Corte di Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 21 febbraio 2017, n. 4376

La notificazione della cartella di pagamento emessa per la riscossione di sanzioni amministrative, ai sensi della l. n. 689 del 1981 (e successive modificazioni), è disciplinata dall’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, anche dopo la modificazione apportata a quest’ultima norma con l’art. 12 del d.lgs. n. 46 del 1999, sicché la notifica può essere eseguita direttamente da parte dell’esattore mediante raccomandata con avviso di ricevimento.

In tema di riscossione delle imposte, la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte del comma 1 dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal penultimo comma del citato art. 26, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione.

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI civile

ordinanza 21 febbraio 2017, n. 4376

Rilevato in fatto

che:
– 1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Rovigo, pronunciando sull’opposizione proposta dalla P. nei confronti di Equitalia Nord S.p.A. avverso diverse cartelle di pagamento notificate da quest’ultima, ha rigettato l’opposizione ed ha condannato l’opponente al pagamento delle spese del grado;

– il ricorso è proposto con quattro motivi;
– l’intimata si difende con controricorso;
– ricorrendo uno dei casi previsti dall’articolo 375, primo comma, su proposta del relatore della sezione sesta, il presidente ha fissato con decreto l’adunanza della Corte, ai sensi dell’art. 380 bis cod.proc.civ.;
– il decreto è stato notificato come per legge;
– parte ricorrente ha depositato memoria.

