il 09/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/12/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

udito per la ricorrente l’Avvocato Valentina Fico che si riporta agli scritti;

udito per il controricorrente l’Avvocato Angelo Buccico che si riporta al controricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte, rilevato che:

– con istanza la parte contribuente ha chiesto il rimborso dei versamenti effettuati per IRAP, sulla premessa che – avendo i soci di detta società semplice svolto mera attività di lavoro autonomo come amministratori condominiali, sia pure con la modalità collettiva e nella composizione di quattro soci per i primi due anni e di due soci per gli anni successivi – fosse carente il presupposto necessario ai fini dell’assoggettabilità al tributo e cioè l’autonoma organizzazione dell’attività lavorativa;

– maturatosi il silenzio rifiuto, la contribuente ne aveva fatto impugnazione avanti alla Commissione provinciale che aveva accolto il ricorso ritenendo che dall’esame delle emergenze di causa si desumesse l’inesistenza di una struttura autonomamente organizzata, avendo i soci esercitato l’attività in via quasi esclusivamente personale e senza l’ausilio di personale dipendente o ingenti cespiti;

– la Commissione regionale, adita dalla parte pubblica, ha respinto l’appello, confermando l’annullamento del silenzio-rifiuto sull’istanza di rimborso con riferimento a tutti i periodi di imposta in esame, eccezion fatta per il diniego del rimborso dell’IRAP relativa all’anno 2003 (in considerazione del fatto che l’imposta dovuta per l’anzidetto periodo risultava portata in compensazione di quella dovuta per l’anno successivo);

– con la sentenza oggetto del ricorso per cassazione la CTR Emilia Romagna – dopo avere rammentato che, anche a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 156/2001, l’IRAP deve considerarsi come un prelievo sul valore aggiunto prodotto da attività autonomamente organizzate, elemento necessariamente connaturato all’attività di impresa ma non ineludibile per ciò che concerne l’attività di lavoro autonomo, sicchè con riferimento a quest’ultima ipotesi il presupposto di imposta deve essere accertato caso per caso, con onere di prova a carico della parte contribuente che insta per il rimborso – ha evidenziato che la parte contribuente ha “sufficientemente provato e documentato” il difetto dell’autonoma organizzazione, per avere esercitato l’attività in via quasi esclusivamente personale, senza l’ausilio di personale dipendente e/o ingenti cespiti;

– il ricorso per cassazione è sostenuto con due motivi d’impugnazione e si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con la consequenziale regolazione delle spese di lite;

– con il primo motivo d’impugnazione l’Agenzia ricorrente prospetta la violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, per avere la CTR escluso l’esistenza del requisito dell’autonoma organizzazione, nonostante la norma dianzi menzionata preveda espressamente che costituisce in ogni caso presupposto d’imposta l’attività esercitata dalle società e nonostante sia pacifico nell’insegnamento del Giudice di legittimità che l’elemento organizzativo è necessariamente connaturato alla nozione di impresa, così che i redditi che ne derivano sono di per sè sottoposti ad imposta. E perciò, lo svolgimento in forma di società semplice (non meno dello svolgimento in forma associativa) dell’attività professionale non può essere mai esonerato dal versamento dell’IRAP, atteso che la pattuizione dell’esercizio associato di una professione intellettuale ha il fine di consentire ai soci di avvalersi della reciproca collaborazione e competenza ovvero anche della sostituibilità nello svolgimento di alcune incombenze, con l’effetto di escludere l’autonomia organizzativa meramente soggettiva e personale, sicchè è proprio nella presenza di più professionisti, tutti operanti nello stesso settore di attività, che è insito il concetto stesso di organizzazione. D’altronde era anche risultato pacificamente che le spese sostenute per l’esercizio dell’attività erano significative (dal 34% al 44% dei ricavi, a seconda degli anni); che erano stati conseguiti “significativi realizzi finali”; che la società si era avvalsa di un’immobile, sebbene condotto in locazione, per l’esercizio delle attività professionali sicchè non doveva essere esclusa l’autonoma organizzazione anche solo per questo puro fatto, secondo il consolidato insegnamento del giudice di legittimità;

