Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 21 marzo 2014, n. 13350
Fatto e diritto
1. Con sentenza pronunciata il 7.12.2012 il tribunale di Teramo in composizione monocratica, in qualità di giudice di appello, confermava la sentenza con cui il giudice di pace di Giulianova, in data 18.7.2011 aveva condannato F.M. , imputato del delitto di cui all’art. 595, c.p., commesso in danno di M.G. alla pena di Euro 1500,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato, in favore della persona offesa, costituita parte civile.
2. Avverso tale sentenza, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso, a mezzo del suo difensore di fiducia, l’imputato, lamentando. 1) la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata; 2) il vizio di cui all’art. 606, co. 1, lett. b), in relazione all’art. 595, c.p.; 3) il vizio di cui all’art. 606, co. 1, lett. b), in relazione all’art. 598, c.p.
3. Con motivi aggiunti, depositati in cancelleria il 12.12.2013, il difensore del ricorrente, premesso che in data 1.12.2013 al F.M. è stato notificato atto di citazione a comparire innanzi al tribunale civile di Teramo su impulso della parte civile costituita M.G. , in cui quest’ultimo dichiara di promuovere, ai sensi e per gli effetti dell’art. 82, co. 2, c.p., l’azione di risarcimento dei danni, chiede l’annullamento dell’impugnata sentenza, fermi restando gli altri motivi di ricorso, limitatamente alle statuizioni civili, in quanto la menzionata dichiarazione costituisce revoca espressa della costituzione in sede penale della parte civile, rilevabile d’ufficio.
4. Il ricorso appare fondato solo con riferimento alla questione dedotta con i motivi aggiunti, mentre va rigettato nel resto.
5. Ed invero, infondato appare il primo motivo di ricorso, che, a ben vedere, si colloca ai confini della inammissibilità.
La corte territoriale, infatti, a differenza di quanto affermato dal ricorrente, con motivazione approfondita ed immune da vizi logici, ha fornito adeguata risposta a tutte le questioni poste nei motivi di appello, evidenziando come il contenuto della lettera spedita dall’imputato al sindaco del comune di Giulianova, al dirigente area servizi collettività e territorio ed al comandante della polizia municipale del suddetto comune, nell’ambito di un procedimento amministrativo avviato dalla stessa amministrazione comunale che aveva comunicato al F. l’intenzione di revocare, su sollecitazione del M. , quale difensore della società “Astra Immobiliare”, un’autorizzazione edilizia rilasciata in precedenza allo stesso F. , abbia un contenuto oggetti va mente lesivo dell’onore della persona offesa, in quanto con esso, come evidenziato dal giudice di primo grado, la cui valutazione sul punto viene espressamente richiamata e fatta propria dal tribunale, si addebitano “alla parte offesa atti di connivenza e macchinazioni attuati dal professionista per ottenere un vantaggio personale e spingere l’amministrazione ad agire secondo il proprio volere”.
In tal modo, come ben motiva il giudice di appello, nel prospettare la sussistenza di un indebito rapporto preferenziale tra l’amministrazione comunale di (OMISSIS) e l’avv. M. , che verrebbe agevolato “nella sua attività professionale dalla assenza di trasparenza nei rapporti con la P.A.”, l’imputato, “con palese esondazione da un linguaggio corretto e continente”, ha aggredito la reputazione del M. , ponendo in essere una “condotta idonea, di per sé, ad integrare il reato contestato”. Siffatta valutazione appare del tutto conforme ai principi da tempo affermati dalla giurisprudenza di legittimità in sede di interpretazione dell’art. 595 c.p., secondo cui in tema di diffamazione, posto che la reputazione è data dalla stima e dalla considerazione di cui un soggetto (persona fisica o anche entità giuridica o di fatto, quale una fondazione, un’associazione o una società) gode nell’ambito sociale ed economico di appartenenza, deve ritenersi che essa sia pregiudicata non solo dall’attribuzione alla persona offesa di specifici comportamenti da essa posti in essere, ma anche dalla rappresentazione di situazioni suscettibili di incidere negativamente sull’immagine che della medesima si abbia tra i consociati (cfr. Cass., sez. V, 21/09/2012, n. 43184).
Commette il reato di diffamazione, pertanto, chiunque adoperi termini che risultino offensivi, in base al significato che essi vengono oggettivamente ad assumere, nella comune sensibilità di un essere umano, collocata in un determinato contesto storico e in un determinato ambito sociale, integrando integra la lesione della reputazione altrui non solo l’attribuzione di un fatto illecito, perché posto in essere contro il divieto imposto da norme giuridiche, assistite o meno da sanzione, ma anche la divulgazione di comportamenti che, alla luce dei canoni etici condivisi dalla generalità dei consociati, siano suscettibili di incontrare la riprovazione della communis opinio (cfr. Cass., sez. V, 06/11/2012, n. 10393; Cass., sez. V, 25/10/2012, n. 8348;).
