cassazione 5

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 1 ottobre 2014, n. 20720

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente
Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere
Dott. MANNA Felice – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30236-2011 proposto da:

PREFETTURA – UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI REGGIO CALABRIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 874/2011 del TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA del 27/05/2011, depositata il 30/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/05/2014 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

CONSIDERATO IN FATTO
Il Tribunale di Reggio Calabria, pronunciando sull’appello avverso la sentenza emessa dal Giudice di Pace di Reggio Calabria n. 25/2010 del 30.5.2011, proposto dalla Prefettura di Reggio Calabria nei riguardi di (OMISSIS), con sentenza n. 874/2011 (pubblicata il 30 maggio 2011), lo dichiarava improcedibile. A sostegno dell’adottata decisione il giudice del gravame evidenziava che l’amministrazione appellante al momento della costituzione, in data 27.4.2010, aveva depositato solo una copia, c.d. velina, dell’atto di citazione in appello, priva di qualunque indicazione in ordine all’avvenuta notifica alla controparte, depositando, poi, l’atto di appello munito della relata di notifica solo alla prima udienza di trattazione (il giorno 5.10.2010). Concludeva che siffatta costituzione doveva ritenersi invalida per cui, ai sensi dell’articolo 348 c.p.c., andava dichiarata improcedibilita’ del gravame.
Avverso la menzionata sentenza (depositata il 30 maggio 2011) ha proposto ricorso ordinario per cassazione (notificato il 5/19 dicembre 2011 e depositato il 23 dicembre successivo) la medesima Prefettura denunciando, con unico motivo, la violazione e falsa applicazione degli articoli 348, 347, 165 e 156 c.p.c. per avere il giudice dell’impugnazione ritenuto invalida la costituzione dell’appellante.
L’intimato (OMISSIS) non ha svolto difese in questa fase.
Il consigliere relatore, nominato a norma dell’articolo 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’articolo 380 bis c.p.c. proponendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN DIRITTO
Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex articolo 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta: “Con l’unico motivo l’Amministrazione denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 348, 347, 165 e 156 c.p.c. sul presupposto che, nella fattispecie, il Tribunale di Reggio Calabria avrebbe dovuto ritenere la validita’ della costituzione di esso ricorrente, nella qualita’ di appellante, anche se effettuata mediante il deposito della sola copia, anziche’ dell’originale, dell’atto di appello. A tal proposito la difesa erariale sostiene che la costituzione dell’appellante attraverso il deposito della cosiddetta velina dell’atto di impugnazione, seguito dal successivo deposito del conforme originale notificato, si sarebbe dovuta considerare perfettamente idonea al raggiungimento dello scopo, non solo perche’ non determinava alcuna lesione del diritto alla difesa della controparte, ma anche perche’ non precludeva al giudice la possibilita’ di riscontrare la corretta, instaurazione del giudizio, essendo da. escludere che tale riscontro dovesse avvenire antecedentemente alla prima udienza, come, invece, erroneamente ritenuto dal giudice di appello. In altri termini, la costituzione dell’appellante mediante deposito di copia, anziche’ dell’originale recante la relata di notificazione, dell’atto di impugnazione non avrebbe potuto determinare l’improcedibilita’ dell’appello, integrando una mera irregolarita’ suscettibile di sanatoria mediante il deposito dell’originale entro la prima udienza di trattazione, che si identifica con il momento in cui il giudice e’ chiamato a compiere la verifica della regolare costituzione in giudizio. La difesa erariale ha, inoltre, prospettato che l’applicazione degli esposti principi al caso di specie rende evidente l’inammissibilita’ della riconducibilita’ dell’ipotesi di costituzione mediante la c.d. velina alla diversa fattispecie di omessa tempestiva costituzione, che sola varrebbe a giustificare la pronuncia di improcedibilita’. Ed invero ad una siffatta declaratoria si potrebbe pervenire – nell’ottica delineata dal Ministero ricorrente – solo in caso di accertata difformita’ tra la copia depositata al momento dell’iscrizione a ruolo e l’originale notificato dell’atto di impugnazione, depositato soltanto successivamente, ma ove non sia in discussione – come nella fattispecie – la conformita’ tra i due atti, si dovrebbe ritenere che il deposito della velina in luogo dell’originale una mera irregolarita’, non integrando tale deviazione dal modello legale una costituzione priva dei requisiti necessari al raggiungimento dello scopo dell’atto e non comportando essa alcuna violazione dei diritti difensivi della parte appellata.
