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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI CIVILE

Ordinanza 20 febbraio 2014, n. 4093

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GOLDONI Umberto – Presidente –
Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso iscritto al N.R.G. 21784/2012 proposto da:
S.G. (C.F.: (OMISSIS)) e D.F.T. C. (C.F.: (OMISSIS)), in proprio e quali esercenti la potestà sul figlio minore S.G., rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. DE LISA Giuseppe ed elettivamente domiciliati presso l’Avv. Serena Freddi (studio legale Avv. PETRILLO Marciano), in Roma, p.zzale Clodio, n. 18;
– ricorrenti –
contro
D.G. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Cipriano Renato ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Bazzani Gino, in Roma, via Monte Acero, n. 2/A;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza n. 367 del 2011 del Tribunale civile di S. Angelo dei Lombardi, depositata il 5 luglio 2011 (e non notificata).
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott. CARRATE Aldo;
letta la memoria depositata – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2, nell’interesse dei ricorrenti;
sentito l’Avv. De Lisa Giuseppe per i ricorrenti.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 22 aprile 2013, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.: “Con atto di citazione, notificato il 10 febbraio 2007, i sigg. S.G. e D.F.T.C., in proprio e quali esercenti la potestà sul figlio minore S. G., convenivano in giudizio, davanti al Giudice di pace di Frigento, il sig. D.G. perchè gli fosse ordinato, una volta accertata l’intollerabilità delle immissioni prodotte dalla canna fumaria del convenuto, di eseguire le opere idonee ad eliminare le immissioni stesse e perchè fosse condannato al risarcimento dei danni.
Radicatosi ritualmente il contraddittorio, il Giudice di pace, con sentenza n. 119/2009, accoglieva la domanda attorea, vietando azioni atte a provocare immissioni di fumo sino alla realizzazione di una nuova canna fumaria esterna e condannava il sig. D. al risarcimento dei danni subiti sia dai coniugi, che dal loro figlio minore.
Interposto appello dal sig. D., con atto di citazione notificato il 30 1 aprile 2009, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, con sentenza n. 367/2011, depositata il 5 luglio 2011, dichiarata la contumacia degli appellati, in parziale riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda proposta in primo grado dai coniugi S.; rigettava, altresì, la domanda riconvenzionale, avanzata davanti al Giudice di pace, dal sig. D.;
dichiarava interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di primo grado, mentre nulla disponeva per le spese relative al giudizio di secondo grado.
Avverso la citata decisione i sigg. S.G. e D. F.T.C., in proprio e quali esercenti la potestà sul figlio minore S.G., proponevano ricorso per cassazione, notificato il 2 ottobre 2012 e depositato il 12 ottobre 2012, articolato in un unico motivo, al quale il sig. D. resisteva con controricorso.
Ritiene il relatore, che avuto riguardo all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., n. 5, sussistono le condizioni per pervenire al rigetto del ricorso per sua manifesta infondatezza e, quindi, per la sua conseguente definizione nelle forme del procedimento camerale.
Con l’unico motivo formulato i ricorrenti hanno prospettato la violazione degli artt. 844 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., n. 5.
In particolare, i predetti ricorrenti hanno inteso evidenziare che il Giudice d’appello aveva adottato una motivazione solo apparente, laddove lo stesso aveva statuito “che nel caso di specie gli attuali appellanti avessero l’onere di provare, in concreto, l’effettiva nocività delle immissioni ed i danni derivati alla loro salute, conformemente a quanto affermato dalle più recenti pronunzie di legittimità” e che, inoltre, non aveva accordato la tutela inibitoria di cui all’art. 844 c.c..
Tale complessa doglianza appare, ad avviso del relatore, palesemente destituita di pregio.
Infatti, il Giudice di secondo grado ha chiaramente sottolineato che non si poteva riscontrare, nella fattispecie in esame, il requisito dell’intollerabilità, previsto dall’art. 844 c.p.c., come elemento essenziale ai fini del riconoscimento della tutela inibitoria e che, conseguentemente, il dettato normativo del presente articolo, non era passibile di applicazione estensiva, in assenza di quel carattere, ritenuto fondamentale dalla giurisprudenza di legittimità (cfr, fra tutte, Cass. n. 1404/1979).