– con il secondo motivo l’Agenzia ricorrente prospetta insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo, ed esattamente con riferimento all’elemento della autonoma organizzazione, dirimente ai fini dell’applicazione dell’IRAP nella specie di causa, per avere il giudicante omesso di esprimere ogni genere di valutazione in riferimento all’apposita eccezione formulata dall’Agenzia (nella quale si evidenziava la consistenza delle quote di ammortamento per spese di acquisto di beni mobili e si evidenziavano gli ingenti costi sostenuti per canoni di locazione relativi all’immobile nella quale l’attività era stata esercitata) e per non avere il giudicante tenuto debito conto di quanto evidenziato dall’Agenzia circa gli elementi idonei ad integrare il requisito anzidetto (ed esattamente la assimilazione necessaria tra attività svolta nelle forme della società semplice o nelle forme associati ve a quella soggetta a tassazione per legge).

Tanto premesso e considerato, la Corte OSSERVA:

La vicenda oggetto di controversia – il cui nucleo giuridico si sostanzia nel quesito, aderente alla tesi di parte ricorrente, se sia oggetto di necessaria rilevanza ai fini dell’IRAP l’esercizio di attività professionale svolta nelle forme giuridiche societarie (quale che ne sia la tipologia giuridica) – merita di essere trasmessa al Primo Presidente della Corte, affinchè valuti l’opportunità di fame rimessione alle Sezioni Unite, involgendo essa una questione di massima di particolare importanza, in ragione delle conseguenze che possono derivare dal seguire l’una o l’altra ricostruzione del dato normativo.

A questi fini, necessità muovere dalla considerazione che l’art. 2 del D.Lgs. n. 446 del 1997, nella sua originaria formulazione, prevedeva quanto di seguito: “Presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di una attività diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. L’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta”.

Emerge con chiarezza dalla lettera della previsione normativa che il legislatore, pur considerando centrale ai fini della qualificazione del fenomeno economico oggetto di imposizione il carattere dell’abitualità nell’esercizio dell’attività specificata, ha ritenuto di poterne prescindere in riferimento al fenomeno societario (quale che ne sia la tipologia giuridica considerata), alla luce del fatto che – come si evince anche dalla nozione civilistica della società codificata nell’art. 2247 c.c., e da le indicazioni desumibili da varie fonti specifiche della materia tributaria, quale, per esempio, D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, comma 3, lett. b, e art. 6, comma 3 – ai fini tributari, il requisito anzidetto risulta indice imprescindibile della professionalità necessaria per l’acquisto della qualità di imprenditore individuale, mentre non è tale con riferimento agli enti qualificati a norma dell’art. 2247 c.c., atteso che la disciplina tributaria non richiede, ai fini di una simile imposizione, altro requisito se non la ravvisabilità nell’oggetto sociale dell’esercizio di un’attività commerciale, ed essendo implicito il predetto requisito nelle finalità della costituzione dell’ente (per alcuni profili di rilievo della menzionata problematica, nell’ottica tributaria, si vedano Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15538 del 06/11/2002 e Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2200 del 31/01/2014, in riferimento alla fattispecie della società di fatto).

Senonchè, al testo dell’originaria previsione normativa il D.Lgs. 10 aprile 1998, n. 137, ha poi aggiunto – nel citato art. 2 – la specificazione secondo cui la attività deve essere “autonomamente organizzata”.