Occorre osserva che il Tribunale reggino, nel dichiarare l’improcedibilita’ dell’appello con la sentenza impugnata, si e’ conformato ad uno specifico orientamento emerso nella giurisprudenza di questa Corte, espressosi soprattutto nelle sentenze n. 18009 del 2008 e n. 10 del 2010. Secondo queste due pronunce, infatti, il deposito dell’atto di citazione in appello privo della notifica alla controparte, all’atto della costituzione nel giudizio di secondo grado, determinerebbe l’improcedibilita’ del gravame ex articolo 348 c.p.c., essendo privo di effetti sananti l’eventuale deposito tardivo dell’atto notificato in prima udienza, oltre il termine perentorio stabilito dalla legge. Per come ampiamente motivato nella sentenza oggetto del ricorso (nella quale e’ stato ripercorso l’intero iter logico-sistematico posto a fondamento della citata sentenza n. 18009 del 2008), la costituzione in giudizio dell’appellante con il deposito di un atto non notificato (ovvero non recante la prova documentale allegata della richiesta od eseguita notificazione) sarebbe sprovvista del necessario requisito per il raggiungimento dello scopo cui e’ destinato il controllo di procedibilita’ che la legge conferisce al giudice dell’impugnazione, con la conseguenza che, sulla scorta di una lettura sistematica e coordinata degli articoli 347 e 348 c.p.c., l’atto di appello dovrebbe essere dichiarato improcedibile allorquando l’appellante non depositi, nel termine stabilito per la sua costituzione (in relazione al richiamato articolo 165 c.p.c.), l’atto di impugnazione notificato ad almeno una delle controparti. Ed era proprio questa la situazione processuale che si era venuta a verificare nel caso di specie, laddove la Prefettura appellante, al momento della sua costituzione nel termine di legge, aveva depositato semplicemente una copia (“velina”) dell’atto di citazione in appello, la quale, tuttavia, era priva di qualsiasi indicazione in ordine alla richiesta od avvenuta notificazione alla controparte, mentre solo in corso di causa aveva depositato l’originale dell’atto di appello notificato (ovvero munito del riscontro documentale dell’intervenuta notificazione). Secondo l’indirizzo giurisprudenziale al quale ha aderito il Tribunale reggino, la sanzione della improcedibilita’ starebbe ad esprimere una valutazione normativa in ordine alla necessita’ di un adempimento – la costituzione in giudizio entro il termine – che il giudice e’ chiamato ad accertare d’ufficio al fine poter dare seguito e sviluppo al procedimento. D’altra parte, la perentorieta’ del termine di costituzione in appello e la sua rilevabilita’ d’ufficio in caso di inosservanza comporterebbero l’impossibilita’ di sanare ovvero di considerare mere irregolarita’, suscettibili in quanto tali di successiva regolarizzazione, imperfezioni e mancanze della costituzione in giudizio dell’appellante tali da impedire l’accertamento della validita’ ed efficacia dello stesso atto di impugnazione. Sulla scorta di tali argomentazioni il giudice di secondo grado ha rilevato che la prospettazione dell’inapplicabilita’ della sanzione dell’improcedibilita’ e della configurabilita’ di una mera irregolarita’ nella predetta situazione processuale relativa all’attivita’ di costituzione in appello della Prefettura non potevano considerarsi degne di rilievo perche’ la possibile regolarizzazione avrebbe, comunque, presupposto che la costituzione, pur potendo avvenire con il deposito di una mera copia dell’atto di appello, sarebbe dovuta, in ogni caso, intervenire nel termine di cui all’articolo 165 c.p.c. con l’allegazione della idonea indicazione e del relativo riscontro documentale in ordine all’effettuata rituale richiesta od avvenuta esecuzione della notificazione. Il complessivo impianto argomentativo che sorregge la sentenza impugnata non sia condivisibile.
La questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimita’ (come precisata anche nella parte conclusiva del ricorso della Prefettura) e’ la seguente: “dica la Corte se violi gli articoli 348, 347, 165 e 156 c.p.c., la sentenza del Tribunale che abbia dichiarato inprocedibile l’appello ritualmente notificato e iscritto a ruolo a mezzo di c.d. “velina”, rilevando che il deposito dell’atto di citazione in appello privo della notifica alla controparte, all’atto della costituzione nel giudizio di secondo grado, determina l’improcedibilita’ del gravame ex articolo 348 c.p.c., considerato che l’accertamento dell’avvenuto deposito, al momento della costituzione in giudizio dell’appellante, di una copia (o velina) dell’atto di appello in sostituzione dell’originale contenente la relata dell’avvenuta notifica, non comporta la sanzione dell’improcedibilita’ dell’appello”.
Contrariamente a quanto rilevato dal Tribunale di Reggio Calabria, la prevalente giurisprudenza di questa Corte e’ schierata nel senso che l’accertamento dell’avvenuto deposito, al momento della costituzione in giudizio dell’appellante, di una copia (o velina) dell’atto di appello in luogo dell’originale contenente la relata dell’avvenuta notificazione dello stesso atto, non comporta la sanzione dell’improcedibilita’ del gravame (cfr. Cass. 9 dicembre 2004, n. 23027; Cass. 24 agosto 2007, n. 17958; Cass. 29 luglio 2009, n. 17666, ord. ; Cass. 17 novembre 2010, n. 23192; Cass. 8 maggio 2012, n. 6912 e, da ultimo,Cass. 23 novembre 2012, n. 20789, ord.). Questo condivisibile orientamento e’, infatti, saldamente basato sull’indiscusso principio di tassativita’ delle cause di improcedibilita’ (tra le quali, per l’appunto, non e’ previsto – all’atto dell’iscrizione a ruolo della causa da parte dell’appellante – il deposito dell’originale dell’atto di appello notificato); sulla esclusivita’ del richiamo, in detta norma, ai soli termini di costituzione dell’appellante (da intendersi riferiti a quelli contemplati dall’articolo 165 c.p.c., per il giudizio di primo grado, in virtu’ del rimando trasparente nell’articolo 347 c.p.c., comma 1) e non anche alle forme; sulla non configurabilita’ di un pregiudizio del diritto di difesa e dell’instaurazione del contraddittorio per effetto dell’avvenuta notificazione. Del resto, la possibilita’ di provvedere alla costituzione in giudizio da parte dell’attore (e, corrispondentemente, da parte dell’appellante in secondo grado) e alla contestuale iscrizione a ruolo della causa prima del perfezionamento della notificazione (mediante il deposito della c.d. “velina”) e’ un dato che deve ritenersi acquisito alla luce della lettura (costituzionalmente orientata) operata dal Giudice delle leggi (cfr. sentenza 2 aprile 2004, n. 107, ed ordinanza 12 aprile 2005, n. 154, ma gia’ prima v. , in senso analogo, l’ordinanza 23 giugno 2000, n. 239), secondo cui tale ultimo adempimento si perfeziona per il notificante sin dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, sicche’ a partire da tale momento egli e’ legittimato a compiere tutte le attivita’ che presuppongono la notificazione, ferma restando la decorrenza del termine ultimo per la costituzione dalla consegna effettiva al destinatario. Ed anche le Sezioni unite di questa Corte – con la sentenza 18 maggio 2011, n. 10864 – hanno affermato che la sola mancata costituzione in termini dell’appellante determina automaticamente l’improcedibilita’ dell’appello (a nulla rilevando che l’appellato si sia costituito nel termine assegnatogli).
