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Suprema Corte di Cassazione 

sezione V

sentenza n. 8005 del 19 febbraio 2013

Svolgimento del processo

1. T.A. è imputato del reato di cui alla L. Fall., art. 216, perchè, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, occultava un contratto di locazione stipulato dopo il fallimento ed ometteva di versare i relativi canoni di locazione, regolarmente incassati. Il tribunale assolveva l’imputato dal reato ascritto perchè il fatto non sussiste; avverso detta sentenza proponeva appello il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Catanzaro, censurando la decisione in punto di diritto e chiedendone la riforma.

2. La Corte d’appello accoglieva parzialmente l’impugnazione, nella parte in cui riteneva sussistente l’elemento oggettivo del reato, assolvendo però l’imputato per assenza di dolo.
3. Propone ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’appello per erronea applicazione dell’articolo 216, comma due, della legge fallimentare, nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Ritiene il Procuratore Generale che sussista l’elemento soggettivo del reato contestato, risultante da plurime emergenze fattuali.
4. Il difensore dell’imputato ha presentato una memoria con la quale ha chiesto in via preliminare la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, a suo dire maturata il 18/11/2012. In secondo luogo lamenta la mancanza di dolo specifico, affermando che le somme ricavate dalla locazione servivano all’imputato per far fronte alle esigenze di vita propria e dei suoi familiari, essendo quindi la condotta scriminata dallo stato di necessità.

Motivi della decisione

1. Con riferimento alla dedotta prescrizione del reato, si ricorda che a norma delle nuove disposizioni, introdotte con la legge Cirielli, il periodo prescrizionale per il reato in questione e di 10 anni, aumentabile di un quarto per effetto delle interruzioni, e quindi in totale di anni 12 e sei mesi, per cui la prescrizione, anche in mancanza di sospensioni, decorrerà nel 2015.
2. Ciò premesso, si ritiene che il ricorso del Procuratore Generale territoriale sia fondato e meriti pertanto accoglimento. Va, innanzitutto, rilevato che la sussistenza di uno stato di necessità era stata esclusa dal giudice di appello, per mancata prova di tale circostanza; d’altronde, è noto che la mera indicazione di una situazione astrattamente riconducibile all’applicazione di un’esimente, non accompagnata dall’allegazione di precisi elementi idonei ad orientare l’accertamento del giudice, non può legittimare la pronuncia assolutoria ex art. 530 cpv. c.p.p. (Sez. 6, n. 28115 del 05/07/2012 – dep. 13/07/2012, Sottoferro, Rv. 253036).
3. Nella propria memoria difensiva l’imputato lamenta la mancanza di dolo specifico, affermando che le somme ricavate dalla locazione gli servivano per far fronte alle esigenze di vita propria e dei suoi familiari, essendo quindi la condotta scriminata dallo stato di necessità. Or bene, a prescindere dal fatto che la Corte d’appello ha ritenuto non provato lo stato di necessità e che sul punto la sentenza non è stata impugnata (e pur in presenza ancora una volta di un’allegazione del tutto sfornita del benchè minimo sostegno probatorio), va rilevato che la scriminante non agisce sull’elemento soggettivo ma sulla antigiuridicità del fatto, per cui la tesi difensiva non sarebbe compatibile con la decisione assunta dalla corte territoriale, che ha ritenuto di assolvere l’imputato per mancanza dell’elemento soggettivo.
4. Parimenti, è del tutto irrilevante l’assenza di dolo specifico, che nella bancarotta fraudolenta patrimoniale è richiesto solo per l’esposizione di passività inesistenti; per gli altri casi, infatti, è sufficiente il dolo generico.
5. Ciò premesso, con riferimento alla posizione difensiva, si deve ritenere che la motivazione assunta dalla corte d’appello di Catanzaro sia illogica laddove desume la mancanza di coscienza e volontà di occultare le somme ricavate dalla locazione dalla circostanza che era stato fatto tutto alla luce del sole, tanto che il curatore avrebbe agevolmente reperito il contratto. Tali considerazioni sono smentite dalla cronologia dei fatti, risultando che il curatore si accorse del contratto di locazione solo dopo parecchi mesi ed in conseguenza della vendita dell’immobile, per effetto delle lamentele dell’acquirente; il fatto che sia stato stipulato un contratto scritto non è determinante, non essendo stato questo contratto registrato e quindi non essendo conoscibile da “terzi” soggetti. Ed invero, la circostanza che l’imputato abbia riscosso per parecchi mesi il canone è indice inequivocabile del fatto che la locazione è stata volutamente operata all’oscuro e non invece effettuata alla luce del sole.
6. Al di là delle precedenti considerazioni, va rilevato che nel caso di specie il dolo deve abbracciare esclusivamente la coscienza e volontà di provocare la fuoriuscita di risorse dalla massa attiva fallimentare, rimanendo del tutto estranee alla figura del reato le finalità per cui il soggetto agisce. D’altronde, è assolutamente insostenibile la tesi per cui l’imputato non si rendesse conto che il suo comportamento “impoveriva” la procedura fallimentare, a danno dei creditori.
7. In ogni caso, poichè esiste una specifica procedura di legge al fine di garantire al fallito i mezzi di sussistenza (L. Fall., art. 47), l’imputato avrebbe dovuto adire questa procedura ed eventualmente, in caso di decisione negativa del giudice delegato, solo successivamente avrebbe potuto procedere per via autonoma al reperimento dei mezzi di sostentamento, invocando poi la scriminante dello stato di necessità. E’ lo stesso art. 54 c.p., a richiedere tale presupposto, e cioè la inevitabilità del pericolo; qui il pericolo non può dirsi inevitabile, posto che esiste una norma specifica che autorizza il giudice delegato a fornire al fallito, a spese della procedura, i mezzi di sostentamento per lui e per la sua famiglia. Il pericolo, anche ammesso che fosse esistente, poteva dunque essere evitato ricorrendo alla procedura di cui alla L. Fall., art. 47, e ciò esclude l’operatività della scriminante.
8. La decisione impugnata, essendo viziata da motivazione incongrua ed illogica in relazione alla insussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato, va annullata, con rinvio alla corte d’appello di Catanzaro per nuovo esame sul punto.

P.Q.M.

Annulla la impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro per nuovo esame.

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