Non si tratta di una semplice qualificazione delle modalità individuali di esercizio dell’attività (alla stregua di ciò che concerne il requisito dell’abitualità) ma di vera e propria connotazione del carattere intrinseco della attività stessa, giacchè per suo tramite si è inteso identificare quella sola attività nella quale è coinvolta una capacità produttiva “impersonale ed aggiuntiva” rispetto a quella propria del “professionista” (determinata dalla sua cultura e preparazione professionale) così che si esclude che possa essere colpito un mero “reddito”, e si garantisce che sia colpito un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto (“imposta di carattere reale che colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate” secondo la definizione datane da Corte Costituzionale n. 156/2001), derivante da una struttura organizzativa “esterna”, cioè da “un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico, siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know-how del professionista”, in termini tali che è “il surplus di attività agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista… ad essere interessato dall’imposizione che colpisce l’incremento potenziale, o quid pluris, realizzabile rispetto alla produttività auto organizzata del solo lavoro personale” (in questi termini Cass. sez. 5^ sentenza n. 19769 del 28 agosto 2013. D’altra parte, sin da subito la giurisprudenza di legittimità ebbe a respingere la tesi secondo cui le parole “autonoma organizzazione” costituirebbero soltanto un chiarimento ed una specificazione del requisito della “abitualità” in termini tali che detto requisito potrebbe rinvenirsi negli elementi propri di ogni professione continuativamente esercitata; per contro, è stato anche contestualmente evidenziato che “non è di ostacolo alla sussistenza dei requisiti per l’applicazione dell’Irap il fatto che l’apporto del titolare sia insostituibile o per ragioni giuridiche o perchè la clientela si rivolga alla struttura in considerazione delle particolari capacità del titolare stesso”; si vedano Cass. sez. 5^, sentenza n. 5011 del 5 marzo 2007 e Cass. sez. 5^, sentenza n. 8171 del 2 aprile 2007).

E perciò anche il successivo articolo 3, nell’identificare i soggetti passivi dell’imposta (tra i quali anche “le società in nome collettivo e in accomandita semplice e quelle ad esse equiparate a norma dell’art. 5, comma 3, del predetto testo unico” e perciò anche le società semplici), a mezzo del richiamo di “una o più delle attività di cui all’art. 2”, non può che riferirsi a quei soggetti (individuali o collettivi) che esercitano – appunto – una “attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”.

Una siffatta lettura delle disposizioni richiamate consentirebbe di attribuire all’art. 2, comma 2, la funzione di precisare che le attività identificate nel comma 1, se esercitate dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta, senza necessità di accertare il requisito della abitualità, ma purchè sussista in concreto il requisito della “autonoma organizzazione”.

In questi termini potrebbe darsi seguito, anche con riferimento alla specie di causa, alla riconosciuta salvezza della legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 3, decretata dalla dianzi menzionata pronuncia della Corte Costituzionale, proprio sulla dichiarata premessa che “mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorchè svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui. Ma è evidente che nel caso di una attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione – il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto – risulterà mancante il presupposto stesso dell’imposta sulle attività produttive, per l’appunto rappresentato, secondo l’art. 2, dall’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta stessa”.

Non è chi non veda, perciò, che una lettura parcellizzata e disgiunta del requisito soggettivo e del presupposto di imposta, nel caso dell’IRAP, sarebbe fuorviante, non potendosi intendere l’uno se non alla luce dell’altro.

Lettura, questa, che appare ineludibile al fine di garantire quello “uso ragionevole dei suoi” (cioè del legislatore) “poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di determinare la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarietà dell’entità dell’imposizione” (in questi termini, Corte Cost. sentenza n. 3 del 1997 e, più recentemente Corte Cost. sentenza n. 10 del 2015), così come al fine di garantire di non “sottoporre ad identico regime situazioni radicalmente diverse” (tra le altre, Corte Cost. sentenza 228 del 6 ottobre 2014). E’ d’altronde ovvio che i criteri scolpiti negli artt. 3 e 53 della Costituzione debbono essere tenuti presenti anche dai giudici, chiamati a dar ragionevolezza alle applicazioni del diritto vivente, se necessario attraverso un’interpretazione “costituzionalmente orientata”.

E perciò, se la novella normativa del 1998 ha derogato alla originaria coerenza logica del sistema impositivo dell’IRAP allo scopo – dichiarato – di prevenire un intervento del Giudice delle leggi analogo a quello che aveva in passato escluso dall’applicazione dell’ILOR la quasi totalità dei lavoratori autonomi, spetta all’interprete riequilibrare il meccanismo interno del sistema impositivo, rendendone omogenee le applicazioni, al fine di assicurare che il nucleo logico di fondo non generi contraddittorietà.