In modo ancor piu’ incisivo e’ stato chiarito (cfr., in particolare, Cass. n. 23192 del 2010) come il nuovo testo dell’articolo 348 c.p.c. (nella versione introdotta dalla Legge n. 353 del 1990 e succ. integr.) abbia apportato significative modifiche alla disciplina dell’improcedibilita’ dell’appello, in quanto ha previsto, quali ipotesi testualmente tassative conducenti a tale effetto (sull’operativita’ del principio di tassativita’ in proposito cfr., anche di recente, Cass. n. 2171 del 2009 e Cass. n. 238 del 2010), solo due casi. Infatti, mentre nella, disposizione prevista al comma 1 viene posto riferimento alla mancata tempestiva costituzione dell’appellante, nel capoverso e’ disciplinata la mancata comparizione dello stesso, una volta costituitosi, alla prima udienza ed in quella successiva; pertanto, in relazione al primo degli indicati profili, risulta univocamente evincibile come, sul piano letterale della disposizione, la sanzione immediata ed insanabile, anche quindi a prescindere dalla condotta processuale dell’appellato, attiene alla sola mancata tempestiva costituzione dell’appellante che deve aver luogo “in termini” non anche all’omessa osservanza delle “forme” previste per i procedimenti davanti al tribunale, nonostante alle stesse, compreso dunque il deposito dell’originale della citazione, operi rinvio il precedente articolo 347 c.p.c.. Oltretutto, bisogna rilevare che, sebbene l’articolo 165 c.p.c. imponga all’attore di costituirsi, entro dieci giorni dalla notificazione della citazione, depositando in cancelleria la nota d’iscrizione a ruolo ed il proprio fascicolo contenerne l’originale della citazione, la procura ed i documenti offerti in comunicazione, tuttavia la giurisprudenza concorde di questa Corte ha gia’ avuto modo di evidenziare come la costituzione in giudizio dell’attore avvenuta mediante deposito in cancelleria, oltre che della nota di iscrizione a ruolo, del proprio fascicolo contenente una copia anziche’ l’originale dell’atto di citazione, depositato in seguito dopo la scadenza del termine prescritto, non determina alcuna nullita’ della costituzione stessa, ma integra, semmai, una semplice ipotesi di irregolarita’ rispetto alle modalita’ stabilite dalla legge, non conseguendo a tale violazione – come gia’ sottolineato – alcuna lesione dei diritti della controparte e venendosi ad instaurare il contraddittorio con la notifica della citazione (Cass. n. 15777 del 2004, cit.).
Orbene, l’applicazione al giudizio d’appello di tali condivisibili principi non consente di ricondurre la fattispecie in esame – come dedotto dall’Amministrazione ricorrente – all’ipotesi di mancata tempestiva costituzione, dal momento che solo essa giustificherebbe, ai sensi dell’articolo 348 c.p.c. (nel testo come novellato dalla Legge n. 353 del 1990), la declaratoria di improcedibilita’ del gravame.
Pertanto, in consonanza con il condivisibile orientamento assolutamente maggioritario della giurisprudenza di questa Corte, da ultimo anche a Sezioni Unite (avallato anche dall’interpretazione costituzionalmente orientata fatta propria dalla giurisprudenza del Giudice delle leggi) e con l’impianto normativo sistematicamente inquadrato che il codice di rito riserva al giudizio di appello (e, in particolare, alle forme, alla costituzione delle parti e alla fase della trattazione, non disgiunte dalla valorizzazione, quale imprescindibile corollario, del principio della tassativita’ dei casi di improcedibilita’), si propone l’accoglimento del proposto ricorso dalla Prefettura prospettandosi manifestamente fondata.”.
Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono state rivolte critiche di sorta, sono condivisi dal Collegio, e, pertanto, il ricorso va accolto.
La decisione impugnata deve quindi essere cassata, con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria, in persona di diverso magistrato, affinche’ provveda all’applicazione del principio sopra richiamato, nonche’ al regolamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese del giudizio di Cassazione, al Tribunale di Reggio Calabria in persona di diverso magistrato.

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