Rispetto al limpido percorso motivazionale seguito dal tribunale, le doglianze difensive, che insistono sulla necessità di verificare l’effettivo valore offensivo di ciascuna delle espressioni riportate nel capo d’imputazione, “raffrontandole con i documenti e gli atti ritualmente introdotti nel processo….per verificare se dette espressioni sono effettivamente diffamatorie, se si riferiscono o meno all’avv. M.G. , se riguardano fatti veri documentati oppure rappresentano illazioni o, peggio, espressioni volutamente offensive della reputazione dell’avvocato” (cfr. pp. 15-16 del ricorso), da un lato ripropongono acriticamente le medesime doglianze disattese dal giudice di secondo grado, dall’altro si risolvono in censure di merito, non consentite in questa sede di legittimità.
6. Non coglie, inoltre, nel segno il ricorrente nel sostenere che la missiva di cui si discute va considerata alla stregua di una memoria difensiva, con cui si voleva dimostrare all’amministrazione comunale di Giulianova “che la decisione che aveva preannunciato di voler adottare, aprendo il procedimento amministrativo, era assolutamente illegittima e caratterizzata da abuso di potere, che poteva anche esondare nel reato di abuso d’ufficio, perché era stata indotta in errore da una inesatta rappresentazione della realtà contenuta nell’esposto del 5.8.2008 e soprattutto in quello del 10.6.2009, inviati al Comune dalla Astra Immobiliare tramite l’avv. M.G. ” (cfr. p. 16 del ricorso).
Il tema viene ripreso anche nei successivi motivi di ricorso, con cui, da un lato si evidenzia la mancanza del dolo e dell’elemento della “comunicazione con più persone”, dall’altro si invoca l’applicazione della esimente di cui all’art. 598, c.p..
Evidenzia, al riguardo, il ricorrente che la missiva di cui si discute conteneva formali controdeduzioni difensive avverso il provvedimento amministrativo notificato il 14.10.2009, inviate agli organi dell’ente pubblico che avevano emesso il provvedimento o che erano preposti alla disamina di esso, per cui, stante il divieto legale di diffusione dello scritto difensivo a soggetti estranei al procedimento amministrativo, la sua diffusione non solo non si è verificata in concreto, ma non era né voluta, né prevedibile da parte del F. , che non aveva nessuna intenzione di offendere l’avv. M. , ma solo di difendere i suoi diritti, utilizzando, peraltro, espressioni che si risolvono in critiche all’operato dell’amministrazione comunale, rimproverata di non essere imparziale, ma condizionata nei suoi atti, con esclusivo riferimento alla questione oggetto delle controdeduzioni del ricorrente.
6.1 Orbene non appare revocabile in dubbio che con la missiva in questione, indirizzata a tre soggetti operanti all’interno della medesima amministrazione pubblica, l’imputato abbia comunicato con più persone, posto che in tema di diffamazione,sussiste l’estremo della comunicazione con più persone quando l’agente prenda direttamente contatto con una pluralità di soggetti (cfr. Cassazione penale, sez. V, 28/11/2012, n. 16171).
Ne consegue che il divieto di diffusione dello scritto a soggetti estranei al procedimento amministrativo, aspetto su cui si è soffermato il ricorrente, costituisce un dato del tutto irrilevante ai fini del perfezionarsi della fattispecie delittuosa in esame, essendosi la diffamazione, reato istantaneo (cfr. Cass., sez. I, 26/05/2004, n. 31563), già consumata nel momento in cui la missiva è pervenuta alle autorità amministrative innanzi indicate.
Né va taciuto, ad ulteriore dimostrazione dell’infondatezza dell’assunto difensivo, che, come è stato affermato da una condivisibile decisione del Supremo Collegio, la destinazione alla divulgazione nei confronti di più persone può trovare il suo fondamento, oltre che nella esplicita volontà del mittente – autore anche nella natura stessa della comunicazione, in quanto propulsiva di un determinato procedimento (giudiziario, amministrativo, disciplinare), che deve essere ex lege portato a conoscenza di altre persone, diverse dall’immediato destinatario, sempre che l’autore della missiva prevedesse o volesse la circostanza che il contenuto relativo sarebbe stato reso noto a terzi (cfr. Cass., sez. V, 06/04/2011, n. 23222, rv. 250458).
Circostanza, quest’ultima, ammessa dallo stesso ricorrente, che nell’ultimo motivo di ricorso, al fine di sostenere l’applicabilità della esimente di cui all’art. 589, c.p., afferma testualmente come la missiva in questione costituisca “un vero e proprio scritto difensivo, che faceva parte di un procedimento amministrativo e che era preordinato, in caso di rigetto delle deduzioni contenute in detto scritto, ad un formale giudizio dinanzi al tribunale amministrativo regionale per l’annullamento dell’atto illegittimo eventualmente emesso dal comune” (cfr. pp. 32-33 del ricorso).