In definitiva, ai fini IRAP – per quanto qui interessa – non si appalesa sufficiente l’accertamento della mera esistenza di una organizzazione di fattori produttivi (che è l’antefatto dell’apprezzamento demandato al giudicante e che solo in ipotesi teoriche e di scuola risulta totalmente assente) ma risulta dirimente la qualificazione del rapporto che intercorre tra detti fattori produttivi, in termini tali che il contributo apportato all’incremento del valore netto della produzione da quelli aggiuntivi (rispetto alla prestazione d’opera intellettuale) sia connotato da “rilevanza” e non possa supporsi che sia già stato oggetto di tassazione per imposizione diretta del reddito, in capo al datore di lavoro o al professionista che della prestazione sia l’esecutore diretto.

Se così non fosse, resterebbe nei fatti negata e disattesa la richiamata pronuncia del Giudice delle leggi che ha riconosciuto la costituzionalità del complessivo impianto normativo dell’IRAP alla luce della duplice caratteristica della base imponibile di quest’ultima, differenziata rispetto al reddito da lavoro autonomo per il fatto di essere frutto dell’integrazione aggiuntiva di fattori produttivi ulteriori e contempo assimilata al regime dell’impresa dalla rilevanza non marginale che i predetti fattori produttivi aggiuntivi esercitano, una volta integrati nell’attività per effetto della capacità organizzativa del prestatore d’opera, capacità organizzativa che non ci sarebbe modo alcuno per apprezzare se detti fattori produttivi aggiuntivi non fossero appunto “rilevanti” e perciò di consistenza maggiore rispetto al “minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione” (in questi termini, tra le altre, Cass. sez. 6^, Sent. n. 26988 del 19 dicembre 2014).

Orbene, in un quadro normativo così caratterizzato, le Sezioni Unite di questa Corte sono già state chiamate a dirimere il dubbio se “i contribuenti le cui attività costituiscono “esercizio di impresa” ai sensi dell’art. 2195 c.c. (come nel caso di specie quella di “agente di commercio”) possano essere considerati “lavoratori autonomi professionali” e, quindi, essere assoggettati ad IRAP, solo qualora sia accertata una organizzazione autonoma della loro attività, ovvero se lo debbano essere, comunque, “ontologicamente”, in relazione al fatto che svolgono una delle attività considerate dal richiamato art. 2195 c.c.”. Nell’ipotesi in questione le Sezioni Unite di questa Corte (si veda Cass. sez. un. Sez. U, Sentenza n. 12109 del 2009) conclusero nel senso che:”In tema di IRAP, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo, e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio delle attività di agente di commercio, di cui alla L. n. 204 del 1985, art. 1, e di promotore finanziario di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, comma 2, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata”.

Nelle premesse argomentative della pronuncia or ora menzionata le Sezioni Unite evidenziano che “tra i soggetti incisi dall’imposta sono collocate le persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, comma 3, esercenti arti e professioni di cui all’art. 49, comma 1, medesimo Decreto (art. 3, comma 1, lett. c), ossia i lavoratori autonomi, la categoria di contribuenti rispetto alla quale è apparsa più discutibile la identificazione dei requisiti per l’applicabilità dell’imposta e più marcato il possibile contrasto della imposta stessa con i principi costituzionali di uguaglianza, di capacità contributiva e di tutela del lavoro, tanto da determinare l’intervento della Corte costituzionale”.