Considerato in diritto

che:
2.- I primi tre motivi riguardano le modalità di notificazione delle cartelle di pagamento e vanno perciò trattati congiuntamente;
2.1.- col primo motivo è dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 26, primo comma, d.p.r. n. 602/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ., assumendo la ricorrente l’invalidità della notificazione della cartella di pagamento n. (omissis) (rispetto alla quale il giudice ha dichiarato l’inammissibilità dell’opposizione per mancato rispetto del termine dell’art. 617 cod.proc.civ., decorrente appunto dal ricevimento della notificazione). Secondo la ricorrente la notificazione sarebbe inesistente perchè effettuata direttamente dall’Agente della riscossione a mezzo di raccomandata a/r col servizio postale universale;
2.2.- col secondo motivo è dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 26, d.p.r. n. 602/1973, e dell’art. 60 d.p.r. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ., assumendo la ricorrente l’invalidità della notificazione delle cartelle di pagamento impugnate (diverse da quella di cui al primo motivo; comunque ritenute dal giudice a quo validamente notificate, rigettando l’opposizione) perchè effettuata direttamente dall’Agente della riscossione a mezzo di raccomandata a/r col servizio postale universale;
2.3.- col terzo motivo è dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 149 c.p.c., dell’art. 60, d.p.r. 600/1973, e dell’art. 3 della legge n. 890/82, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., assumendo la ricorrente l’invalidità delle notificazioni delle cartelle di pagamento per omessa compilazione delle relate di notificazione;
3.- i motivi sono manifestamente infondati, attesi i seguenti principi di diritto, che qui si ribadiscono:
– “La notificazione della cartella di pagamento emessa per la riscossione di sanzioni amministrative, ai sensi della l. n. 689 del 1981 (e successive modificazioni), è disciplinata dall’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, anche dopo la modificazione apportata a quest’ultima norma con l’art. 12 del d.lgs. n. 46 del 1999, sicché la notifica può essere eseguita direttamente da parte dell’esattore mediante raccomandata con avviso di ricevimento” (così da ultimo Cass. n. 12351/16);
– “In tema di riscossione delle imposte, la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte del comma 1 dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal penultimo comma del citato art. 26, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione” (così, tra le altre, Cass. n. 6395/14);
– contrariamente a quanto si assume nella memoria di parte ricorrente l’orientamento giurisprudenziale di cui sono espressione i principi sopra richiamati è oramai consolidato, tanto che in ossequio alla funzione nomofilattica riservata alla Corte di Cassazione i giudici ordinari e le commissioni tributarie (richiamate in senso contrario da parte ricorrente) dovrebbero uniformarsi, in mancanza di interventi normativi che inducano a superare il detto orientamento (già espresso, tra l’altro, come si nota nel controricorso, anche da Cass. n. 14327/09 e ord. n. 15948/10, nonché da Cass. n. 11708/11, secondo cui “la cartella esattoriale può essere notificata, ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, anche direttamente da parte del Concessionario mediante raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso, secondo la disciplina degli artt. 32 e 39 del d.m. 9 aprile 2001, è sufficiente, per il relativo perfezionamento, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente”; ed ancora da Cass. n. 1091/13, Cass. n. 4567/15 e ord. n. 12083/16);
– d’altronde, l’esame del motivo non offre elementi – che non siano stati già considerati nei citati precedenti ed in numerosi altri – per mutare l’orientamento giurisprudenziale di legittimità che va qui ribadito;
– i primi tre motivi vanno perciò rigettati.
4.- Col quarto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della legge 241/1990, perché le cartelle di pagamento non avrebbero indicato le modalità di calcolo degli interessi di mora. La ricorrente censura la sentenza che ha rigettato il corrispondente motivo di opposizione, sostenendone il contrasto con la norma indicata in rubrica e con la giurisprudenza per la quale l’atto impositivo deve essere motivato e richiamando la sentenza di questa Corte n. 4516/2012, sulla quale si insiste anche con la memoria;
4.1.- il motivo non merita di essere accolto sia perché inammissibile che perché manifestamente infondato.
Va premesso che la cartella di pagamento non è un atto impositivo ma è un atto dell’Agente della riscossione ed è predisposta secondo un modello approvato con D.M. Finanze ai sensi dell’art. 25, comma secondo, del DPR n. 602/73. L’emissione della cartella di pagamento presuppone l’iscrizione a ruolo della sanzione amministrativa con i relativi interessi, che sono applicati dall’ente impositore; inoltre, la cartella di pagamento contiene, secondo il modello ministeriale, anche l’indicazione dei riferimenti normativi per il calcolo degli interessi di mora, che sono dovuti all’Agente della Riscossione dopo la notificazione della cartella.
Dato ciò, va in primo luogo evidenziato che il motivo è privo di autosufficienza poiché non chiarisce a quale tipologia di interessi (interessi iscritti a ruolo ovvero interessi di mora) fosse riferito l’originario motivo di opposizione;
4.2.- la sentenza fa riferimento agli interessi applicati dall’ente impositore – nel caso di specie gli enti che notificarono i verbali di accertamento delle contravvenzioni per violazioni al codice della strada. Il giudice ha accertato che rispetto a questi verbali di accertamento, regolarmente notificati alla P. , nulla è stato eccepito da quest’ultima, nemmeno in ordine alle modalità di calcolo degli interessi (cfr. pagg. 7-8 della sentenza).
Questa ratio decidendi non è specificamente impugnata ed anche per tale profilo il motivo è inammissibile;
4.3.- nell’illustrazione del motivo si parla di “interessi di mora” e si lamenta che le cartelle impugnate non avrebbero indicato “espressamente l’aliquota che verrà applicata ai fini del calcolo degli interessi di mora”, sostenendo che sarebbe insufficiente il richiamo dell’art. 30 del DPR n. 602/1973, contenuto nelle cartelle, e che il contribuente deve conoscere quale sarà l’”ulteriore somma che dovrà eventualmente versare in caso di ritardo nel pagamento”, vale a dire nel caso di pagamento oltre i 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento (cfr. pag. 12 del ricorso).
La ricorrente sembra porre una questione nuova e diversa da quella esaminata dal giudice, che, come detto, riguardava gli interessi iscritti a ruolo, e non gli interessi di mora che sarebbero venuti a maturare dopo la notificazione della cartella di pagamento.
Peraltro, anche a voler prescindere dalla novità della questione, che lo rende inammissibile, il motivo è manifestamente infondato.
Gli interessi di mora sono dovuti per legge sulle somme iscritte a ruolo (esclusi interessi e sanzioni per i ruoli consegnati dopo il 25 luglio 2011), qualora – come indicato nelle cartelle di pagamento, secondo il modello approvato – il pagamento non sia effettuato entro sessanta giorni dalla notificazione della cartella ed il tasso di interesse applicato è definito ai sensi dell’art. 30 del DPR n. 602/73, mediante “D.M. Finanze con riguardo alla media dei tassi bancari attivi”. La data di decorrenza degli interessi è fissata dallo stesso articolo alla data di notifica della cartella e gli interessi sono dovuti fino alla data del pagamento.
Questo contenuto, mediante rinvio all’art. 30 del DPR n. 602/73, che detta i criteri di calcolo degli interessi di mora, dà luogo a motivazione chiara dell’atto dell’Agente della Riscossione, poiché richiama atti normativi (legge e Decreto Ministeriale) conoscibili dal destinatario della cartella di pagamento, anche quanto all’aliquota applicabile;
4.4.- in senso contrario non può certo argomentarsi dal precedente costituito dalla sentenza di questa Corte n. 4516/2012. Come è fatto palese dalla relativa motivazione, la contestazione riguardava, non il calcolo degli interessi di mora ai sensi dell’art. 30, bensì il calcolo degli interessi dovuti per ritardata iscrizione a ruolo ai sensi dell’art. 20 del DPR n. 602/73, vale a dire degli interessi pretesi dall’ente impositore (per di più in un caso del tutto peculiare di un accertamento, seguito da sentenza passata in giudicato, per tributi, con interessi di mora dovuti per ben ventitre anni nel corso dei quali si erano succedute diverse aliquote).
Il motivo di ricorso, invece, come detto, non può che essere riferito al diverso art. 30 dello stesso DPR, che disciplina, direttamente o indirettamente, tempi, modalità ed aliquote di calcolo degli interessi;
– il ricorso va perciò rigettato;
– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
– sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.700,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

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