SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI
SENTENZA 17 marzo 2015, n. 5230
Svolgimento del processo
p.1. La Presidenza del Consiglio dei ministri ed i Ministeri dell’Istruzione Università e Ricerca e della Salute hanno proposto ricorso per cassazione contro i medici G.R.L. e I.V. avverso la sentenza del 25 giungo 2012 della Corte d’Appello di Catania che, in parziale accoglimento dell’appello dei medici ha condannato “il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica ed il Ministero della salute, in persona dei rispettivi ministri pro tempore, quali articolazione del Governo della Repubblica e, per essi, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, al pagamento, in favore” dei medici della somma, per ciascuno, di Euro 30.000,00 a titolo di risarcimento dei danni per la frequenza di corsi di specializzazione presso l’Università degli Studi di Catania, nella situazione di inattuazione da parte dello Stato Italiano delle direttive CEE in merito all’organizzazione de corsi di specializzazione medica.
p.2. Al ricorso hanno resistito con controricorso i medici.
Motivi della decisione
p.1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia “violazione art. 117 Cost.; art. 5 L. n. 400/1988, art. 3 D.lgs.vo n. 303/1999, art. 4 L. n. 260/1958, artt. 100, 101,112 e 342 c.c.; difetto motivazionale; art. 360 nn. 3,4, 5 c.p.c.”.
Vi si sostiene: che la sentenza impugnata sarebbe “assolutamente nulla siccome reca la condanna di un’Amministrazione statale, e cioè la Presidenza del Consiglio dei Ministri, giammai evocata in giudizio, e che, appunto non ha potuto contraddire nel processo inerente i gradi di merito”; che la pronuncia di condanna dei Ministeri “e, per essi”, della Presidenza del Consiglio dei ministri determinerebbe la soccombenza di quest’ultima, con conseguente possibilità di escuterla da parte dei medici; che, là dove la Corte territoriale, dopo aver escluso la legittimazione dei Ministeri convenuti li ha considerati legittimati quali articolazioni della Presidenza del Consiglio dei ministri, avrebbe reso una decisione del tutto illogica e contraddittoria e senza alcun riferimento normativo, nonché senza considerare che i Ministeri sarebbero dotati di una loro posizione soggettiva sostanziale e processuale, come riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte e segnatamente da Cass. sez. un. n. 8516 del 2012 e Cass. n. 10010 del 2011; che illogico e privo di pertinenza sarebbe il richiamo da parte della Corte catanese alla disciplina dell’art. 4 della l. n. 260 del 1958, giacché la Presidenza del Consiglio dei ministri per partecipare ad un giudizio deve essere citata; che l’erroneità del richiamo sarebbe dimostrata anche dal modo in cui la norma de qua è stata interpretata dalle sezioni Unite nella citata sentenza.
p.2. Il motivo non può trovare accoglimento e le considerazioni che si verranno svolgendo varranno anche ad evidenziare perché sia priva di fondamento l’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso in quanto proposto dalla presidenza del Consiglio dei ministri, formulata dai medici resistenti sotto il profilo che essa non sarebbe stata parte della controversia decisa dalla sentenza impugnata.
p.2.1. Va rilevato che la Corte etnea è pervenuta al decisum che viene qui criticato scrutinando il secondo motivo di appello dei medici resistenti, con cui essi si erano doluti che il Tribunale di Catania, dopo avere rigettato la domanda relativa alla rivendicazione dell’efficacia autoapplicativa delle direttive comunitarie in materia (rigetto di cui si occupava i primo motivo di appello, che la Corte catanese ha rigettato), avesse rigettato anche la domanda risarcitoria sull’assunto che il soggetto legittimato passivo non erano i Ministeri e l’Università degli Studi di Catania, che pure era stata evocata in giudizio (ma la cui posizione in questa sede era riconducibile all’art. 332 c.p.c., onde, essendo preclusa l’impugnazione nei suoi riguardi, resta irrilevante che il ricorso non le sia stato notificato), bensì la Presidenza del Consiglio “quale organo di direzione della politica generale del Governo ex art. 95 Cost.”.
Scrutinando il detto motivo la Corte catanese, dopo avere condiviso l’esclusione della legittimazione dell’Università e ritenuto che il Tribunale avesse correttamente escluso quella dei Ministeri, ha, tuttavia, ritenuto – invocando Cass. n. 10814 del 2011 – che i Ministeri bene fossero ormai legittimati passivi all’azione quali articolazioni del Governo della Repubblica, non avendo l’Avvocatura dello Stato chiesto l’applicazione dell’art. 4 della l. n. 260 del 1958.
p.2.2. La motivazione della Corte territoriale evidenzia il senso del dispositivo di condanna da essa adottato che, là dove evoca la Presidenza del Consiglio, lo fa perché i Ministeri, dei quali è stata esclusa la legittimazione come articolazioni dell’istituzione Governo preposte alla vicenda, sono rimasti in giudizio come articolazioni della Presidenza del Consiglio, non avendo l’Avvocatura Distrettuale dello Stato ritenuto di chiedere l’applicazione dell’art. 4 della citata legge facendo subentrare la Presidenza del Consiglio.
p.2.2. La motivazione della sentenza impugnata ed il decisum di cui al dispositivo non sono in alcun modo erronei.
