Suprema Corte di Cassazione
sezione V
Sentenza 9 dicembre 2013, n. 49483
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARASCA Gennaro – Presidente
Dott. ZAZA Carlo – Consigliere
Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere
Dott. DE MARZO Giusepp – Consigliere
Dott. DEMARCHI ALBENGO P. – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15/07/2011 della Corte d’Appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. SALZANO Francesco che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per la parte civile l’avv. (OMISSIS), che ha concluso per il rigetto del ricorso depositando nota spese.
Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Tribunale di Firenze del 12/03/2009, con la quale (OMISSIS) veniva ritenuto responsabile del reato di cui agli articoli 57 e 595 cod. pen., commesso quale direttore responsabile del quotidiano (OMISSIS) omettendo di esercitare il controllo necessario ad evitare la pubblicazione, sull’edizione del giornale in data (OMISSIS), di un articolo che nel titolo e nelle didascalie offendeva la reputazione del consigliere comunale (OMISSIS), attribuendogli senza fondamento e in mancanza di verifiche le posizioni di indagato e di destinatario di un’informazione di garanzia in merito all’affidamento di una consulenza nell’ambito di un programma regionale; e conseguentemente condannato alla pena di euro 600 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
L’imputato ricorrente deduce violazione di legge nella ritenuta responsabilita’ dell’imputato per omesso controllo sul contenuto del titolo e delle didascalie dell’articolo, dopo che in primo grado l’autore di quest’ultimo era stato assolto in quanto il testo non aveva carattere diffamatorio, rispetto ad un’imputazione che non richiama espressamente la disposizione dell’articolo 57 cod. pen. e non contiene addebiti nei confronti degli autori del titolo, la cui mancata identificazione esclude comunque la colpevolezza del direttore responsabile.
Il ricorso e’ inammissibile.
La questione della mancanza nell’imputazione dell’esplicito riferimento all’articolo 57 cod. pen. e di alcuna contestazione nei confronti dell’autore materiale del titolo e delle didascalie dell’articolo non veniva infatti dedotta con i motivi di appello, concernenti esclusivamente la lamentata impossibilita’ di addebitare al direttore responsabile l’omissione del controllo sul contenuto dell’articolato ai fini della titolazione, attribuito al redattore; il che preclude l’esame in questa sede del tema, non devoluto alla cognizione del giudice di secondo grado (Sez. 1, n. 2176 del 20/12/1993, Etzi, Rv. 196414; Sez. 2, n. 40240 del 22/11/2006, Roccetti, Rv. 235504; Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255577).
Il motivo di ricorso, peraltro, e’ comunque manifestamente infondato. A prescindere dall’assenza del testuale richiamo all’articolo 57 cod. pen., l’imputazione addebita specificamente all’imputato una condotta di omesso controllo, estesa anche al contenuto del titolo dell’articolo di stampa. E’ irrilevante, ai fini della responsabilita’ penale, l’eventuale delega conferita a redattori per lo svolgimento di tale attivita’ di controllo (Sez. 5, n. 46786 del 27/09/2004, Graldi, Rv. 230597; Sez. 5, n. 7407 dell’11/11/2009, Bianchi, Rv. 246093); e la natura di autonoma fattispecie incriminatrice, propria del reato previsto dall’articolo 57 cod. pen. (Sez. 5, n. 10252 del 07/07/1981, Cingoli, Rv. 150974; Sez. 1, n. 350 del 10/12/1990 (15/01/1991), Bonanno, Rv. 186159; Sez. 6, n. 6338 del 10/03/1994, Vigna, Rv. 198512) rende altrettanto irrilevante, ai fini della configurabilita’ del reato in esame, la mancanza dell’imputazione per la distinta condotta di redazione del titolo diffamatorio.
Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, valutata l’entita’ della vicenda processuale, appare equo determinare in euro 1.000, nonche’ alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che avuto riguardo all’entita’ dell’impegno processuale si liquidano in euro 1.700 oltre accessori di legge.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, nonche’ al rimborso di quelle sostenute dalla parte civile, liquidate in complessivi euro 1.700 oltre accessori come per legge.
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