Dopo avere posto in luce che “resta ineludibile, per la soluzione del problema che qui interessa, accertare in base a quali criteri si possa dire che un determinato soggetto, rispetto al quale debba essere applicata l’imposta, sia definibile un “imprenditore” e quando un “lavoratore autonomo”, ed avere rammentato che” quel che è stabilito per le imposte sul reddito non può essere riconosciuta una efficacia condizionante ai fini dell’interpretazione di imposte, come è l’IRAP, che rispondono ad altri criteri e ad una diversa ratio impositiva”, le Sezioni Unite hanno inteso ribadire che “l’IRAP…..pur essendo una imposta diversa dall’ILOR, presuppone, comunque e soprattutto alla luce delle indicazioni emergenti dalla sentenza n. 156 del 2001 della Corte costituzionale, che il lavoro autonomo possa essere legittimamente inciso solo qualora vi sia organizzazione di capitali o lavoro altrui, ossia quando vi sia un quid pluris che ecceda il lavoro personale di colui che svolge l’attività di riferimento”.

In quest’ottica, le ridette Sezioni Unite hanno sollecitato i giudicanti a considerare che “non è, infatti, la oggettiva natura dell’attività svolta ad essere alla base dell’imposta, ma il modo – autonoma organizzazione – in cui la stessa è svolta, ad essere la razionale giustificazione di una imposizione sul valore aggiunto prodotto, un quid che eccede il lavoro personale del soggetto agente ed implica appunto l’organizzazione di capitali o lavoro altrui”: se ciò non fosse, e il lavoro personale bastasse, l’imposta considerata, non solo non sarebbe vincolata all’esistenza di una autonoma organizzazione, ma si trasformerebbe inevitabilmente in una sostanziale imposta sul reddito”.

Non è inibito desumerne – per estensione logica – un principio di carattere generale nel senso che non prospettabile neppure una corrispondenza biunivoca tra tipologia giuridica scelta per l’esercizio dell’attività produttiva e sottoposizione ad IRAP, dovendosi comunque indagare il presupposto imprescindibile dell’autonoma organizzazione.

D’altra parte, le pronunce a sezioni semplici di questa Corte che si sono occupate dell’esercizio in forma societaria di attività professionale (o di lavoro autonomo, per voler restare legati agli schemi civilistici nazionali) si sono limitate a considerare che “per la forma nella quale l’attività stessa è svolta, costituisce pertanto ex lege presupposto d’imposta (“in ogni caso”), prescindendosi dal requisito dell’autonoma organizzazione” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15317 del 19/06/2013 annotate in “Vita Notarile, anno 2013, fase. 3, pag. 1364; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15317 del 2013).

Per contro, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21326 del 2013, occupandosi di una fattispecie di svolgimento di lavoro autonomo nelle forme dell’adesione ad una società cooperativa, non ha ritenuto (nonostante il formale ossequio alla regola secondo cui “l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta”), di risolvere la lite nel senso dell’applicazione dell’assunta corrispondenza necessaria ma sulla scorta della necessità (nella specie di causa non considerata, dalla parte ricorrente) di fare riferimento alle concrete modalità di svolgimento del contributo reso dai servizi comuni, così implicitamente confermando che anche in materia societaria il requisito dell’organizzazione autonoma è un profilo “di fatto” da valorizzarsi caso per caso.

La difficoltà evidente di rinvenire, nel tessuto argomentativo delle decisioni fini qui richiamate, un lineare percorso logico- argomentativo che consenta di fare applicazione uniforme della regola desumibile dal D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3, alle fattispecie di attività professionale espletata nella veste societaria, rafforza il convincimento di questa Corte in ordine all’opportunità che la questione sia devoluta alle Sezioni Unite, ai fini di un auspicabile chiarimento a tutto tondo, in modo da ottenere una pronuncia vincolante per i collegi ordinari, e che costituisca un sicuro punto di riferimento anche per coloro che debbono redigere ricorsi.

P.Q.M.

si sottopone al Primo Presidente l’opportunità di devolvere alle Sezioni Unite la questione di massima di particolare importanza se, in applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3, debba essere sottoposto ad IRAP il “valore aggiunto prodotto nel territorio regionale” da attività di tipo professionale espletate nella veste giuridica societaria, ed in particolare di società semplice, anche quando il giudice valuti non sussistente una “autonoma organizzazione” dei fattori produttivi.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2015

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