I ricorrenti esaminano detta motivazione invocando Cass. sez. un. n. 8516 del 2012, ma lo fanno senza considerarne l’effettivo significato, che è stato ampiamente individuato, invece – proprio in relazione ad una controversia in materia di rivendicazioni dei medici specializzandi – da Cass. n. 16104 del 2013.
p.2.3. Ha osservato questa decisione quanto segue, nel censurare una sentenza di merito che aveva escluso la legittimazione di un Ministero nella detta veste di articolazione dell’istituzione Governo:
“p.2.3. La seconda censura è prospettata con riguardo all’esclusione della legittimazione passiva del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
Si tratta di censura fondata.
Posto che il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca è un’articolazione del Governo, il cui vertice è la Presidenza del Consiglio dei ministri, la legittimazione del detto Ministero non poteva essere negata adducendo, come ha fatto la Corte territoriale, che la legittimazione passiva all’azione di risarcimento danni competeva, essendo detto inadempimento conseguente ad un inadempimento statuale delle direttive e, quindi, imputabile alla Repubblica Italiana, alla Presidenza del Consiglio di ministri, quale articolazione dell’apparato statuale che è legittimata a rappresentare lo Stato nella sua unitarietà. La difesa erariale, di fronte alla evocazione dello Stato non già nell’articolazione del Governo con la Presidenza del Consiglio, avrebbe potuto, infatti porre, con riferimento a tutte le amministrazioni convenute, non già una questione di legittimazione passiva in tal senso, bensì una questione ai sensi dell’art. 4 della legge n. 260 del 1958 e rivendicare che l’articolazione statale legittimata era la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Sulla base di tale deduzione avrebbe potuto chiedere un termine per la costituzione di essa.
Ciò è stata già ritenuto da Cass. n. 10813 del 2011 proprio in una vicenda relativa a giudizio sull’azione degli specializzandi (e, quindi, ribadito da giurisprudenza successiva su controversie analoghe).
Nella detta sentenza si affermò che la difesa dei Ministeri coinvolti dall’azione degli specializzandi, là dove si articola nella deduzione che essa doveva esercitarsi contro la Presidenza del Consiglio, quale azione diretta a far valere l’inadempimento dello Stato, evidenzia semplicemente una situazione nella quale l’essere stata proposta la domanda contro il Ministero vede quest’ultimo legittimato quale articolazione direttamente riferibile alla Presidenza del Consiglio dei Ministri quale vertice dell’esecutivo abilitato a contraddire alla domanda, in quanto rivolta a tutelare una pretesa contro lo Stato.
Tanto alla stregua del seguente principio di diritto: il limite introdotto, dalla disposizione di cui alla legge 25 marzo 1958, n. 260, art. 4 (recante Modificazioni alle norme sulla rappresentanza in giudizio dello Stato), alla rilevanza dell’erronea individuazione dell’autorità amministrativa competente a stare in giudizio (limite in virtù del quale l’errore di identificazione della persona alla quale l’atto introduttivo del giudizio e ogni altro atto doveva essere notificato, deve essere eccepito dall’Avvocatura dello Stato nella prima udienza, con la contemporanea indicazione della persona alla quale l’atto doveva essere notificato; eccezione dalla cui formulazione discende la rimessione in termini della parte attrice, alla quale il giudice deve assegnare un termine entro il quale l’atto introduttivo deve essere rinnovato), opera non solo con riguardo alla ipotesi di erronea vocatio in ius, in luogo del Ministro titolare di una determinata branca della P.A., di altra persona preposta ad un ufficio della stessa, ma anche con riferimento alla ipotesi di vocatio in ius di un Ministro diverso da quello effettivamente competente in relazione alla materia dedotta in giudizio (Cass. n. 8697 del 2001; in senso conforme Cass. n. 11808 del 2003; sostanzialmente conformi: Cass. n. 16031 del 2001; n. 1405 del 2003; n. 4755 del 2003).
Osservò Cass. n. 10813 del 2011 che questo orientamento – contraddetto isolatamente da Cass. n. 6917 del 2005 – aveva, infatti, ricevuto l’avallo di Cass. sez. un. n. 3117 del 2006, che nella sua motivazione soltanto con riferimento alla peculiarità propria della materia delle opposizioni a sanzioni amministrative ritenne doversi seguire la tesi più rigorosa, cioè quella del restringimento dell’operare del’art. 4 citato al caso di erronea di individuazione dell’organo all’interno dell’articolazione dell’amministrazione statale e, quindi, di un ministero.
