SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI
ORDINANZA 12 marzo 2014, n. 5703
Ritenuto in fatto
Con citazione notificata il 21 ottobre 2011 U.D.A. propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Napoli con il quale, a istanza dell’avvocato P.P., gli era stato intimato il pagamento della somma di curo 25.959,11, oltre interessi e spese.
Eccepì l’opponente l’incompetenza territoriale del giudice adito con il procedimento monitorio, per essere competente il Tribunale di Genova, in quanto foro speciale del consumatore. Resistette l’opposto, segnatamente deducendo l’operatività, nel giudizio di accertamento del credito da emolumenti professionali di avvocato, del foro, anch’esso speciale, di cui all’art. 14 d.lgs. n. 150 del 2011, a tenor del quale la cognizione di siffatte controversie spetta all’ufficio giudiziario adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera.
Con sentenza pronunciata ex art. 281 sexies cod. proc. civ. il giudice adito si è dichiarato territorialmente incompetente, per essere competente il Tribunale di Genova, davanti al quale ha rimesso le parti.
In motivazione ha osservato il decidente che l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dall’opponente, alla luce della ritenuta applicabilità, nei rapporti tra avvocato e cliente, del foro del consumatore, piuttosto che di quello di cui all’art. 637 cod. proc. civ., non poteva essere respinta sulla base del disposto dell’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 150 del 2011.
E invero, a prescindere dal rilievo che la fonte summenzionata era entrata in vigore successivamente al deposito del ricorso, dell’emissione e della notifica del decreto ingiuntivo opposto, il testo della disposizione invocata evidenziava che il foro da essa previsto era un foro alternativo, non atto, dunque, a superare la previsione del foro esclusivo inderogabile di cui al’art. 33, comma 2, lett. u) d.lgs. n. 206 del 2005.
Ha poi aggiunto che, in ragione della inapplicabilità, ratione temporis, del d.lgs. n. 150 del 2011 neppure occorreva disporre la conversione del rito ordinario di cognizione nel rito sommario da quella fonte previsto. Avverso detta decisione propone ricorso per regolamento di competenza P.P.
La controparte non ha svolto attività difensiva.
Il Procuratore generale, nella sua requisitoria scritta, ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1. A sostegno del mezzo ricorda preliminarmente l’esponente che la sentenza con cui il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo dichiara l’incompetenza territoriale dell’ufficio che lo ha emesso, non comporta la declinatoria della competenza funzionale ed inderogabile di quest’ultimo a decidere sulla opposizione ma contiene, ancorché implicita, la declaratoria di invalidità del decreto ingiuntivo, di talché, mentre la tempestiva riassunzione del giudizio dinanzi al giudice dichiarato competente non può essere riferita alla causa di opposizione al decreto, che ormai non esiste più, ma costituisce un nuovo atto di impulso di un ordinario giudizio di cognizione avente ad oggetto la medesima domanda proposta con il ricorso in via monitoria, la mancata riassunzione nei termini della causa determina l’estinzione del giudizio di opposizione, con conseguente definitiva efficacia esecutiva del provvedimento monitorio soltanto se la pronuncia con cui il giudice dell’opposizione dichiari la propria incompetenza non contenga (o anzi escluda) una contestuale pronuncia (sia pure implicita) di revoca o di nullità del decreto opposto (confr. Cass. civ. 9 novembre 2004, n. 21297).
Sostiene quindi l’erroneità della declaratoria di incompetenza del giudice adito in ragione del carattere funzionale e inderogabile del foro previsto dall’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, che, in quanto norma speciale successiva, avrebbe una portata limitatrice della norma speciale precedente, costituita dal foro del consumatore.
Conseguentemente, secondo l’esponente, mentre il decreto ingiuntivo, in quanto pronunciato da giudice incompetente, andava dichiarato nullo o inefficace, alla luce della consolidata giurisprudenza del Supremo Collegio (confr. Cass. civ. 1° ottobre 2003, n. 14669; Cass. civ. 9 giungo 2011, n. 12685), per la causa di merito doveva essere riconosciuta la competenza a conoscerne del Tribunale di Napoli, in applicazione del d. lgs. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011.
