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Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 7 maggio 2015, n. 19055

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Chieti, con sentenza confermata dalla Corte di appello di L’Aquila in data 20/1/2014, all’esito di giudizio abbreviato, ha condannato C.L. per aver partecipato ad una rissa, in cui riportava lesioni lo stesso C..
Secondo la ricostruzione operata dalla Corte d’appello, il C. ebbe, in un primo momento, un alterco col coimputato M., dal quale era stato colpito al volto; successivamente, ingaggiò una colluttazione, con reciproca volontà offensiva, con alcuni giovani intervenuti in difesa del M..
2. Contro la sentenza suddetta ha proposto personalmente ricorso per Cassazione l’imputato lamentando una illogicità della motivazione. Deduce che la Corte territoriale ha posto a base della decisione una ricostruzione congetturale e “verosimile” dei fatti, senza tenere conto delle precise indicazioni provenienti dal teste oculare Giannini, il quale avrebbe invece ricostruito diversamente l’episodio (nel senso che C. fu aggredito dagli amici di M.).

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato. I giudici di merito hanno ricostruito la vicenda – sostanzialmente – in base alle dichiarazioni dei teste G., che era in compagnia del C., logicamente interpretandole. Per tale via è stato accertato che C., irritato per la sparizione dei suo casco da motociclista, si rivolse ad un gruppo di giovani, di cui faceva parte M., evidentemente sospettando che tra essi vi fosse il ladro dei casco. Ne nacque un alterco con M., che degenerò in lite con la partecipazione iniziale dei due, a cui si associarono ben presto gli amici di M.. Fin dall’inizio l’imputato non assunse affatto un atteggiamento di difesa, ma, dopo essere stato colpito dall’interlocutore, atterrò, con un pugno ben assestato, il M., suscitando la reazione dei presenti, che apprezzarono l’energia fisica mostrata dall’imputato (“bravo, hai un bel destro”), salvo avventarsi immediatamente su di lui. In tale atteggiamento è da ravvisare il concorso in rissa, perché, per la configurazione del reato, è necessario e sufficiente che, nella violenta contesa, vi siano gruppi contrapposti, con volontà vicendevole di attentare all’altrui incolumità personale (Cass., n. 24630 dei 15/5/2012) e, come è stato correttamente rilevato dal giudicante, una delle parti in contesa può essere rappresentata da una sola persona, purché si raggiunga o si superi il numero complessivo di tre persone. Né assume rilievo il fatto che M. si sia allontanato dopo la prima fase, perché accompagnato da un amico presso una fontana, giacché il reato di rissa è configurabile anche nel caso in cuì i partecipanti non siano stati coinvolti tutti contemporaneamente nella colluttazione e l’azione si sia sviluppata in varie fasi e si sia frazionata in distinti episodi, tra i quali non vi sia stata alcuna apprezzabile soluzione di’ continuità, essendosi tutti seguiti in rapida successione, in modo da saldarsi in un’unica sequenza di eventi (Cass., n. 7013 del 3/11/2010). Nessuna ricostruzione congetturale dell’episodio è pertanto avvenuta, essendosi i giudici strettamente attenuti al risultato della prova testimoniale, logicamente e congruamente interpretata, ed avendo fatto corretta applicazione dei principi giuridici che regolano la materia.
Ne consegue che il ricorso va rigettato con condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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