Nella specie l’Avvocatura dello Stato, quale patrocinatore del Ministero convenuto (ma anche delle altre amministrazioni), avrebbe potuto, dunque, richiedere l’applicazione della norma della legge n. 260 del 1958, art. 4 e non già prospettare una vera e propria questione di legittimazione sostanziale e la Corte territoriale non avrebbe dovuto considerare fondata la questione così proposta, ma avrebbe dovuto solo prendere atto che la difesa erariale non aveva utilizzato l’unico potere difensivo esistente, cioè quello di cui al citato art. 4 e chiesto farsi luogo alle sue possibili implicazioni.
p.2.4. Il Collegio reputa che questi convincimenti non siano stati infirmati dalla recente Cass. sez. un. n. 8516 del 2012, la quale ha statuito che L’art. 4 della legge 25 marzo 1958 n. 260 deve ritenersi applicabile anche quando l’errore d’identificazione riguardi distinte ed autonome soggettività di diritto pubblico ammesse al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato (nella specie, Agenzia delle Entrate e Ministero della Giustizia), ma, in forza dell’ineludibile principio dell’effettività del contraddittorio, la sua operatività è circoscritta al profilo della rimessione in termini, con esclusione, dunque, di ogni possibilità di stabilizzazione nei confronti del reale destinatario, in funzione della comune difesa, degli effetti di atto giudiziario notificato ad altro soggetto e del conseguente giudizio.
Invero questa decisione, non solo conferma pienamente la rilevanza dell’art. 4 nel senso estensivo sopra ipotizzato ed afferma che l’atteggiamento difensivo di un’articolazione statale che sia stata evocata erroneamente al posto di un’altra è comunque riconducibile all’art. 4 citato, ma si riferisce ad un caso nel quale il problema della evocazione di un’articolazione errata si poneva non già con riguardo alle articolazione del Governo della Repubblica, bensì fra un Ministero e l’Agenzia delle Entrate e, quindi, a distinte soggettività l’una delle quali, l’Agenzia, difesa addirittura solo facoltativamente dall’Avvocatura dello Stato.
È in relazione a tale fattispecie e, quindi, all’ipotesi di due distinte soggettività, che la sentenza sembrerebbe avere sottolineato che l’art. 4, inteso estensivamente, esige una rimessione in termini a garanzia del contraddittorio dell’articolazione che doveva essere convenuta.
Ma le cose non cambierebbero se si volesse intendere riferito il principio anche ad ipotesi come quella di cui è processo, in cui lo Stato, anziché in persona del Presidente del Consiglio dei ministri e dell’apparato organizzatorio che ad esso fa capo, sia stato convenuto in persona di un Ministro e, quindi, di un Ministero.
In ogni caso, è, infatti, evidente che, ove la difesa erariale si sia costituita per l’articolazione evocata erroneamente in vece di quella giusta e ci si trovi in presenza di distinte soggettività, è la difesa erariale che invoca l’applicazione dell’art. 4 e, quindi, adempia al dovere di segnalare la soggettività giusta, che dopo avere tenuto tale comportamento, è legittimata a chiedere una rimessione in termini. Se la difesa erariale non lo faccia e, tanto se si astenga dall’indicare la soggettività giusta, quanto se la indichi, l’irritualità così verificatasi, non integrando un vero e proprio problema di legittimazione, diventa irrilevante e la soggettività evocata erroneamente in giudizio vi deve restare senza poter pretendere che la relativa questione sia trattata come difetto di legittimazione. E semmai, se la soggettività nell’articolazione giusta sia indicata sarà essa a poter intervenire in giudizio ed a rivendicare la rimessione in termini di cui parlano le Sezioni Unite.
Nella specie, se anche, per usare la terminologia delle Sezioni Unite, il rapporto fra la Presidenza del Consiglio dei ministri ed i Ministeri e, quindi, per quello che in questa sede interessa, quello dell’Istruzione, Università e Ricerca, potesse considerarsi un rapporto fra soggettività distinte pur facenti capo allo Stato e non piuttosto, come sembra un rapporto di soggettività per articolazioni facenti capo all’istituzione Governo e, quindi, alla Presidenza del Consiglio, non risulta che la difesa erariale abbia chiesto una rimessione in termini, quando ha indicato come articolazione che si doveva convenire la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Ne deriva che nella specie la Corte territoriale, nel considerare il problema della evocazione del Ministero anziché della Presidenza come questione di legittimazione ha errato ed ha commesso un siffatto errore in una situazione in cui non vi erano i presupposti per la rimessione in termini. Un problema di rimessione in termini, in quanto non prospettato dalla difesa erariale, dunque, si sarebbe potuto porre solo ove la Presidenza del Consiglio, avvisata dall’Avvocatura erariale, si fosse costituita, assumendo la sua qualità di articolazione che doveva stare in giudizio, e ne avesse fatto richiesta.