2. Si duole anche l’impugnante che il Tribunale non abbia disposto il mutamento di rito, ex art. 4 d.lgs. n. 150 del 2011, ritenendo inapplicabile ratione temporis tale norma. L’affermazione – rileva – sarebbe in contrasto con il principio per cui, una volta dichiarata la nullità del decreto ingiuntivo, la riassunzione davanti al giudice dichiarato competente costituisce nuovo atto di impulso di un ordinario giudizio di cognizione.
3. Il ricorso è infondato.
L’operatività del principio, ormai assurto a diritto vivente, per cui l’irrilevanza, ai fini della giurisdizione e della competenza, dei mutamenti legislativi successivi alla proposizione della domanda, sancita dall’art. 5 cod. proc. civ., opera nel caso in cui il sopravvenuto mutamento dello stato di diritto privi il giudice della giurisdizione o della competenza che egli aveva quando la domanda è stata introdotta, non già nel caso, inverso, in cui esso comporti l’attribuzione della giurisdizione o della competenza al giudice che ne era inizialmente privo (Cass. civ. sez. un. 16 aprile 2009, n. 8999; Cass. civ. sez. un. 19 febbraio 2002, n. 2415), non giova al ricorrente, stante la perdurante valenza delle ragioni che hanno già indotto questa Corte ad affermare, sia pure con riferimento al contesto normativo antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2011, la prevalenza del foro del consumatore rispetto a quello di cui può avvalersi l’avvocato che agisca nei confronti del proprio cliente al fine di ottenere il pagamento della competenze professionali (confr. Cass. civ. 9 giugno 2011, n. 12685). E tanto sull’abbrivio dell’esegesi seguita dalle sezioni unite nell’arresto n. 14669 del 2003, sintetizzata nel rilievo, prioritario ed assorbente, per quanto subito si dirà, che la competenza del giudice del luogo di residenza o di domicilio elettivo del consumatore è una competenza esclusiva, che prevale su ogni altra.
4. Per l’esatta comprensione della portata di tale affermazione occorre muovere dalla considerazione che i diritti del consumatore – i quali, pur non essendo direttamente previsti dalla Costituzione repubblicana, sono tuttavia al centro di numerose norme dell’Unione europea, a partire dal Trattato di Roma del 25 marzo 1957, che individua nella protezione del consumatore uno degli obiettivi primari dell’Unione (artt. 4, 12, 114 e 169), fino alla Carta di Nizza che all’art. 38 ne ribadisce la rilevanza – hanno trovato tutela, nel nostro ordinamento, in una serie di leggi che, a partire dagli anni ’80, si sono succedute in ordine sparso (quali, a puro titolo esemplificativo, il d.P.R. n. 903 del 1982, recante attuazione della direttiva 79/581/CEE, relativa alla indicazione dei prezzi dei prodotti alimentari ai fini della protezione dei consumatori; il d.lgs. n. 224 del 1988, in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi; la legge n. 126 del 1991, recante norme per l’informazione del consumatore; il d.lgs. 15 gennaio 1992, n. 50, in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali), per confluire infine nel d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, non a caso intitolato Codice del consumo.
5. Per quanto qui interessa, questa sorta di statuto del consumatore – in via di principio applicabile alla persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta (ex art. 3, lett. a, come modificato dall’art. 3 del d.lgs. n. 221 del 2007) – rinviene le ragioni di fondo della protezione accordata in una presunzione di inesperienza, scarsa informazione e soprattutto debolezza contrattuale dello stesso nei confronti della controparte, che, in quanto professionista, e cioè persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale (art. 3, lett. c, della medesima fonte testé citata), è ragionevolmente molto meglio attrezzata a gestire tutte le fasi del contratto, da quella delle trattative a un eventuale contenzioso.
Ora, siffatte esigenze di tutela (non a caso costantemente valorizzate nella giurisprudenza del Giudice delle leggi: confr. Corte cost. n. 180 del 2009; n. 372de1 2008; n. 428 del 2000, n. 428), non potevano non avere una sponda anche sul terreno processuale, attraverso la previsione di un foro comodo per l’utente, essendo di intuitiva evidenza che l’obbligo di sostenere il giudizio in una località diversa da quella di residenza o di domicilio, limiterebbe fortemente il diritto del consumatore di agire in giudizio, in special modo quando, come il più delle volte accade, a fronte degli alti costi, economici e non, implicati da un processo che si svolga a notevole distanza da quei luoghi, la controversia sia di esiguo valore monetario.