6.2 Del pari infondato risulta il richiamo alla esimente di cui all’art. 589, c.p., concernente la non punibilità delle offese contenute in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie e amministrative, la cui applicabilità è esclusa qualora le affermazioni contenute in uno scritto difensivo non consistano in mere offese, ma si risolvano nella falsa attribuzione di fatti specifici lesivi della reputazione del soggetto cui si riferiscono, che potrebbero anche risultare calunniosi (cfr. Cassazione penale, sez. V, 19/05/2011, n. 29235, rv. 250466; Cass., sez. V, 30/06/2011, n. 31115, rv. 250587).
Tale appare il contenuto della missiva di cui si discute, in cui si rappresenta, tra l’altro, una situazione di “palese soggezione” dell’amministrazione comunale nei confronti dell’avv. M. , quando egli “assiste la Astra immobiliare o altri soggetti in reale e potenziale conflitto di interessi con l’Ente……nei cui atti spesso contraddittori si percepisce nettamente un conflitto interno tra la produzione di atti dei quali si avverte la parzialità in danno di un privato, a seguito di chiare pressioni da parte di altro soggetto, supportato dal peso del suo legale, per spingere l’ufficio ad adottare provvedimenti amministrativi illegittimi ed ingiusti che poi vengono purtroppo adottati come quello in oggetto”.
Evidente, dunque, l’attribuzione al M. della capacità di condizionare a vantaggio dei propri clienti le scelte dell’ente territoriale, ottenendo provvedimenti illegittimi in loro favore, quanto meno con specifico riferimento alla revoca dell’autorizzazione edilizia rilasciata in favore del F. , attribuzione dalla evidente natura calunniosa, in quanto con essa si denunciano comportamenti astrattamente integranti ipotesi di reato in tema di delitti contro la pubblica amministrazione (ed infatti lo stesso ricorrente ha ipotizzato in ricorso, come si è visto, che la decisione che il comune aveva preannunciato di adottare, avrebbe potuto integrare gli estremi del reato di cui all’art. 323, c.p.).
6.3 Infondato, infine, è anche il rilievo sulla mancanza dell’elemento soggettivo del reato, sia per le ragioni già esposte, sia perché, come da tempo chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di diffamazione, non si richiede che sussista l’animus iniurandi vel diffamandi, essendo sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto è sufficiente che l’agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle intenzioni dell’agente (cfr., Cass., sez. V, 12/12/2012, n. 4364, A., rv. 254390).
7. Fondata, invece, appare la doglianza rappresentata nei motivi aggiunti.
Ed invero costituisce orientamento da tempo consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui il trasferimento dell’azione civile comporta, giusta la previsione dell’art. 82, co. 2, c.p.p., la revoca della costituzione di parte civile e l’estinzione del rapporto processuale civile nel processo penale e ciò impedisce al giudice penale di mantenere ferme le statuizioni civili relative ad un rapporto processuale ormai estinto.
Di conseguenza la Corte di Cassazione, investita di un ricorso proposto dall’imputato, relativo alla responsabilità penale, deve, preso atto della revoca, annullare senza rinvio la sentenza in ordine alle statuizioni civili in essa contenute (cfr. Cass., sez. IV, 15/4/2004, n. 31320, rv. 228839; Cass., sez. VI, 15.5.1990, n. 12447).
Nel caso in esame l’imputato ha dimostrato l’avvenuto trasferimento dell’azione civile, producendo l’atto di citazione del 19.11.2013, debitamente notificatogli, con cui il M. , in qualità di parte attrice, lo ha citato a comparire in giudizio, per il giorno 20.3.2014, innanzi al tribunale ordinario di Teramo, per ottenere dal F. il risarcimento dei danni derivanti dal reato di diffamazione per cui si è proceduto a suo carico in sede penale, facendo espresso rifermento alla previsione dell’art. 82, co. 2, c.p.p. (cfr. p. 6 dell’atto di citazione).
Di conseguenza, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio e comunque non deducibile in grado di appello, essendo l’atto di citazione successivo alla data di pronuncia della sentenza di secondo grado, ai sensi dell’art. 609, co. 2, c.p.p., essa va decisa nei termini innanzi indicati, vale a dire eliminando le statuizioni civili, per l’avvenuta revoca della costituzione di parte civile conseguente al promovimento della relativa azione davanti al giudice civile.
8. Sulla base delle svolte considerazioni, dunque, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, limitatamente alle statuizioni civili, che vanno eliminate, mentre il ricorso va rigettato agli affetti penali.
Il parziale accoglimento delle ragioni del ricorrente implica che lo stesso non sia condannato al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili, che elimina; rigetta, nel resto, il ricorso.
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