Nel dettaglio, come anche puntualizzato dagli stessi coniugi nell’atto di citazione, le immissioni di cui trattasi erano state occasionali e sporadiche, essendosi verificate nella loro abitazione solo in due occasioni (precisamente, il 30 novembre 2005 e il 25 gennaio 2007); per di più, come correttamente evidenziato dal Giudice d’appello, la circostanza che esse fossero avvenute a notevole distanza di tempo (oltre un anno) l’una dell’altra, ne escludeva il carattere continuativo e periodico, per il quale è richiesta una certa frequenza e ripetitività nel tempo (non essendo, invece, sufficiente la manifestazione di episodi isolati e circoscritti).
In aggiunta a ciò, nel caso di specie, difettava, altresì, il requisito dell’attualità di una situazione d’intollerabilità:
invero, per quanto accertato in fatto dal giudice di seconde cure (sulla scorta delle risultanze della relazione di c.t.u.), si trattava di pericolo solo potenziale e non anche attuale, in mancanza di un’apprezzabile reiterazione nel tempo delle lamentate immissioni, in virtù del loro carattere sporadico ed occasionale. Infine, il Giudice d’Appello ha rilevato come i coniugi S. non avessero fornito alcuna prova di aver subito, in conseguenza del surriscaldamento della canna fumaria, una specifica compromissione della salute propria e del figlio minore, venendo, in tal modo, a mancare il requisito della materialità, intesa come influenza oggettiva e negativa sull’organismo dell’uomo, tale da oltrepassare il limite della normale tollerabilità.
Del resto, l’impossibilità della configurazione del danno “in re ipsa” arrecato alla salute da immissioni nocive e il correlato onere di provare l’effettiva nocività, sono ormai pacificamente affermati dalla giurisprudenza di questa Corte: infatti, “l’accertata esposizione ad immissioni sonore intollerabili non costituisce di per sè prova dell’esistenza di danno alla salute, la cui risarcibilità è subordinata all’accertamento dell’effettiva esistenza di una lesione fisica o psichica” (cfr. Cass. n. 25820 del 2009 e, da ultimo, Cass. n. 4394 del 2012 secondo cui, “in tema di immissioni eccedenti il limite della normale tollerabilità, non può essere risarcito il danno non patrimoniale consistente nella modifica delle abitudini di vita del danneggiato, in difetto di specifica prospettazione di un danno attuale e concreto alla sua salute o di altri profili di responsabilità del proprietario del fondo da cui si originano le immissioni”).
Alla stregua di quanto esposto, la mancanza dei requisiti dell’attualità e della materialità rendevano impossibile la riconduzione delle lamentate immissioni alla disciplina contenuta nell’art. 844 c.p.c., risolvendosi le stesse, come posto in risalto, in meri fatti unici ed eccezionali.
In tal senso, pertanto, appare del tutto corretto ed adeguatamente motivato il ragionamento espresso dal Giudice d’appello, oltre che rispondente ai principi giuridici affermati da questa Corte intorno alle condizioni di applicabilità della tutela prevista dall’art. 844 c.c..
In definitiva, quindi, si riconferma che sembrano emergere le condizioni per procedere nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., ravvisandosi la manifesta infondatezza dell’unico motivo del ricorso principale, in relazione all’ipotesi enucleata dall’art. 375 c.p.c., n. 5, emergendo l’adeguatezza e la logicità della motivazione della sentenza impugnata nella presente sede di legittimità (donde la sua incensurabilità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e l’insussistenza della dedotta violazione di legge”.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, avverso la quale, peraltro, la memoria difensiva depositata – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2, – nell’interesse dei ricorrenti non apporta nuove argomentazioni sul piano giuridico che risultino idonee a confutare, in modo determinante, il contenuto della relazione stessa, non emerse nemmeno all’esito della discussione orale fatta dal difensore degli stessi ricorrenti, posto che le pronunce richiamate nella suddetta memoria non scalfiscono l’impianto argomentativo di cui alla ricordata relazione, nella quale è stato evidenziato che – con la sentenza impugnata – era stato adeguatamente escluso che fosse stata raggiunta la prova sulla paventata intollerabilità dell’immissioni e, quindi, sulla conseguente configurabilità dei danni alle medesime correlabili;

ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate nei sensi di cui in dispositivo, sulla scorta dei nuovi parametri previsti per il giudizio di legittimità dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (applicabile nel caso di specie in virtù dell’art. 41 dello stesso D.M.: cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.
Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2014.

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