Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 26 febbraio 2014, n. 9367
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 5.11.2012 la Corte di Appello di Palermo riformava parzialmente la sentenza del Giudice Monocratico del Tribunale di Trapani, in data 3.12.10, con la quale A.G. era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 612 co. II CP., ascrittogli per avere, nel corso di un colloquio avuto con un’insegnante della figlia, nella scuola elementare Verga, minacciato di morte la ex moglie, il suo compagno e la stessa figlia, mostrando alla prof. G.M. la pistola che deteneva in una valigetta-fatto acc.in data 19.10.09.
Per tale reato la Corte rilevato che il primo giudice aveva applicato le attenuanti generiche, determinava la pena in €50,00 di multa, confermando nel resto la sentenza appellata, con la quale l’imputato era stato condannato altresì al risarcimento del danno morale subito dalla persona offesa costituitasi parte civile, danno liquidato in €2.000,00.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo:
1. – violazione degli artt. 177 e 546 CPP, evidenziando che la sentenza non recava indicazione della imputazione; pertanto rilevava la nullità del provvedimento impugnato.
2. – ai sensi dell’art. 606 co. 1 lett E) CPP., carenza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione.
A riguardo il ricorrente censurava la decisione, rilevando che il giudice di appello aveva reso motivazione illogica attribuendo all’imputato la condotta minacciosa realizzata con una pistola giocattolo; inoltre rilevava che la pena era da ritenere eccessiva rispetto all’entità del fatto.
Censurava altresì la sentenza in quanto il giudice non aveva considerato il contesto nel quale si era verificato il fatto, riferito alle vicende familiari dell’imputato, che si trovava al cospetto di una psicologa, e pertanto aveva manifestato il proprio disagio; il tutto senza realizzare alcuna violenza o minaccia.
A riguardo evidenziava che la motivazione del provvedimento si presentava illogica e contraddittoria, avendo la Corte valutato l’episodio secondo le dichiarazioni della teste (G.) che la difesa riteneva prive di riscontri.
Inoltre il ricorrente evidenziava che la denunciante (Sig.ra S.) non poteva conoscere i toni delle dichiarazioni rese dall’imputato alla docente G.,e la denuncia era dovuta a risentimento verso il medesimo A.
Per tali motivi chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata.
Rileva in diritto
Il ricorso risulta privo di fondamento.
In riferimento al primo motivo deve evidenziarsi che la mancata enunciazione del capo di imputazione non costituisce motivo di nullità della sentenza.
In tal senso giova menzionare, in riferimento alla applicazione dell’ art. 546 CPP – Cass. Sez. II, 11.8.1997, n. 937, Strazzullo – RV208462 – secondo tale massima – tra gli elementi essenziali la cui mancanza o incompletezza determina la nullità della sentenza a norma dell’art. 546, terzo comma, cpp., non è previsto il capo di imputazione, posto che l’enunciazione degli atti e delle circostanze ascritte all’imputato ben possono desumersi dal complessivo contenuto della decisione. Nella specie dal testo del provvedimento impugnato è dato desumere la puntuale descrizione della condotta contestata all’imputato, della quale si indica la fattispecie ritenuta in sentenza (art. 612 comma secondo CP), onde non si configura alcuna violazione dell’art. 546 CPP.
– Per quanto concerne le censure inerenti alla pretesa illogicità e contraddittorietà della motivazione deve evidenziarsi che la sentenza risulta congruamente motivata in riferimento alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato, desumendo la responsabilità dell’imputato da deposizione specifica della docente alla quale egli aveva manifestato il proprio risentimento, per la separazione intervenuta tra il predetto e la madre della figlia minore, estraendo un’arma che deteneva e minacciando di compiere un delitto.
Nella specie il giudice di appello ha adeguatamente motivato sulle deduzioni del difensore, che riguardavano l’arma giocattolo ed ha escluso con logiche argomentazioni che la teste avesse travisato il fatto, valorizzandone l’estraneità alla vicenda familiare dei coniugi, rilevando altresì che la deposizione risultava avvalorata da altra testimonianza, resa da un insegnante che aveva constatato lo stato psicologico di prostrazione nel quale si trovava l’imputato,ritenuto dalla Corte compatibile con la condotta minacciosa.
In base a tali risultanze il giudice di appello ha pertanto ritenuto correttamente dimostrata la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 612 comma secondo CP., evidenziando che vi era stata la prospettazione di un pericolo per la persona offesa, Sig.ra S., sia pure attraverso la esternazione a terzi che avevano contatti con la predetta. (v. in tal senso Cass. Sez. V, 24.6.1985, n.6289, Pifferi-).
Né il riferimento all’uso di arma giocattolo vale ad escludere di per sé la configurabilità dell’ipotesi aggravata, alla luce del principio enunciato da questa Corte con sentenza Sez. V, del 9.10.1981, n.8682 (per cui anche l’uso di un’arma apparente o di un’arma giocattolo integra l’aggravante dell’arma nel delitto di minaccia quando si tratta di oggetto che avendo l’apparenza di arma idonea a produrre lesioni, è atta a provocare nella vittima un effetto intimidatorio intenso.
Devono ritenersi ininfluenti ai fini della verifica di responsabilità dell’imputato le deduzioni difensive che pongono in luce la situazione di disagio familiare quale movente che avrebbe inciso nella realizzazione della condotta contestata, (si richiama al riguardo il principio enunciato da questa Corte Sez. V – sentenza del 16 maggio 2011, n.19252 – RV250171 – per cui – l’ingiustizia del male minacciato e, quindi, l’illegittimità del fatto costituente il delitto di cui all’art. 612 C.P., non viene meno se non risulti ingiusto il motivo posto a base dell’azione criminosa, a meno che non appaiano legittimi tanto il male minacciato quanto il mezzo usato per l’intimidazione-).
Infine si rileva che le censure inerenti alla definizione del trattamento sanzionatorio risultano inammissibili, per genericità, avendo la Corte disposto la riforma della sentenza appellata, rilevando in motivazione che era stata erroneamente applicata la pena detentiva, avuto riguardo alla concessione delle attenuanti generiche, e in tal senso applicando la pena della multa di €50,00, che si presenta rispondente al limite edittale.
In conclusione deve dunque essere pronunziato il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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