Peraltro, proprio la stretta connessione funzionale della agevole accessibilità del giudice competente a conoscere di questo genere di cause alla effettività della protezione riconosciuta dall’ordinamento, marca la necessità di connotare quel foro come foro esclusivo e tendenzialmente preminente, posto che, in caso contrario, esso sarebbe destinato a essere agevolmente spazzato via attraverso la previsione, non importa se contrattuale o legale, di un foro vantaggioso per la controparte professionale.
6. In tale contesto, si colgono allora le ragioni dell’affermazione di questa Corte allorché, ragionando con riferimento alla disposizione contenuta nel n. 19 dell’art. 1469 bis cod. civ., disse che, se è vessatoria la clausola che stabilisce il foro competente in una località diversa da quella della sede del consumatore, ‘si deve dire che il foro competente non può essere stabilito in nessun altro luogo che sia diverso da quello in cui il consumatore ha sede’, con l’ulteriore corollario di considerare tout court derogate le norme sulla competenza stabilite dal codice di procedura civile; inoperante, in parte qua, la generica previsione di salvezza delle clausole che riproducono norme di legge, dettata nel 3° comma dell’art. 1469 ter cod. civ. e conseguentemente vessatoria anche la clausola che stabilisca come foro competente, se il consumatore non vi ha sede, uno di quelli che avrebbero potuto risultare individuati in base al funzionamento dei vari criteri di collegamento stabiliti dal codice di procedura civile (confr. Cass. civ. sez. un. 1 ° ottobre 2003, n. 14669).
7. Ancora due notazioni indispensabili per completare la ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
La disciplina di protezione del consumatore non è limitata al caso in cui il contratto sia concluso per iscritto con rinvio a condizioni generali o mediante moduli o formulari. Lo si evince dal disposto degli artt. 34, comma 5, e 35 del codice del consumo (già artt. 1469 ter e quater cod. civ.), che elevano siffatte ipotesi a presupposto di applicazione di ulteriori disposizioni di tutela, così indirettamente qualificandole come meramente eventuali. Peraltro, come questa Corte ha già avuto modo di precisare (confr. Cass. civ. 9 giugno 2011, n. 12685), uno dei ‘considerando’ di introduzione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio in data 5 aprile 1993, prevede espressamente che ‘il consumatore deve godere della medesima protezione nell’ambito di un contratto orale e di un contratto scritto’.
8. A ciò aggiungasi, quale ulteriore elemento sintomatico della particolare attenzione del legislatore alla preservazione, in favore del contraente debole, della concreta praticabilità della via giudiziaria, che gli artt. 63 e 79 del Codice del consumo sanciscono l’inderogabilità della competenza territoriale del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore nel caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, a distanza, o aventi ad oggetto multiproprietà, così stabilendo una tutela ancora più forte di quella di cui all’art. 33, lett. u), posto che il foro ivi previsto può essere derogato attraverso una trattativa delle parti.
9. Se tutto questo è vero, la competenza dell’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera, sancita dall’art. 14, secondo comma, d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, è destinata inesorabilmente a cedere di fronte a quella del foro del consumatore, la cui specialità prevale sulla specialità della disposizione testé menzionata, così come era già prevalsa su quella della disciplina racchiusa nell’art. 637 cod. proc. civ., rispetto alla quale la normativa del 2011 ha del resto carattere meramente ricognitivo (confr. Cass. civ. n. 12685 del 2011 cit.).
Ne deriva che di nessuna utilità è, sotto questo riguardo, l’enfatizzazione del richiamo al criterio della successione delle leggi, contenuto nell’arresto n. 21814 del 2009, innanzi menzionato, e ciò sia in quanto la preminenza della competenza del giudice del luogo di residenza o domicilio del consumatore risponde a una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni che la prevedono, sia in quanto la nuova fonte nulla ha innovato, nella realtà, essendosi limitata a ribadire una scelta normativa già presente nell’ordinamento. 10. Infine le doglianze volte a far valere l’error iuris in cui sarebbe incorso il giudice di merito per non aver disposto il cambiamento di rito, esulano, all’evidenza, da quelle prospettabili con il mezzo azionato, non sostanziandosi in una declinatoria di competenza (confr. Cass. civ. 12 maggio 2011, n. 10485; Cass. civ. 20 settembre 2013, n. 21669).
Il ricorso è respinto.
La mancata costituzione in giudizio della parte vittoriosa preclude ogni pronuncia in ordine alle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
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