Invero, l’art. 4 della l. n. 260 del 1958 recita quanto segue: L’errore di identificazione della persona alla quale l’atto introduttivo del giudizio ed ogni altro atto doveva essere notificato, deve essere eccepito dall’Avvocatura dello Stato nella prima udienza, con la contemporanea indicazione della persona alla quale l’atto doveva essere notificato. Tale indicazione non è più eccepibile. Il giudice prescrive un termine entro il quale l’atto deve essere rinnovato. L’eccezione rimette in termini la parte.
La difesa erariale, è pacifico, non ebbe a prospettare in primo grado una questione ai sensi dell’art. 4 citato, ma contestò la legittimazione passiva della sola Università degli Studi. Ne consegue che tanto nei confronti dei Ministeri, quanto nei riguardi della stessa Università, la relativa questione ebbe a precludersi.
Il Tribunale in primo grado e, quindi, la sentenza impugnata hanno deciso solo su non configurabili questioni di legittimazione passiva, che in realtà non erano configurabili.
La sentenza impugnata, dunque, dev’essere cassata là dove ha dichiarato il difetto di legittimazione del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, perché non vi era un problema di legittimazione e detto Ministero era da ritenere in giudizio quale organo rappresentate lo Stato), stante la preclusione del possibile rilievo della spettanza della lite alla Presidenza del Consiglio dei ministri, questione che era non di legittimazione passiva, perché l’art. 4 non la costruisce in tali termini, bensì di individuazione dell’articolazione statuale corretta.
Il difetto di legittimazione è stato, dunque, dichiarato erroneamente e né questa Corte può sovrapporre la qualificazione della vicenda alla stregua dell’art. 4, ritenendo così corretta la motivazione, perché spettava al Ministero invocarla ed invocarla ritualmente”.
p.2.4. Le considerazioni svolte dalla motivazione di Cass. n. 16104 del 2013, ove si trasferiscano alla vicenda di cui è processo, consentono di evidenziare innanzitutto che l’Avvocatura dello Stato nei gradi di merito non si è avvalsa della tutela garantita dal citato art. 4 della l. n. 260 del 1958 e, nel contempo, palesano che l’impugnazione proposta in questa sede unitamente ai Ministeri assume il valore di “entrata” nel processo del soggetto, la Presidenza del Consiglio dei ministri, che già nella sostanza vi era coinvolto proprio in ragione della mancata richiesta di quella tutela per il tramite dei Ministeri, male evocati come articolazioni dell’istituzione “Governo”, ma, a seguito del mancato esercizio del potere di cui al citato art. 4, pienamente legittimati a rappresentare quella istituzione e, dunque, il suo terminale in relazione alla vicenda, cioè la stessa Presidenza.
Ne segue che la Presidenza del Consiglio proponendo il ricorso, non ha agito quale organo di rappresentanza dello Stato Italiano (legittimato sostanziale) come un soggetto estraneo, ma ha semplicemente esercitato il potere di cui al citato art. 4: tanto evidenzia l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dai medici resistenti.
Va, d’altro canto, rilevato che la Presidenza del Consiglio non ha, entrando nel processo nella detta veste, prospettato esigenze di rimessione in termini alla stregua di quanto ipotizzato dalla sentenza delle sezioni Unite, atteso che l’unico motivo di ricorso è stato prospettato sull’erroneo convincimento che la sentenza impugnata avesse pronunciato nei confronti della Presidenza del Consiglio come nei confronti di un soggetto estraneo ad esso e non invece in esso coinvolto, sebbene tramite le articolazioni dei due ministeri in ragione della mancata utilizzazione dell’art. 4 citato.
p.2.5. Il motivo di ricorso è, conclusivamente, rigettato, perché il dispositivo della sentenza impugnata, là dove ha condannato i due Ministeri quale articolazione del Governo della repubblica “e, per essi, la Presidenza del Consiglio dei Ministri”, risulta corretto in quanto dev’essere intesto, alla luce delle considerazioni svolte, nel senso che, in ragione del mancato esercizio del potere di cui all’art. 4 della l. n. 260 del 1958, dette articolazioni fossero rimaste coinvolte nel giudizio quali organi di fatto rappresentativi del Governo tramite la sua articolazione rappresentata dalla Presidenza.
p.3. La relativa novità del caso giudicato, derivante dalla particolarità del detto dispositivo, induce a ravvisare giusti motivi per la compensazione integrale delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.
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